di Marc Tibaldi
Intervista a Emmanuel Mbolela, autore di Rifugiato. Un’odissea africana
Libertà di migrare, solidarietà, lotta, questi sono forse i tre concetti su cui si articola il libro Rifugiato. Un’odissea africana di Emmanuel Mbolela, pubblicato prima in Germania e Francia e ora tradotto in Italia da Agenzia X (pp.190, 15 euro). L’autore del libro, Emmanuel Mbolela, è stato militante dell’opposizione e ha dovuto fuggire dalla Repubblica Democratica del Congo nel 2002, ha poi ottenuto asilo politico in Olanda, nel 2008. Il suo viaggio è durato sei anni durante i quali ha affrontato – come migliaia di altri africani in questi anni – difficoltà e sofferenze: racket, contrabbandieri, agguati nel deserto del Sahara, lavoro nero e, infine, la rete del Marocco, dove è rimasto bloccato per quattro anni. Lì con altri compagni fondò l’associazione dei rifugiati congolesi in Marocco, rifiutando di essere vittime silenziose e impotenti, organizzando lotte e reti di solidarietà. Da lì ha incontrato reti di attivisti pro-rifugiati in Germania e co-fondato l’associazione Afrique-Europe Interact.
Le migrazioni sono la questione sociale globale in cui l’indifferenza si sposa all’ipocrisia, con un capovolgimento dell’evidenza: i soggetti che partono dall’Asia e dall’Africa, migranti o profughi, che affrontano viaggi interminabili e rischiano la morte per terra e per mare, sarebbero i privilegiati che sottraggono agli sfortunati europei le risorse indispensabili al benessere e minacciano la sicurezza. Le vittime diventano così carnefici delle presunte identità nazionali. Il rovesciamento ha effetti paurosi. Le organizzazioni umanitarie, che si occupano di salvare i migranti, sono state bersaglio di una campagna di diffamazione – a cui hanno partecipato partiti e giornali di destra, trasmissioni scandalistiche, magistrati e ambienti fascistoidi che si nascondono dietro associazioni di studi geo-politici. Tutto questo è servito a legittimare, agli occhi di un’opinione pubblica disinformata e indifferente, le politiche europee e italiane di “contenimento dei migranti”. Con Emmanuel Mbolela abbiamo cercato di decostruire questa narrazione. Fin dalle prime risposte è evidente che Emmanuel non è interessato a parlare di sé, non vuole essere biografico. Le sue dichiarazioni sono frutto del sapere delle lotte e delle reti di solidarietà che ha vissuto e contribuito a creare. Porta il discorso sempre sul piano politico, mai su quello personale, non vuole fare l’eroe o il leader, ma dare un contributo politico a questioni politiche.
In un bel libro recente dal titolo Libertà di migrare. Perchè ci spostiamo da sempre ed è bene così (Einaudi, pp. 144, 12 euro), Telmo Pievani e Valerio Calzolaio, appoggiandosi alle ricerche del genetista Luigi Luca Cavalli Sforza, dimostrano – oltre all’unica origine africana – che le popolazioni umane migrano da milioni di anni, per necessità o per scelta. È così che l’essere umano si è evoluto. Si emigra per necessità, ma si emigra anche per desiderio…
Da che il mondo esiste le migrazioni sono sempre avvenute, e sicuramente nei giovani che partono c’è una compresenza di motivazioni. Con la planetarizzazione delle comunicazioni e dell’informazione, c’è il desiderio di conoscere, di viaggiare, di avere la possibilità di essere più liberi. Il pianeta Terra è la casa di tutti e le strade che gli uomini e le donne migranti intraprendono per venire in Europa non sono gli africani che le hanno create, le hanno create gli europei per saccheggiare l’Africa, queste strade oggi devono essere libere e sicure per i migranti che vogliano farle nel senso inverso. D’altro canto vorrei sottolineare che per molti non si dovrebbe parlare di migrazione economica, ma di persecuzione economica, perché la povertà e la mancanza di risorse da cui si fugge è il risultato del colonialismo prima e oggi dello sfruttamento delle multinazionali che hanno la protezione di governi corrotti. Uno dei discorsi che si ascoltano in Europa è che con la conquista dell’indipendenza dal colonialismo la colonizzazione nei Paesi africani sia stata annullata. Purtroppo non è così l’eredità del colonialismo e la colonizzazione sono continuati con lo sfruttamento delle risorse e delle materie prime da parte delle multinazionali e dal ricatto – a livello strutturale ed economico – delle politiche della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale.
Quando sei partito avevi idea di cosa avresti dovuto affrontare?
Avevo partecipato alle lotte contro la dittatura e a causa della repressione ho dovuto decidere di partire senza preparazione. Prima in Congo Brazaville, e poi attraverso quattro Paesi e migliaia di chilometri ho raggiunto il Mali, per affrontare la durissima traversata del deserto e arrivare in Algeria. Dopo due anni di viaggio riuscii a raggiungere il Marocco. Ma il calvario no era finito, lì non avevamo nessun diritto, non avevamo la possibilità di lavorare, la repressione era feroce e anche la possibilità di essere respinti di nuovo in Algeria.
È allora che vi rifiutate di essere vittime inattive…
Migranti e rifugiati non sono solo vittime, si sanno organizzare. Ci sono due cose importanti, che ho cercato di far emergere nel libro, da un lato, la solidarietà pragmatica e diretta. I migranti si aiutano e si consigliano, non pensano solo a se stessi. È un piccolo mondo che nessuno conosce e che garantisce la sopravvivenza di migliaia di persone. E poi c’è l’auto-organizzazione, la lotta. Forte della mia esperienza politica, ho contribuito a fondare l’associazione dei rifugiati congolesi in Marocco. Organizzammo le prime dimostrazioni davanti all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e abbiamo rivendicato dignità e diritti. Abbiamo iniziato a porre richieste al di là del singolo aiuto e della carità per la sopravvivenza. Abbiamo posto questioni politiche. Quattro anni di lotte. Di sofferenze e di lotte.
Qual è la tua opinione sull’esternalizzazione delle frontiere da parte dell’Europa?
Esternalizzare le frontiere è immorale e illusorio, così com’è illusorio cercare di fermare la migrazione inviando nei Paesi africani le immagini dei morti nel mediterraneo. Il Marocco ha giocato un ruolo di precursore nella politica migratoria europea dell’esternalizzazione: l’Europa, con il primo provvedimento euroafricano del 2006 istituzionalizza formalmente l’esternalizzazione dell’asilo: finanziare il Marocco per rinviare gli esseri umani nel deserto. La caratteristica fondamentale del processo di esternalizzazione voluto dall’Unione Europea apre delle trattative con paesi terzi senza tenere in considerazione quale sia lo stato dei diritti umani in questi luoghi o come vengano gestite dai governi locali le questioni migratorie. L’unico elemento che viene preso in considerazione è quello dell’interesse geopolitico, nel senso che vengono aperte trattative con Paesi “chiave” alla luce della loro vicinanza con l’Europa. Se da sempre si fa un utilizzo strumentale dei fondi allo sviluppo, adesso si è proprio messo nero su bianco che tali aiuti sono incentivi o penalità per chi collabora o meno nelle procedure di espulsione e rimpatrio. Gli aiuti allo sviluppo sono così diventati ufficialmente uno strumento di attuazione di politiche di controllo nei paesi di origine e transito dei flussi migratori. In pratica il traffico di uomini e soldi di cui sono accusati i passeurs viene gestito dall’Unione Europea e dagli Stati coinvolti. Si parla dei trafficanti di uomini come il peggior esempio della specie umana, ma quando le negoziazioni vengono fatte a livello istituzionale, come si è fatto con la Turchia, Marocco, Algeria, così come ora con le milizie libiche, lo stesso traffico di uomini assume un carattere non moralmente denunciabile. Il viaggio viene reso più difficile ma non viene sicuramente fermato il flusso migratorio.
Hai dei consigli o delle critiche per i movimenti europei antirazzisti che appoggiano le lotte e i diritti dei migranti?
Capire realmente perché i migranti si muovono dai propri Paesi d’origine e soprattutto la realtà di quei Paesi, senza accontentarsi di spiegazioni generiche tipo “vengono dalla guerra, vengono dalla miseria”. Sono spiegazioni macro-geografiche che non fanno comprendere i motivi reali e conoscere i reali responsabili di questa situazione.
Sostieni che il libro sia uno strumento di lotta, perché?
Ho fatto più di 300 presentazioni dell’edizione tedesca in Germania, Svizzera e Austria. Poi c’è stata l’edizione francese e ora quella italiana. La vendita del libro serve per dare informazioni reali sulla questione, creare relazioni e collaborazioni, e per sostenere le associazioni di rifugiati subsahariani in Marocco, in particolare un centro per donne migranti a Rabat e anche per la scolarizzazione dei figli dei migranti (prima del 2013 l’istruzione pubblica per i bambini migranti era negata, ora sulla carta è possibile, ma la realtà di povertà la rende difficile).
Nel libro scrivi del “disgusto di vivere, la voglia di morire” che hai provato in certi momenti durante il tuo viaggio, ma scrivi anche che “o reagiamo o finiremo ‘consumati’”, cioè accettando apaticamente ingiustizie e sofferenze. Molto forte è la determinazione delle donne, che ti dicono: “preparati perché verremo a prenderti per andare a fare un sit-in davanti agli uffici del Unhcr e ci rimarremo finchè non ci presenteranno soluzioni degne di questo nome…”. E una giovane madre per spronarti alla lotta: “…se tu hai paura della morte, sappi che io mi considero già morta e quindi non ho paura”.
Una parte interessante del libro è dedicato a come le donne vivono violenza e sfruttamento maggiori rispetto agli uomini, ma anche come siano promotrici di iniziative di resistenza e protesta. Il ruolo della donna in Africa sta cambiando, anche nella mia esperienza di lotta in Marocco senza il coraggio delle donne non saremmo stati così incisivi.
Cosa ti aspetti dalle presentazioni italiane? L’Italia è il Paese dove la retorica dell’”aiutiamoli a casa loro” viene utilizzata da destra a “sinistra”…
L’Italia è un Paese importante nella questione delle migrazioni, è una porta d’ingresso, è il Paese in cui si assiste agli annegamenti, si lascia morire la gente in mare nonostante si abbiano tutti i mezzi per salvarla, e quindi è importante questa traduzione. Penso che la conoscenza e l’informazione reale delle situazioni dei Paesi d’origine sia fondamentale. La retorica dell’”aiutiamoli a casa loro”, sostenuta da partiti e movimenti di varia estrazione, non è valida, è falsa e ipocrita, non solo perché – mi ripeto – il pianeta Terra è la casa di tutti, ma anche perché le strade che oggi gli uomini e le donne migranti intraprendono per venire in Europa non sono gli africani che le hanno create, ma sono le strade che gli europei hanno creato per andare in Africa, oggi devono essere libere e sicure per i migranti che vogliano farle nel senso inverso. Quando gli europei sono arrivati in Africa non sono stati mandati via, anzi, si sono impossessati delle ricchezze e delle materie prime (e i benefici in maggior parte non rimangono in Africa), cosa che le multinazionali continuano a fare, destabilizzando politicamente quei Paesi per avere più facilità nei loro intenti. E le armi che nei Paesi africani vengono usate per le guerre non sono prodotte in Africa, vengono dall’Europa.
Se dobbiamo cercare soluzioni ai problemi del pianeta dobbiamo trovarle assieme, rendendo possibile la libertà di migrare degli esseri umani e ragionando sull’uso delle materie prime.
Nota: Emmanuel Mbolela e il collettivo delle traduttrici che hanno curato l’edizione italiana di “Rifugiato” saranno di nuovo in Italia a inizio 2019, chi volesse organizzare una presentazione del libro può contattare l’editore Agenzia X.