di Giacomo Marchetti
Con lo sciopero generale del 5 febbraio il movimento in Francia è entrato in una nuova fase.
L’arresto dal lavoro di 24 ore è stato organizzato dalla CGT e da Solidaires (a cui si aggregate alcune federazioni di FO), ed ha visto manifestazioni partecipate da 300.000 persone in circa duecento città, secondo la principale centrale sindacale francese.
Queste mobilitazioni hanno visto sfilare insieme giacche rosse del sindacato e GJ che hanno partecipato in massa per la prima volta ad una iniziativa sindacale, a cui si sono uniti sia gli studenti delle medie superiori, talvolta in testa al corteo, che e quelli universitari autori di blocchi delle proprie università e dei campus.
I media italiani hanno di fatto censurato la giornata francese, continuando quella sorta di “congiura del silenzio” su ciò che avviene Oltralpe da più di due mesi. Quando non si sceglie l’omertà tout court non si forniscono gli elementi minimi di comprensione, ci si concentra su figure del tutto secondarie e marginalizzate delle mobilitazioni tanto più rappresentati mediaticamente quando privi di seguito (soprattutto se di estrema destra o creatori di fantomatiche liste elettorali Gilets Jaunes), si fanno circolare notizie in chiave spettacolare-sensazionalistica concentrandosi sugli scontri nella capitale parigina, quando non si creano vere e proprie fake news (i servizi segreti francesi che avvertono Macron di un possibile colpo di stato alla vigilia di un importante anno di protesta!).
Così come lo sciopero generale non è stato minimamente menzionato, lo stesso trattamento è stato riservato alla prima “assemblea delle assemblee” nei pressi di Commercy tenutasi il 26-27 gennaio, in cui più di settanta realtà di gilets jaunes, con 200 partecipanti, hanno dato vita – su proposta dell’Assemblea Generale di Commercy – a due giorni di intenso dibattito.
I mezzi di comunicazione in Francia hanno dato ampio risalto all’avvenimento e fornito cronache puntuali della discussione – trasmessa integralmente in streaming – con ottimi reportage da parte di “Reporterre”, “Mediapart” e “Libération”. Anche “Le Monde” ha dedicato spazio al resoconto dei due giorni, ma in Italia non se ne trova praticamente traccia anche tra gli apologeti della democrazia diretta.
Una delle ragioni di questa doppia omissione, verrebbe da pensare, è che questi due avvenimenti (la loro partecipazione e i contenuti emersi) distruggono alla radice la rappresentazione mediatica che anche il ceto intellettuale residuale della sinistra radicale ha voluto dare di questo inedito movimento transalpino, incapace di capire come materialmente si manifesta la lotta di classe nel XXI secolo.
Eppure un arco di forze politiche ampie (FI e NPA, “ecologisti radicali”, movimenti dei quartieri popolari, ecc.) ha colto l’importanza sia del primo momento di confronto diretto tra delegati dei GJ, sia del primo sciopero generale che ha visto una prima convergenza effettiva del “blocco sociale della crisi” espressosi dal 17 novembre.
Mentre con l’assemblea di Commercy il movimento cerca di darsi una organizzazione diretta ed indipendente basata sulle assemblee locali, e non sulle decisioni delle figure di spicco emerse nel corso di questi due mesi, comunque importanti e determinatissime – Eric Drouet, Maxime Nicolle (alias “Fly Rider”), Priscilla Ludosky, Jerôme Rodrigues – con lo sciopero i GJ recuperano quel margine di fiducia necessaria verso quei corpi intermedi che anche se dissanguati e marginalizzati possono concorrere a mobilitare e ad impattare maggiormente sull’economia, oltre a fornire una struttura organizzata fatta di sedi fisiche, e connessioni territoriali e di categoria, rispolverando uno storico strumento del conflitto capitale/lavoro: lo sciopero generale.
Due dei momenti più alti di mobilitazione popolare francese hanno avuto proprio nello sciopero generale il loro culmine: le mobilitazioni durante il Fronte Popolare e il Maggio 1968.
Un aspetto importante è il fatto che stia sempre più emergendo la critica “spietata” al sistema mediatico, con una maturazione della coscienza critica che comprende il valore inestimabile dell’informazione fatta attraverso gli strumenti che “la società dello spettacolo” ha democratizzato con la digitalizzazione e le fonti d’informazione alternativa che erano in precedenza patrimonio di una cerchia ristretta di attivisti e tendenzialmente appannaggio delle classi urbane istruite.
Come dimostra la recente ricerca pubblicata su “Le Monde” – divisa in tre parti – che setaccia i “topoi” dei GJ nella sfera della comunicazione digitale, la questione della violenza dello stato è diventata una delle principali questioni, a cui tra l’altro l’Atto XII è stato interamente dedicato. Un movimento di massa ha conosciuto quella guerra civile a bassa intensità prima riservata da parte dello Stato e dei suoi apparati solo a contesti di lotta localizzati – la ZAD di Notre-Dames-Des-Landes per esempio -, vertenze sindacali di una certa intensità – la lotta degli cheminots contro le privatizzazioni -, i Territori D’Oltre Mare (all’isola della Reunion Macron ha inviato ben presto l’esercito dopo il 17 novembre), o i quartieri popolari.
Il tema della violenza poliziesca fino ad ora patrimonio di una rete di attivisti agguerriti – Il Comité Adama o Desarmons-les! Per non citare che i più conosciuti – è diventato un portato della coscienza politica diffusa, di cui anche i media mainstream sono costretti a parlare, alimentando involontariamente questo processo di crescita.
Forse la sinistra “nostrana” deve ancora maturare ciò che Victor Hugo maturò nel 1841 quando si rese conto della stigmatizzazione negativa che si dava, usando i termini populace e misérable, agli ultimi, che saranno poi i protagonisti di uno dei migliori affreschi del riscatto sociale dell’Ottocento…
Se Gavroche vivesse oggi in Francia, probabilmente porterebbe un gilet giallo e sarebbe considerato un “casseur”.