di Nico Maccentelli
(Capitoli 3 e 4)
3.
L’ipermercato sembrava un enorme formicaio brulicante di esseri dal volto inespressivo, massaie sfatte con “cinno” a rimorchio (e non uno di più, secondo le statistiche regionali sulla natalità), vecchie cicciolardose vere esperte di slalom nelle file alla cassa, anziani da briscola domenicale al bar, bellimbusti incravattati, incellularati e con codino stile: per-scommessa-ti-scopo-la-commessa e commesse biondo ossigenato con monili dorati da bigiotteria pretenziosa, della serie: voglio ma non posso, e con le facce intonacate da quattro strati di trucco, stile: dovrai-sudare-sette-camicie-e-svuotare-la-carta-di-credito.
Una musichetta allegra di sottofondo accompagnava la gente lungo i corridoi, tra le scansie della pasta e i banconi del surgelato in offerta speciale.
Yuri riconobbe “Momenti gloria” ed ebbe un moto di stizza, mentre sfogliava un romanzo di Ken Follet alla libreria dell’iper, di fianco a una pila alta due metri di una nuova saga cavalleresca di Valerio Massimo Manfredi.
Fermoimmagine: Yuri Cattabriga, ispettore di fresca nomina, in forza alla Questura di Bologna, ragazzone prossimo alla trentina, dal volto largo, fronte spaziosa e folta chioma castana di indefinibile foggia. Sguardo disincantato e giubbotto nero di finta pelle consunta modello: “ eterno assistente di Derrick”, che se avesse avuto la parola gli avrebbe detto: cambiami.
Una ragazza che sembrava uscita da un romanzo di Lyala afferrò una copia del libro della saga di Manfredi e lo infilò nel carrello tra due bottiglie di olio d’oliva e tre tubetti di maionese. — Mamma, Luigi questo non l’ha ancora letto — gracchiò rivolta a una signora lì accanto, che sembrava venuta fuori da una puntata di Carramba.
“Questi i libri se li mangiano come la pasta e se li guardano come Giletti alla TV” commentò l’ispettore soprappensiero. E gettò alla ragazza un’occhiata di commiserazione, mentre questa si avviava con la madre verso la cassa.
Alla fine optò per la sceneggiatura di “Dal tramonto all’alba”, scritta da Quentin Tarantino. Amava le atmosfere gotiche surreali. E ogni tanto immaginava situazioni deliranti, come quella di un incubo che calava su quella cattedrale di plastica, anzi su tutta la città, come una coltre nera, un crepuscolo senza fine, fatto di vampiri e altri esseri immondi, che facessero giustizia di tanta imbecillità generale.
Ma erano pensieri fugaci. Subito dopo la sua mente si ricomponeva con un forte senso di colpa. “Sono un ispettore di polizia ormai, che diamine”.
La penna ottica, mossa da una spilungona con capelli corti e neri, diede il suo bip di riconoscimento del prezzo. “Il codice a barre… altra grande invenzione emiliana per facilitare gli ipermercati e i bottegai di tutto il mondo” pensò Yuri. Pagò in silenzio e uscì. Fu dopo venti passi, percorsi nel lungo corridoio dell’iper, che suonò il cellulare. Lo aprì e se lo portò all’orecchio, sentendosi un’idiota per l’ennesima volta.
— Cattabriga.
— Yuri.
Era Eva.
— Che c’è?
Dall’altra parte il silenzio durò più del solito. Poi la ragazza si decise. — Ti ricordo che stasera c’è la prima lezione di tai chi.
Yuri tirò su col naso, guardò un attimo l’alto soffitto luminescente e riabbassò la testa.
— Sono di servizio, lo sai.
— No, non lo sapevo. Perché sennò non te lo chiedevo.
— Lo sai che tutti i giovedì sera sono in centrale.
— No, non posso saperlo, perché tu non mi dici mai nulla, Yuri. Vieni a casa quando ti pare, mangi che sembri uno pagato per farlo e te ne torni fuori. Per non parlare del…
L’ispettore allontanò il ricevitore dall’orecchio e aspettò che la ragazza finisse con la lista delle cose che non andavano, la cui colpa era immancabilmente sua di lui. Ma la ragazza sembrava non finire più. Tornò a riaccostare l’orecchio. — … se i miei amici ti sembrano tanto…
— Eva… Eva… posso dirti una cosa?
— … saranno in gamba lì da te in centrale, che …
Lo riallontanò. La voce di Eva sembrava ormai quella d’un clarino suonato da un musicista sbronzo. Aspettò ancora qualche secondo, poi riavvicinò l’orecchio.
— … per una volta che ti chiedo un favore! non ho la macchina per andarci…
— Eva…
— … viviamo in un rione mal servito e in bici ho paura…
— Eva…
— … e tu niente, perché tutte le volte che io…
— Eva!
— … in queste condizioni non posso certo…
— Eva!!
— … che dici tanto di amarmi…
— E vaffanculo!!!
La voce della ragazza si zittì di colpo.
— Eva. — Puntualizzò Yuri. Ma si pentì subito. — Scusami, Eva.
— Grazie — rispose lei.
— Scusami…
— No, grazie.
— Ascoltami, Eva.
— No, no: vedo che io valgo molto per te.
— Eva, ti prego. Io non posso proprio…
— Non so se mi troverai quando avrai la bontà di tornare a casa.
— Eva, adesso non fare così.
— A no? E cosa devo fare? Quella che aspetta il suo guerriero come una serva della gleba?
— Non dire così, lo sai che…
— Quella che ti stira i calzini e ti fa i pompini?
— Non essere volg…
La ragazza riattaccò.
— Eva aspetta! Eva!
Yuri lasciò partire un’imprecazione che fece girare verso di lui un paio di signore. L’espressione scandalizzata le faceva sembrare galline stralunate. L’ispettore per un attimo si sentì a disagio; ma poi riacquistò la sua sicurezza. E che aveva detto, tutto sommato?
Non aveva mai fatto pesare il suo ruolo di pubblico ufficiale, anzi: detestava chi tra i suoi colleghi lo ostentava anche in circostanze in cui non importava qualificarsi, quasi che essere poliziotto fosse un privilegio divino. Tanto meno voleva mettersi in mostra adesso, che era da poco ispettore.
Sfoggiò un sorriso riparatore davanti alle signore, poi si diresse alla macchina: una Opel Corsa rosso metallizzato, che era stata l’ultima vettura di suo padre buonanima. La sola cosa ereditata da quel diavolo di un “cuntadein d’la bassa”, l’auto della sua pensione, “al pensiunè c’al zireva da San Giovanni a Sant’Agata totti i dè”. Fino all’anno scorso, il Nestore.
Uscì dal parcheggio e si diresse verso casa. Gli restavano due ore prima di prendere servizio e doveva chiarire con Eva. Tornò a squillare il cellulare. S’incazzò perché era proprio lungo un rettilineo, a velocità sostenuta. Riuscì ad aprire ugualmente il piccolo arnese. Urlò: — Sei una stronza a sbattermi il telefono in faccia!
— Cattabriga…
Era la voce di Improta, il suo diretto superiore.
— Commissario… mi scusi — balbettò Yuri.
Improta proseguì senza scomporsi: — Si diriga subito in Largo Respighi. Abbiamo un caso.
— Un caso?
— E per cosa l’ho chiamata sennò: per giocare a ramino?
Yuri borbottò un “comandi” e tornò a imprecare girando verso il centro città. Figura di merda.
4.
La lettiga del 505050 non aveva fretta. Doveva solo portare un morto all’obitorio. I due infermieri la trascinavano con annoiata routine, passando tra i ragazzi allineati appena fuori la zona vestizione.
Davanti a quella lettiga, Sergio ebbe come una smorfia di dolore. Sandrone aveva il capo chino, Robby si mordeva incessantemente il labbro inferiore. Stefano aveva un’aria scura, d’insofferenza. Le guance di Silvia erano rigate dalle lacrime e i suoi occhi stropicciati.
Il corpo di Luca stava sfilando davanti a loro come quello di un pugile a knock out. Ma era avvolto in un telo di plastica nero. La scientifica evidentemente aveva già finito tutti i rilievi. Erano le dieci di sera. Fuori, all’ingresso, i genitori dei ragazzi, con gli occhi fuori dalla testa, camminavano avanti e indietro, fumando sigaretti leggeri fino al filtro e cercando invano di far passare un sacchetto di panini, un caffè, per il proprio bimbone. Un paio di agenti erano piazzati davanti alla porta, con il compito preciso di non lasciar entrare nessuno. Alle domande dei genitori rispondevano con impietosi monosillabi.
Ciro e Salvatore erano dietro il bancone, maneggiavano tagliandi e mazzette da dieci e venti euro facendo inutili controlli di cassa tanto per ammazzare il tempo. Erano incazzati per una giornata andata male.
— Allora, ricapitoliamo — disse ai ragazzi il commissario Improta, sistemandosi la cintura.
Fermoimmagine: Commissario Improta, grassone di sessant’anni, prossimo alla pensione e alla terza ulcera duodenale, impermeabile poliziesco beige di quarta e sguardo cisposo da bulldog chiuso in un canile. Come naso un’enorme patata butterata, dello stesso colore dell’impermeabile.
Si toccò il cavallo dei pantaloni, rimettendo a posto gli attributi, che dovevano spaziare molto liberi nelle sue braghe larghe.
— Nessuno di voi ha visto il fatto, nessuno ha sentito lo sparo col casino che c’era. E la pistola non è saltata fuori.
Li guardò sornione e si rivolse a Cattabriga, intento ad annotare qualcosa in un bloc-notes, con la lingua tra le gengive e un’espressione assorta: — Sta a vedere che Luca Casella s’è ammazzato da solo e ha fatto poi sparire l’arma del delitto.
L’ispettore si grattò velocemente il mento con aria scettica. — Comunque abbiamo ispezionato tutto il labirinto, e della pistola non c’è traccia. Inoltre, i due gestori escludono che dall’arena sia potuto uscire qualcuno sino al nostro arrivo.
Il commissario tornò a rivolgersi ai giovani, ma cambiando repentinamente espressione. Ora sul suo viso c’era un’aria dura, sprezzante. Qualcuno dei bimboni deglutì. Tutti fissavano lo sguardo truce del commissario, come quei condannati a morte dei film americani degli anni ‘40 guardano il giudice federale che li spedisce sulla sedia elettrica. — Comunque ragazzi, la questione è molto seria. Vi rendete conto che se non si trova chi è stato, siete tutti sospettati di omicidio?
Poi Improta prese da parte l’ispettore e gli sibilò a cavallo delle orecchie: — Ma si rende conto anche lei, che qui c’è un morto, davanti a noi abbiamo “il” o “i” probabili assassini e non ne stiamo cavando un ragno dal buco!? Questi guaglioni ci stanno prendendo per il culo da tre ore! Fuori c’è già la stampa… che cosa le diciamo, che si sono sparati giocando a Laser game?
Cattabriga allargò le braccia. — Sarà un bel problema anche per il sostituto Piercamilli.
Il commissario si tormentò il mento con nervosismo, riflettendo per qualche istante, e aggiunse: — Ha fatto controllare bene ogni angolo, Cattabriga? Non è possibile che non si trovi la pistola!
L’ispettore sospirò. — Cosa vuole che le dica, torneremo a guardare. Comunque non possiamo trattenere i ragazzi ancora per molto.
— Ma almeno c’è qualcuno più sospettabile degli altri?
— Ho interrogato la fidanzata della vittima, quella moretta là in fondo…
— Quella che ha frignato per tutto il tempo?
— Sì, proprio quella, Silvia Mengoli. Tutto quello che sono riuscito a sapere è che ci sono stati dei dissapori con il suo ex ragazzo, quello là con l’aria un po’ strafottente, Stefano Venturoli. Ma sono beghe di ragazzi…
— Beghe di ragazzi, Cattabriga? Dalle beghe di ragazzi possono nascere i serial killer, mio caro. È una pista e va seguita. Io direi di trattenere il guaglione per accertamenti. Poi si vedrà.
Cattabriga fissò per un istante il suo capo. — Ne è proprio sicuro, commissario? Se è solo per tenere buona la stampa…
— Poche storie! — lo interruppe Improta. E sul suo viso si formò un ghigno ironico. — Lei ha studiato troppo, Cattabriga. In questo lavoro bisogna navigare a vista, ci vuole spirito pratico. Comunque il ragazzo non è arrestato, per carità. Diciamo solo trattenuto per chiarire alcuni aspetti. Poi ovviamente deciderà Piercamilli.
— Lo devo portare subito in centrale?
— Sì. Gli altri possono tornare a casa, ma devono tenersi a disposizione.
L’ispettore annuì, fece l’atto di girarsi, ma Improta lo trattenne. — Ah, Cattabriga, mi mandi anche quei due bei carciofoni.
— Carciofoni?
— Sì, il gatto e la volpe, insomma, i padroni di questo bel luna park.
L’ispettore fece un gesto di assenso e si avvicinò ai ragazzi. Lo guardarono tutti con ansia e con la speranza di trovarsi tra le calde lenzuola di casa entro mezzora. — Potete andare — disse, — ma tenetevi a disposizione.
— A disposizione? — esclamò Sandrone.
— Sì, insomma, in questi giorni non allontanatevi. Potremmo avere ancora bisogno di voi.
Il gruppo tirò un sospiro di sollievo generale e si diresse verso l’uscita.
— Venturoli, Stefano Venturoli.
Stefano si girò di scatto verso l’ispettore con gli occhi sgranati. — Lei dovrebbe essere così gentile da seguirci in centrale.
— E… e perché? — balbettò il ragazzo.
— Lei conosceva bene la vittima. Era uno dei suoi migliori amici. Sì… insomma, magari potrebbe esserci utile per un indizio, darci qualche indicazione.
Stefano si sentì come un animale in trappola. Girò la testa di scatto verso Silvia e la fulminò con lo sguardo. La troia, pensò, doveva aver detto qualcosa. La ragazza abbassò gli occhi e si affrettò verso l’uscita.
In quel momento rientrò uno dei portantini. — Commissario, la salma è già a posto. Possiamo andare?
Ciro sventolò alcuni tagliandi di carta davanti ai ragazzi che uscivano. — Volete almeno vedere i vostri punteggi?
L’ispettore afferrò la mano del napoletano ed esclamò: — Li vogliamo vedere noi. Li porti pure in centrale. E venga anche lei — concluse rivolto a Salvatore.
Il ciccione trasalì e fece girare nervosamente un dito dentro il colletto della sua camicia bagnata di sudore.
(Fine della seconda puntata)