Sandro Moiso, La guerra che viene. Crisi, nazionalismi, guerra e mutazioni dell’immaginario politico, con una Prefazione di Valerio Evangelisti e una Postfazione di Gioacchino Toni, Mimesis, Milano-Udine, 2019, pp. 246, € 20,00
[Nel corso degli ultimi anni l’informazione mainstream e la narrazione politica istituzionale sembrano aver riscoperto il pericolo di un conflitto allargato su scala planetaria. Frutto di errori, problemi di governance oppure conseguenza della crisi economica e di promesse elettorali che non possono ancora essere mantenute, la spiegazione del conflitto è inscindibile da una struttura socio-economica che ha fatto della concorrenza più accanita e dello sfruttamento più spietato e virulento delle risorse umane e ambientali le uniche motivazioni reali della propria esistenza. Guerra che, nonostante le continue dichiarazioni di fedeltà ai trattati, non vede ancora delinearsi degli schieramenti precisi e che non vedrà in gioco soltanto blocchi militari e politico-economici facilmente riconoscibili (Russia, Stati Uniti, Cina, Europa), ma che proprio tra le pieghe delle alleanze e le contraddizioni con e tra le nuove potenze emergenti, quali Arabia Saudita, Turchia, Iran e Israele, avrà uno dei suoi principali motori.]
Prefazione di Valerio Evangelisti
Un pensiero limpido, fuori dagli schemi
In Francia, è chiamata ultragauche una particolare corrente di estrema sinistra che combina bordighismo e situazionismo, con forti innesti di anarchismo. Io non so se il pensiero di Sandro Moiso, al di là del parere soggettivo del medesimo, possa rientrare pienamente in questa definizione, ma in larga misura direi di sì. Anzi, se in Francia la tendenza ha numerosi teorizzatori (per lo più anonimi, o raccolti sotto una sigla misteriosa come Comité invisible), in Italia Moiso è forse l’unico ad avere cercato di darne, in una pluralità di interventi, una formulazione completa e coerente.
Quali i capisaldi della ultragauche italiana, a tratti simili a certi aspetti dell’Autonomia /o post-Autonomia) contemporanea? Un rifiuto radicale dell’istituzionalità in ogni sua forma. Un parallelo rifiuto dello stalinismo, e anche del marxismo-leninismo col trattino (senza per questo respingere Marx o Lenin singolarmente presi). L’esaltazione delle lotte sociali nate dal basso, con radicamento territoriale, tipo la ZAD francese e i movimenti No TAV e No TAP italiani. L’indifferenza per la forma partito. Il sostegno a ogni espressione di autogestione e di autogoverno, soprattutto comunitario. E (ovviamente) l’internazionalismo, l’antirazzismo, l’anticolonialismo, la pulsione verso la costituzione spontanea di contro-società, con regole antitetiche a quelle dominanti.
Ormai da oltre un decennio Sandro Moiso espone su Carmillaonline spezzoni di questa visione. Io, che dirigo la testata, non sono d’accordo che in certa misura e su singoli punti. Ciò malgrado le riconosco una profonda dignità intellettuale, e una coerenza parallela a quella personale di Moiso. Tagliente, nei ragionamenti, come un rasoio, aggressiva, indubitabilmente onesta. Tutto ciò che si richiede a un intellettuale vero.
Moiso lo è, e leggendolo sarà facile persuadersene. Non c’è una sola frase che ne contraddica altre, non c’è un perdersi nei fumi dell’ideologia o della chiacchiera. La sinistra italiana conosce un percorso regressivo: quanto più è allo sbando e minoritaria, tanto più riemergono i fantasmi di un passato non felice. Riecco i trotzkisti, gli stalinisti, i maoisti in ritardo, ogni “ismo” possibile. I partitini che dicono di tendere al comunismo sono quasi più numerosi dei comunisti stessi. In teoria, stando alla conta delle sigle, una maggioranza. In realtà una miseria.
Sandro Moiso è l’antitesi a questa farsa di oltraggioso squallore. Che recensisca, commenti, discuta, critichi, va proponendo la costruzione, estremamente solida, di un movimento che degli “ismi” fa volentieri a meno, come fu nella parte migliore (la seconda) degli anni Settanta. Non c’è suo intervento, recensione, riflessione che non rechi un tassello a un quadro globale coeso; che, sorretto da cultura profonda in ogni campo (si vedano le ricche bibliografie), non serva da filtro interpretativo di un presente che è talora complesso decifrare.
Era dunque opportuno, per non dire necessario, raccogliere alcuni scritti di Moiso in una raccolta che permetta di apprezzare il valore di un pensatore decisamente fuori dagli schemi. Ne risulta la storia di una guerra fatta di molteplici conflitti, ma riconducibile a uno scontro principale, presente già nella Rivoluzione francese: quello tra sfruttati e sfruttatori, quali che siano i panni che rivestono i protagonisti. Ciò che è quasi proibito affermare oggi.
Moiso parla chiaro, e accenna a possibili soluzioni. Mi auguro che questo suo titolo sia solo il primo di una serie. Per provocatorio che sia, un intellettuale del suo livello deve essere conosciuto e studiato. Proprio in quanto provocatorio.