di Franco Pezzini
È appena uscito, a cura di chi scrive, Il Conte incubo. Tutto Dracula, volume 1, pp. 544, € 25, Odoya, Bologna 2019. Se ne riporta uno stralcio (con citazioni dal romanzo tratte dall’edizione Feltrinelli 2011 a cura di Luigi Lunari, utilizzata a suo tempo per il corso TuttoDracula, 2012-2014, da cui è “figliato” il presente volume); e un riassunto pare opportuno.
Il giovane avvocato Jonathan Harker, partito per la Transilvania, non sta più dando notizie di sé: ciò che preoccupa la fidanzata Mina, ospite dell’amica benestante Lucy nella località vacanziera di Whitby. Presso una postazione panoramica nel cimitero locale le ragazze si intrattengono con tre vecchietti, molto colpiti dalla bellezza di Lucy (e ispirati a tre vecchi pescatori che proprio a Whitby avevano raccontato a Stoker una serie d’incredibili storie di mare, come sappiamo dalle note dell’autore). Uno di questi, Swales, borbottando come gli omologhi del Muppet Show, se ne esce a beneficio delle ragazze in un’acidula e gigionesca esegesi delle iscrizioni sulle tombe lì attorno. Qualcosa è nell’aria…
I segnali del tempo
26 luglio
Torniamo al diario di Mina Murray, che avevamo interrotto con lo spettacolino di Swales quel 1° agosto da intendersi come 25 luglio. E facciamo ritorno alle sue pagine più private, alle considerazioni che il chiacchierare con Lucy davanti ai vecchietti lascia nella penombra del suo cuore.
Mina è molto agitata, e le è di sollievo scrivere il diario, insieme sussurro a se stessa e ascolto, anche per la peculiarità della stenografia (a tornare alle variegate funzioni del registro epistolare). È anzitutto preoccupata per Jonathan. Il gentilissimo Hawkins, il titolare dello studio di Jonathan a cui si era rivolta per notizie, le ha girato un messaggio appena ricevuto dal giovane, una riga dal Castello Dracula in cui il fidanzato accenna solo di essere in partenza (il dattiloscritto originale aggiungeva che probabilmente farà una sosta da qualche parte sulla via del ritorno): “Questo non è da Jonathan e mi mette a disagio”. Ma è preoccupata anche per Lucy: “anche se sta benissimo ha ripreso da un po’ la sua vecchia abitudine di camminare nel sonno”, per cui d’accordo con la madre di lei Mina ogni sera chiuderà a chiave la porta della stanza che le ragazze condividono. “La signora Westenra è convinta che i sonnambuli salgano sui tetti delle case e vadano in giro lungo i bordi dei precipizi, e che poi si sveglino all’improvviso e precipitino giù con un grido che echeggia dappertutto all’intorno”. Anche il padre di Lucy “soffriva dello stesso disturbo”: e qui emergono due temi.
Da un lato iniziamo a renderci conto che in Dracula i genitori latitano. Di quelli di Jonathan non si parlerà mai, e Hawkins ricopre un ruolo in qualche modo paterno; Mina non li ha mai conosciuti, come apprenderemo più avanti. Lucy invece ha una madre, ma piuttosto fragile ed evidentemente vedova… E insomma questa latitanza dei genitori pare un segno dei tempi, in quello scorcio di fine età vittoriana che vede arrivare in rotta di collisione il secolo nuovo: un motivo che non sarà senza conseguenze sul piano della trama.
Il secondo tema è naturalmente quello dei sonnambuli (sleepwalkers), altro topos delle inquietudini romantiche e ulteriore forma dello spossessamento di sé: dopo Harker alle soglie della follia, Seward il mad doctor un po’ sopra le righe e Renfield decisamente pazzo troviamo Lucy sonnambula: come suo padre, e in attesa d’incontrare altri agìti, ossessi posseduti ipnotizzati. Ora, l’uomo di teatro Stoker ricorda ovviamente il sonnambulismo come stazione della follia di Lady Macbeth, forse il peso del tema nel dramma Il principe di Homburg di Heinrich Von Kleist, 1808 e probabilmente l’opera lirica La sonnambula di Vincenzo Bellini, 1831, su libretto di Felice Romani, che a Londra ha fatto furore (ne circola anzi una versione un po’ spuria e parzialmente tradotta in inglese); ma forse anche romanzi come Edgar Huntly, Or, Memoirs of a Sleepwalker di Charles Brockden Brown, 1799, e Tess of the d’Urbervilles di Thomas Hardy, 1891. Non sappiamo invece se Stoker sia a conoscenza del fatto che John William Polidori, il dottore e compagno di viaggio di Byron presente a Villa Diodati nella celebre estate dei mostri (giugno 1816) e autore di “Il vampiro”, si fosse laureato a Edimburgo con una tesi sul sonnambulismo.
Proprio in riferimento ai soggetti in stato di suggestione ipnotica il linguaggio ottocentesco ricorrerà a immagini di ordine meccanico: il suggestionato è paragonato a una macchina e generalmente a un automa – termine che Charcot utilizzerà a proposito delle suggestioni muscolari da lui prodotte sulle isteriche – sottolineando che è in mano a un altro. In quest’ottica patologica, inevitabile per Lucy cadere preda dall’altro che viene. Stoker conduce sul tema letture, e gli appunti sono rivelativi di una serie di connessioni rilevanti per il romanzo. Dal volume di F. C. & J. Rivington, The Theory of Dreams, 1808 (cfr. gli appunti, da “Page 105” a “Pag. 107”), spigola per esempio la citazione di Thomas Browne, Religio Medici, sul sonno come stato tra vita e morte, e quelle di Samuel Garth, The Dispensary (1706) e George Cheyne, The English Malady; or, A Treatise of Nervous Diseases of All Kinds, as Spleen, Vapours, Lowness of Spirits, Hypochondreacal and Hysterical Distempers, etc. (1733) su casi di catalessia (cfr. in particolare quello del Col. Townshend citato da Cheyne, con impressionanti caratteri di morte apparente: cuore inavvertibile, mancanza di respiro ad appannare uno specchio eccetera).
Certo, i pensieri di Lucy sono tutti concentrati sul matrimonio quell’autunno, su “come sarà il suo vestito e […] come dovrà sistemare la casa”: il matrimonio – ora scopriamo qualcosa di più – con il “signor Holmwood, ovvero l’Hon. Arthur Holmwood, figlio unico di Lord Godalming”. E Mina, che pure la capisce, perché anche lei sogna il matrimonio, non può che constatare la diversa situazione: visto “che io e Jonathan cominceremo la nostra vita in tutta modestia, badando soprattutto a far quadrare i conti”.
Anzi, Arthur verrà di lì a poco, “non appena potrà lasciare la città, perché suo padre non sta molto bene”: un altro segno di crisi del mondo dei genitori che a un certo punto spariranno all’improvviso, lasciando alla nuova generazione la necessità di sostituirli con padri putativi. Cioè, per intenderci, Dracula e Van Helsing.
27 luglio
Cioè un giorno dopo. “Nessuna notizia di Jonathan”, Mina è sempre più preoccupata. Come se non bastasse,
Lucy cammina nel sonno come non mai, e ogni notte vengo svegliata da lei che gira per la stanza. Fortunatamente, fa così caldo che non può prendere freddo. […] Grazie a Dio, la salute di Lucy regge. Il signor Holmwood è stato chiamato improvvisamente a Ring, dove suo padre si è seriamente ammalato.
Lucy frigge per questo rinvio del loro incontro, ma la cosa non ha conseguenze sul suo aspetto. Si è irrobustita un filino, e le sue guance sono sempre di un delizioso rosato. Ha perso quel suo aspetto un po’ anemico. Spero che duri.
Insieme all’aggravarsi della crisi dei padri, inizia qui a profilarsi un altro tema, quello della donna sofferente. Anemica, come vittima di un vampiro: e se ora sta meglio, il suo rigoglio è ancora e sempre nel segno della vanitas, il “delizioso rosato” che prelude alla sfioritura. “Spero che duri”: e infatti il lettore (anche chi, come i primi, non sa cosa accadrà a Lucy) coglie già un retrogusto amaro, a preludere a quel tema della donna inferma – poi morente e infine stesa nella bara, una sequenza di fortissimo impatto nell’arte dell’epoca – che più avanti troverà sviluppo.
3 agosto
Sono passati altri giorni, Mina è sempre più preoccupata per Jonathan, spera non sia ammalato: “Penso alla sua ultima lettera, che però non mi basta. Non sembra neanche sua, eppure la calligrafia è quella. Su questo non c’è dubbio”: un’ulteriore variante sul tema della crisi nella comunicazione, perché a volte la lingua e la grafia si capiscono, ma è qualcos’altro a restare impenetrabile.
“In quest’ultima settimana Lucy non ha camminato molto nel sonno, ma c’è in lei una strana concentrazione e anche quando dorme sembra che mi osservi”: non solo Renfield [il folle della clinica psichiatrica del dottor Seward] è sotto osservazione, ma come per una forma di contaminazione anche Lucy diventa una “paziente”, e svela un atteggiamento quasi vampirico (si pensi all’immagine incontrata in precedenza di Dracula quiescente ma obliquamente vigile). “Prova la maniglia della porta, ma trovandola chiusa si aggira per la stanza in cerca della chiave”, quasi a vivere in termini di mimesi e proiezione per la sua compagna di stanza la disperata ricerca delle chiavi del castello da parte di Jonathan.
6 agosto
“Altri tre giorni, e nessuna notizia. Questo silenzio si sta facendo terribile”: la crisi della comunicazione – di Jonathan non si sa più nulla – sembra investir qui la stessa struttura narrativa, una provocatoria mancanza di epistole in un romanzo epistolare. Inevitabile pensare all’immagine bellissima del Nosferatu di Murnau in cui Ellen siede tra le dune punteggiate di tombe, davanti al mare, attendendo notizie sul ritorno del marito.
Se Mina prega che Dio la renda paziente, “Lucy è più eccitabile che mai, ma per il resto sta bene”: ancora una volta sembra di sentir parlare Seward di Renfield. Come del resto via via vedremo, il profilo di Lucy flirta e poi accederà pienamente alla condizione dell’isterica secondo le categorie mediche del tempo.
“Ieri sera c’era un’atmosfera pesantissima e minacciosa, e i pescatori dicono che siamo lì lì per una tempesta”: a preparare l’evento del capitolo successivo. A incombere è una tempesta che non si consuma in un puro dato meteorologico, accedendo a una dimensione simbolica e archetipica in tutto il ventaglio delle possibili implicazioni. “Devo cercare di osservare e di imparare a conoscere i segnali del tempo”, registra Mina, nella sua profondità di persona che osserva e medita: quei veri e propri segni dei tempi di una crisi epocale che dal profondo delle singole vite è pronta a dilagare nella storia.
Oggi è una giornata grigia, e mentre scrivo il sole si nasconde dietro spesse nuvole, alte sopra il Kettleness. Tutto è grigio – eccetto l’erba verde, che vi si staglia come uno smeraldo; grigia la roccia terrosa, grigie le nuvole, che sfumano ai bordi estremi nella luce del sole, e che gravano sul mare grigio, sul quale le lingue di sabbia si allungano come altrettante dita [quasi a predefinire visionariamente quell’icona espressionista della mano artigliante che verrà riconosciuta di lì a qualche decennio come archetipo di minaccia]. Il mare si accalca sopra le secche e sulle lingue di sabbia con un ruggito, attutito dalle nebbie che muovono dalla terraferma. L’orizzonte si perde in una grigia foschia. In questa grandiosità, le nubi si accumulano come rocce giganti, e dal mare si intende un brontolio che suona come un presagio di morte. Qua e là sulla spiaggia si intravedono delle figure, quasi avvolte in un sudario di nebbia, che paiono “uomini come alberi che camminano”. I pescherecci si affrettano per tornare a casa, e salgono e sprofondano tra le onde mentre imboccano il porto, piegati fino alle murate.
Una pagina bellissima, che non si consuma nella fascinazione romantica a effetto ma dice molto di un clima interiore. E in effetti qui Stoker importa nel testo quasi alla lettera un proprio appunto 11 agosto 1890 (“Page 70”). Dove badiamo a quegli “uomini come alberi che camminano”, espressione che richiama proprio un’osservazione di Stoker, di eco evangelica (cfr. Mc 8,24, l’episodio del cieco di Betsaida che risanato da Gesù e vedendo per la prima volta ha proprio questa sensazione) e insieme teatrale (la profezia del bosco di Birnam nel Macbeth). A evocare da entrambi i fronti l’irruzione del paradosso nelle categorie di chi vede: come l’albero, il morto dovrebbe star fermo. Ma insieme a veicolare una serie di implicazioni: il tema degli occhi che si aprono, perché Mina si troverà a conoscere attraverso le vicende del Dracula una sorta di illuminazione a dimensioni inimmaginate delle realtà; il tema di una minaccia appunto inimmaginata e incombente da parte di un nemico in avvicinamento, un tiranno; e in entrambi i casi (il miracolo, la profezia) riguarda in qualche modo il sovrannaturale.
Insomma, in questo grigiore inquietantemente profetico, occorre proprio che Mina impari a riconoscere i segnali del tempo: a partire da quello meteorologico che in effetti verrà inflenzato dal vampiro.
Ma ecco arrivare Swales, che ora con modi mutati e molto gentile spiega che vorrebbe dirle una cosa: e Mina gli prende la mano. Lui, mesto e imbarazzato, spiega allora di temere d’averla scandalizzata con tutte le cattiverie dette in quel periodo a proposito dei morti. “Ma non parlavo sul serio, e voglio che ve lo ricordiate bene quando me ne sarò andato”. Spiega che alla morte chi è vecchio non ama pensarci, ma non fa paura e riderne aiuta a tirarsi su di morale: e “io ai cento gli son tanto vicino che già vedo lo Scheletro che affila la falce. […] Un giorno o l’altro dei prossimi l’Angelo della Morte suonerà la tromba per me” (pensiamo anche qui alle immagini di morte della Ballata del vecchio marinaio). Poi, visto che Mina si sta commuovendo, la esorta a non piangere per lui:
se anche venisse stanotte, io non marcherò visita. Perché la vita, tutto sommato, è solo un aspettare qualcos’altro rispetto a quello che stiamo facendo, e la morte è l’unica cosa su cui possiamo contare senz’altro. Ma a me va bene che venga, mia carina, e che venga presto. Magari viene che noi siam qui che guardiamo e ci domandiamo quando. Magari è là, in quel vento in mezzo al mare che sta portando disgrazie e naufragi, dolore e basta! Guardate! Guardate!’ ha gridato improvvisamente, ‘c’è qualcosa in quel vento e nella sua voce che canta, e sembra, e ha l’odore, e il sapore della morte. È nell’aria. Lo sento che viene. Signore, fa’ che io risponda con cuore sereno quando sarò chiamato!’ Ha sollevato in un gesto devoto le braccia, e poi si è tolto il cappello. Le sue labbra si muovevano come se stesse pregando. Dopo pochi minuti di silenzio, si è alzato, mi ha stretto la mano, mi ha benedetto, mi ha detto addio e zoppicando se ne è andato. Tutto questo mi ha commosso e mi ha molto sconvolta.
Mina in precedenza aveva detto, sia pure con espressione scherzosa, che il signor Swales è l’Oracolo dei vecchietti: e in effetti qui eccolo presentire la natura mortifera di ciò che si sta avvicinando. Ma in realtà Swales rappresenta un’altra delle figure “simmetriche” del Dracula, nel suo caso rispetto a Renfield, e non a caso appaiono presentati a poca distanza uno dall’altro. Entrambi infatti interagiscono con Mina e ne vengono “convertiti”, ed entrambi verranno uccisi da Dracula; ma uno, Swales, parla sempre di morte, e l’altro, Renfield, sempre di vita. Swales è l’Oracolo dei vecchietti, Renfield come vedremo il veggente dell’Anticristo.
A distrarre Mina arriva il guardacoste, tenendo d’occhio una strana nave. La riconosce per russa, ma si sta muovendo – spiega – in modo stranissimo, senza saper decidersi se far rotta a nord o riparare lì. Il pilota pare impazzito, sembra che il timone non faccia niente, “e la nave si volta dappertutto a ogni sbuffo di vento. Ne sentiremo altre sul suo conto, entro domani a quest’ora”.