di Gioacchino Toni
Joyce Carol Oates, Il collezionista di bambole, Il Saggiatore, Milano, 2018, pp. 272, € 22,00
La raccolta Il collezionista di bambole, pubblicata in italiano da Il Saggiatore con la traduzione di Stefania Perosin, uscita in lingua inglese con il titolo The Doll-Master (2016), raccoglie sei brevi e gelidi racconti della scrittrice americana Joyce Carol Oates ambientati all’interno di quell’ordinaria vita americana fatta di colpi di arma da fuoco più o meno partiti incidentalmente, processi che debordano facilmente dalle aule dei tribunali per investire le comunità locali ed i social media, piccole e grandi fissazioni individuali che si trasformano facilmente in ciniche e criminali perversioni.
Sei storie attraversate da un’angoscia, un’inquietudine e una violenza che si estendono ben oltre i protagonisti e che finiscono per tratteggiare un universo sempre più delirante e incomprensibile. Sei storie mancanti di finale risolutivo che sembrano interrompersi improvvisamente lasciando chi legge con la sensazione che non esiste per queste gelide storie possibilità di un finale vero e proprio e che basterebbe girare lo sguardo di lato rispetto alla vicenda di cui si è stati spettatori per ricominciare da capo con un’altra storia non poi così differente, un’altra vicenda in cui non si saprà discernere facilmente tra vittima e carnefice, in cui sarà impossibile fidarsi di questo o quel personaggio.
Ecco allora che le bambole collezionate possono trasformarsi in donne trattate come oggetti su cui è possibile sfogare qualsiasi ossessione personale (Il collezionista di bambole), ecco che fatichiamo a capire se il bianco assassino di un ragazzino di colore ha davvero agito per legittima difesa o se il suo gesto sia macchiato da pregiudizi razziali in un contesto in cui tutti sembrano schierarsi per affinità di colore di pelle (Soldato), ecco che una ragazzina in fuga dalla madre si ritrova catapultata nel viscido universo domestico dell’amica (Grande Madre) o, ancora, eccoci di fronte a un cinico antiquario di libri gialli che passa velocemente dal ruolo di carnefice a quello di vittima (Mystery, Inc.) ecc.
Dopo che nel grande affresco della tetralogia Wonderland Quartet – composta da A Garden of Earthly Delights (1967), Expensive People (1968), Them (1969) e Wonderland (1971), pubblicata in lingua italiana sempre da Il Saggiatore nel 2017 [su Carmilla] – l’autrice, ricorrendo a storie in cui i desideri dei protagonisti finivano inesorabilmente per infrangersi a contatto con una società violenta e impietosa, aveva messo in scena una sorta di parabola sociale e morale statunitense da cui era assente il consolatorio happy ending dispensato da tante narrazioni americane, non solo manistream, Oates con The Doll-Master «torna a scandagliare la crudele vulnerabilità umana, evocando le esplorazioni di Edgar Allan Poe, Howard Phillips Lovecraft, Thomas Ligotti. Con Il collezionista di bambole restituisce al genere nero il suo naturale complemento di candore: la follia che diventa congegno di morte nasconde una traccia di tenerezza, un incantamento segreto, soffice e morbido come l’imbottitura di una bambola».
Nelle storie raccolte ne Il collezionista di bambole troviamo sia prede che predatori trasformati in prede, ed è orchestrando questi costanti cambiamenti di ruolo che toccano i personaggi che con grande maestria Joyce Carol Oates costruisce scenari e situazioni che proiettano chi legge nel baratro più oscuro e profondo dell’immaginazione. «Il suo universo narrativo è un mare di catrame in cui ribollono personalità alienate, bestie primitive e fragili vittime abbandonate a se stesse. Ma è anche il nucleo scuro e pulsante della società americana, la società che sotto la patina dorata di un provincialismo perbenista tenta di celare il proprio vero volto – sinistro, inquietante, spettrale. Tra capannoni abbandonati, ali dismesse di fattorie del New Mexico e località di villeggiatura affacciate sull’Atlantico, Joyce Carol Oates spara colpi di revolver precisi, infallibili, che vanno dritti al cuore avvelenato dell’America».