di Giacomo Marchetti
Il superamento della soglia dei due mesi di mobilitazione segna un inedito nella storia dei movimenti politico-sociali transalpini contemporanei, superando per durata la prima ondata scioperi ed occupazioni delle fabbriche durante il Fronte Popolare nel maggio 1936 ed il Maggio francese del 1968. Basterebbe solo questo dato, a rivolgere l’attenzione dovuta al sociale in ebollizione della popolazione quinta potenza economica mondiale nonché secondo attore di primo piano della UE, dopo la Germania.
Dopo l’Atto IX di sabato 12 gennaio ed in previsione dell’Atto X di sabato 19 non vi è alcun tangibile segnale di smobilitazione, ma anzi è stata calendarizzata una ricca agenda di iniziative per le settimane a venire e si stanno concretizzando alcune prospettive di allargamento della protesta, che solo la scarsa e pessima informazione che giunge nel Bel Paese permette di non apprezzare.
Certamente, ormai gli stessi giornali mainstream non possono ignorare alcuni fatti innegabili, come lo scarsissimo consenso di cui gode Macron o la longevità del movimento, ma si adoperano non poco per non far esondare l’onda gialla anche all’interno de nostri confini così come è avvenuto in molti altri Paesi.
Lo schiaffo ricevuto da Di Maio da parte di differenti profili di rilievo della protesta, in particolare da Eric Drouet, alla possibilità di incontro e di collaborazione, è un dato che deve far riflettere.
Nonostante la scarsezza di informazioni e la mancanza di esaustivi elementi di comprensione di cui godono gli italiani sulle vicende francesi un sondaggio di dicembre pubblicato da “La Repubblica” lunedì 14 gennaio e commentato a pagina tredici del giornale da Ilvo Diamanti rivela il seguente dato: il 63% degli italiani intervistati ha detto che “il popolo francese fa bene a protestare contro il governo (47%) e crede anche che la protesta si allargherà ad altri paesi (16%)” (il 66% al Centro-Sud e il 71% al Sud e nelle Isole).
Come riporta l’autore solo 2 italiani su 10, in particolare, si dicevano “contrari” alle mobilitazioni. E sono gli operai e i disoccupati le categorie professionali che maggiormente sostengono la protesta.
Un altro dato: le percentuali sopra elencate, se divise per espressione del voto dichiarato toccano l’82% tra il M5S.
Si capisce così bene, la gravità dell’insuccesso di Luigi Di Maio nel non essere stato in grado di tessere un rapporto nemmeno con l’ala cosiddetta “moderata” della marea gialla.
Ma torniamo alla Francia.
Un primo dato è stato il ripetersi delle mobilitazioni delle gilets jaunes anche domenica 13 gennaio, dopo le riuscite iniziative che hanno avuto luogo in tutto l’Esagono la domenica precedente.
Le donne sono state co-protagoniste della mobilitazione dal 17 novembre, ed hanno pagato un caro prezzo – la prima vittima è stata proprio una donna investita il primo giorno dei blocchi – ed hanno dato visibilità alla condizione femminile all’interno delle classi subalterne, rivendicando la volontà di potere incidere direttamente sulle proprie vite al di là del ruolo in cui le confina la divisione sessuale del lavoro nel continuum di una esistenza divisa tra una occupazione meno pagata di quella degli uomini, spesso a tempo parziale o precaria e il lavoro “gratuito” di cura tra le mura domestiche.
Queste mobilitazioni sono una re-interpretazione vivificante delle “marce delle donne” che avevano caratterizzato il processo rivoluzionario contro l’Ancien Règime, e si riappropriano di uno spazio pubblico auto-determinando la propria azione.
Un segnale importante che le attiviste delle reti femministe hanno incominciato giustamente a cogliere.
Un secondo dato è la sempre più vicina convergenza a livello nazionale tra il sindacalismo combattivo della CGT e di Solidaires – che ha aderito e invitato alla partecipazione per l’Atto IX e i JG. Differenti Assemblee generali di differenti località hanno chiesto ai sindacati la proclamazione dello sciopero generale. È avvenuto a Lille, Bordeaux, Montpellier e a Tolosa, tra gli altri.
A Tolosa, che è stato uno degli epicentri della protesta, ed una delle città dove si maggiormente allargata la mobilitazione per composizione sociale (studenti medi ed universitari, per esempio) l’Atto IX è stato caratterizzato da azioni, comunicazione e percorso comunemente decise nell’incontro del giovedì tra GJ, studenti e organizzazioni sindacali. E lunedì mattina, 14 gennaio, c’è stato un blocco a sorpresa del casello autostradale di Tolosa che ha bloccato massicciamente il traffico pesante.
In generale c’è una innegabile effervescenza di lotte a livello sindacale, dove vertenze specifiche e localizzate traggono forza e ricevono solidarietà in un clima sociale piuttosto mutato e assai più ricettivo alle ragioni di chi le attua e gode generalmente di maggiore consenso.
Questa pressione si è riversata nella dirigenza sindacale, come nel caso della CGT che ha tra l’altro esplicitato che non parteciperà al “Grand Debat” organizzato da Macron, a differenza della CFDT.
Un miserabile tentativo del presidente dei ricchi di cooptare all’interno della sua politica di austerity e repressione, alcuni corpi intermedi.
Le assemblee generali si stanno svolgendo in differenti realtà cittadine, strutturandosi in gruppi di lavoro, costituendo una forma di democrazia diretta in grado di fatto di impedire il recupero politico da parte di porta-voce selezionati dai media-mainstream funzionali alla strategia dell’establishment di inquadramento dentro un piano delle compatibilità, oltre che di dotarsi di una agenda politica che vada oltre la scansione “per atti” che ha caratterizzato fino ad oggi la protesta radicatasi nei presidi nelle rotatorie e nei caselli autostradali.
Il 26 gennaio si terrà a Commercy un primo incontro nazionale delle realtà locali dei GJ. Da questa città della Meuse è venuto il primo appello a strutturarsi in assemblee fatto al movimento che ha avuto un discreto eco, e poi un secondo appello che ha promosso appunto questo importante momento di incontro veicolato sempre attraverso un video-messaggio (con sei uomini e sei donne che si alternano prendendo parola), a cui hanno aderito ben più di una ventina di realtà che hanno strutturato delle assemblee, et similia, nel proprio territorio.
Se i presidi sono stati un primo luogo di politicizzazione di massa, oltre che i punti di riferimento e i propulsori della protesta, diventando delle vere e proprie “zone à defendre”, spesso sgomberate per poi essere rimesse in piedi, le assemblee cittadine costituiscono una forma di coinvolgimento a più ampio raggio, in grado di dotarsi di strumenti organizzativi, prassi decisionali, e capacità di relazione che definiscono una forte autonomia del movimento.
Terzo dato: anche il mondo della scuola sembra rientrare nuovamente nella mobilitazione, dopo di fatto due settimane di blocchi ed iniziative permanenti tra la fine di novembre e le prime due settimane di dicembre che erano state soprattutto caratterizzate dal protagonismo degli studenti medi e degli universitari, ed in dose minore dal corpo docente. Il 12 dicembre è stato creato un gruppo FB chiamatosi “Stylos Rouges” che ha avuto un notevole successo di adesioni e che ora conta più di 60.000 iscritti, che ha svolto anche una assemblea generale nell’ Île-de-France per iniziare uno scambio reale e decidere le azioni di lotta da attuare.
Al centro delle rivendicazioni delle stylos rouges ci sono un adeguamento salariale fermo da tempo, la diminuzione del numero degli alunni nelle classi, lo “sganciamento” delle risorse dell’istruzione dalle logiche budgetarie propugnate dall’esecutivo, la valorizzazione della propria funzione bistrattata dall’establishment e al centro di una campagna culturale di stigmatizzazione negativa che va avanti da tempo, così come l’opposizione alle riforme propugnate dal governo, contro cui si battono gli studenti stessi.
All’interno del loro dibattito c’è naturalmente il rapporto con il movimento dei GJ, le tipologie d’azione da intraprendere ed il rapporto con i sindacati degli insegnanti.
Si può affermare che in un certo senso le SR, che hanno una serie di rivendicazioni “classiche” dei sindacati di categoria, e che sono anche appartenenti ai sindacati (che comunque hanno un atteggiamento assolutamente interlocutorio con questo neo-nato gruppo), siano riuscite a catalizzare l’attenzione e a far partecipare -per ora a livello di discussione – fasce di lavoratori che non erano state ancora intercettate dalle organizzazioni tradizionali, in special modo le porzioni più vulnerabili di questa categoria, fungendo da volano affinché emergesse una condizione all’oggi sempre meno tutelata. Il 17 gennaio, una serie di sigle sindacali e due organizzazioni nazionali dei medi superiori hanno indetto una giornata di mobilitazione, in preparazione di una giornata di sciopero e di iniziativa il 24 gennaio.
In conclusione, nonostante la feroce repressione a cui il movimento va incontro, l’atteggiamento di fermezza dell’esecutivo, e l’incitamento all’odio di classe “dall’alto” perpetrato da differenti figure dell’establishment dei media e della cultura, non si danno segni tangibili di logoramento.
Alla fine, la lezione più grande che ci sta dando il movimento francese è che la rottura, quando è data, travolge “tutta la vecchia merda” e crea un immaginario per cui la rivoluzione nel XXI Secolo non appare solo come un orizzonte auspicabile ma una possibilità concreta.
Certo la Storia apre delle brecce che richiude in fretta, in cui la qualità del tempo fa dire alla determinazione degli insorti: “Es Ist Zeit!”
Così quando ogni gesto e parola trasuda la non volontà di tornare indietro, ma di voltare le spalle a ciò che è stato, l’irreversibilità di un processo – qualsiasi sia il suo sbocco – segna un avanzamento del processo di emancipazione.
Abbiamo di fronte un sistema politico che si sta sgretolando a causa delle fratture da tempo apertesi che non ha saputo, né voluto ricomporre, sulla spinta di un movimento popolare composito e proteiforme che ridona nuovo e pieno senso alle parole di una vecchia lapide dedicata ai partigiani sulle alture genovesi: “che sia di monito ai nostalgici, forza bruta non vince, ma vince volontà di popolo”.
(Qui, qui, qui e qui sono leggibili gli altri articoli sui gilets jaunes pubblicati su Carmilla)