di Franco Pezzini
(Del contributo che segue una versione molto ridotta è apparsa a suo tempo su L’Indice dei libri del mese.)
Howard Phillips Lovecraft, L’età adulta è l’inferno. Lettere di un orribile romantico, a cura di Marco Peano, pp. 64, € 7, L’orma, Roma 2018.
Che fossero gli Anni ruggenti di Francis Scott Fitzgerald e del jazz, gli interessava poco e anzi poteva infastidirlo: il suo orologio ideale forzava le lancette verso un tempo assai precedente. Diversa la situazione per sua moglie, una donna vivace, indipendente e intraprendente, nata in Ucraina nel 1883 da famiglia ebrea: una modista innamorata di quel mondo della stampa amatoriale che la contraccambierà, in modo del tutto imprevisto, con una fama indiretta e alcune arrabbiature. In questa fase, Sonia Haft Shafirkin era già vedova di tal Samuel Greene, un russo il cui cognome originale sembra fosse Seckendorff: di qui l’uso di chiamarla semplicemente SHG o SH nelle lettere del conoscente, poi amico e marito Howard Phillips Lovecraft, ormai per i più HPL (1890-1937).
L’epistolario lovecraftiano è, come noto, un monstrum originariamente di circa centomila lettere, al ritmo persino di dieci, dodici al giorno, spesso lunghissime, di cui si è conservata una percentuale significativa (quindici-ventimila) purtroppo con perdite gravi: come quella delle moltissime lettere a Sonia, da lei bruciate in blocco dopo il divorzio. O almeno l’avvio della procedura, perché Howard – nonostante le assicurazioni – non ha provveduto a chiudere la pratica… e così dopo la morte di lui, Sonia, che nel frattempo si è risposata con un dottor Nathaniel Abraham Davis di Los Angeles, apprenderà di essere stata per anni tecnicamente bigama. Pubblicate solo in parte negli Stati Uniti (nella celebre selezione in cinque volumi Arkham House – che però le presenta spesso in versione ridotta – e in altre raccolte), le lettere di Lovecraft sono apparse in Italia solo in forma di ristrettissime scelte, a partire dall’edizione storica di Giuseppe Lippi, Lettere dall’altrove. Epistolario 1915-1937, Mondadori, 1993. E ora anche L’orma ne presenta un florilegio, ottimamente curato da Marco Peano per la collana “I Pacchetti” (tutti incentrati su epistolari, e grazie al formato suscettibili di invio postale), con il focus proprio nel rapporto tra HPL e SHG.
In assenza della corrispondenza con Sonia – si conserva solo un testo di cui si dirà, e alcune cartoline – si tratta di lettere che trattano il tema del rapporto di HPL con le donne, le sue idee sulla dinamica di coppia (in astratto o nella sua esperienza) e la personalità di colei che diviene sue moglie. I destinatari sono vari, in genere amici, in particolare Rheinhart Kleiner, Frank Belknap Long, Maurice Winter Moe, James Ferdinand Morton Jr e il “Gallomo”, club epistolare triangolare 1818-21 tra HPL, lo stesso Moe e Alfred Galpin (nel senso che ciascuno aggiungeva osservazioni in calce al messaggio del mittente, per poi rispedire); ma anche la collega scrittrice Anne Tillery Renshaw (una dei clienti delle famose “revisioni” di racconti da parte di HPL, che in realtà finivano con l’essere vere riscritture), la zia Lillian Delora Phillips Clark e un destinatario rimasto misterioso. Nonché appunto la moglie, chiamata ancora “Mrs Greene” in un messaggio del 1922 (un paio d’anni prima del matrimonio) in cui HPL offre dell’amore una descrizione formale ed estetizzante e tuttavia tenera e poetica. D’accordo, poco romantica nel senso corrente. Eppure Sonia – che al marito dedicherà un memoir, The Private Life of H.P. Lovecraft, rimaneggiato da Winfield Townley Scott per la prima pubblicazione 1948 – ammetterà che proprio alcuni passaggi di questo testo l’hanno fatta innamorare: e se il Nostro non pronuncia mai ad alta voce la parola amore, Sonia garantisce che non è affatto disgustato dalla sessualità e la vive con gentilezza in modo del tutto normale.
Certo, c’è qualcosa di bizzarramente contraddittorio nel profilo di quest’uomo che si professa misogino, xenofobo e antisemita e poi mostra non solo affetto sponsale ma stima continua per una moglie ebrea di origine straniera (oltre che per amici ebrei come il poeta Samuel Loveman a lui carissimo); che inalbera – come sintetizza Michel Houellebecq – “un odio assoluto per il mondo in generale, aggravato da un disgusto particolare per il mondo moderno” ma in realtà non è affatto un eremita (quella del “solitario di Providence” resta una leggenda) e intreccia contatti con facilità e ironica bonomia. Contraddizioni che arrivano fino al suo pasticciato e cangiante pensiero politico, certo non un interesse-cardine del suo pensiero (nelle sue lettere diluviali parla di tutto, non è strano che si esprima anche sulla realtà politica e sociale), assunto a bandiera in taluni sottomondi italioti di destra e su cui non è neppure il caso di tornare.
D’altra parte – come già sottolineato altrove – un altro mito da sfatare è quello di Lovecraft caso psicopatologico. Certamente la psiche di HPL è un multiverso popolato di Altri Dei, convocati dal cocktail di morboso puritanesimo di una madre soffocante e di paure familiari e sociali: come la “contaminazione” degli immigrati non ariani, o quello spiacevole simil-Cthulhu che è il Treponema pallidum della sifilide, causa del seppellimento in ospedale psichiatrico del padre. Che ciò contribuisca a un senso di schiacciante alienità del cosmo su un uomo percepito come irrilevante è però tutto da discutere. Ma soprattutto tale peso su un lignaggio di fragilità nervosa non permette di esaurirvi la vita interiore e l’esperienza dell’uomo Lovecraft: e queste lettere piene d’ironia dalle impagabili, fantasiose intestazioni, dalle “chiuse lambiccate e ostentatamente servili” dove gioca a fare il vecchio e si rivolge agli interlocutori in un caleidoscopio di nomignoli, mostrano anche la scoperta di un universo femminile non più circoscritto all’ombra dell’ammiratissima e perduta mamma. Sonia diventa via via più importante, le sue doti intrigano e spiazzano il Nostro; e la scena quasi da musical (giugno 1922) dei due con l’ombrello che cede sotto un acquazzone lasciandoli a ridere tutti bagnati pare un adeguato preludio al matrimonio che seguirà due anni dopo (3 marzo 1924). Con la prima notte di nozze a ribattere assieme a macchina il racconto per “Weird Tales” scritto per il re degli illusionisti Harry Houdini.
Ma la vita è difficile. Acciacchi di salute di Sonia (tenerissimo lui che si sforza d’impratichirsi a cucinare “spaghetti mangiabili” e al ritorno di lei dall’ospedale la riaccoglie il giorno di Halloween dopo aver “decorato il soggiorno con stelle filanti nere e arancio e streghe di carta sistemate in punti strategici”) e spostamenti per lavoro della medesima fanno durare l’effettiva convivenza solo una decina di mesi; e l’ambiente di New York porta il Nostro “quasi alla pazzia”. Nonostante gli sforzi di Sonia di salvare il matrimonio, la crisi è testimoniata proprio dalla strana missiva di pochi giorni prima del Natale 1925 a un destinatario sconosciuto e scritta “come fosse un flusso di coscienza”: la separazione troverà definizione amichevole un paio d’anni più tardi. E in una lettera a Moe del 2 luglio 1929 HPL – tornato da tre anni nell’amata e comoda Providence – può condurre una pacata autocritica prendendo atto che l’esperimento matrimoniale non è riuscito.
Colpisce notare come proprio dal tempo di quella crisi e in qualche modo dal suo crogiolo – anche se i nessi non sono banalizzabili – eruttino le opere fondanti del Ciclo di Cthulhu, certo prefigurato da figure e temi di testi precedenti ma varato nei fatti da The Call of Cthulhu (scritto nell’estate 1926) e sviluppato attraverso successivi racconti-cardine come The Case of Charles Dexter Ward (inizio 1927), The Colour Out of Space (marzo 1927), The Dunwich Horror (1928) eccetera. Che, con il loro fiato apocalittico, di fatto annunciano la fine degli Anni ruggenti: pochi mesi dopo la citata lettera a Moe, il 24 ottobre si apre la crisi della borsa di Wall Street, cui segue il martedì nero 29 il suo crollo definitivo. Inizia la Grande depressione. E intanto altri mostri stanno emergendo dall’abisso.