di Giacomo Marchetti
Quando Eric Drouet e Bruno Levevre, il 15 ottobre, hanno creato un evento su Facebook che chiamava a bloccare le strade il mese successivo, probabilmente non avrebbero mai immaginato di “dare fuoco alle polveri”, infiammando la collera sociale latente nell’Esagono e che l’incendio travalicasse i perimetri della Francia metropolitana fino ad arrivare alla lontana isola della Reunion, Territorio Francese d’Oltre-Mare nell’emisfero meridionale dell’Oceano Indiano.
Non immaginavano forse che “un evento” si trasformasse in uno dei più longevi e “radicali” – nel senso di andare alla radice – movimenti della Quinta Repubblica, in grado di ridefinire l’ordine del discorso e stravolgere l’ideologia neo-liberista in salsa francese, cioè l’ordine discorsivo della riscossa padronale.
Non pensavano probabilmente che avrebbero spianato la strada ad un composito corpo sociale pronto finalmente a chiedere il conto ad un monarca repubblicano, Macron, che come pretende ogni epica storica che si rispetti si compie per Atti: siamo al Sesto.
È una rivolta?
No sire, assomiglia più ad una rivoluzione.
Così probabilmente Ghislain Coutard, quando ha lanciato il suo appello agli automobilisti il 24 ottobre, chiedendo di mettere ben in vista sul cruscotto il gilet giallo, come simbolo di quella protesta montante – nata contro l’aumento del prezzo del diesel e della benzina previsto per il prossimo primo gennaio e poi congelato, ma ben presto estesasi al caro vita e al deficit di rappresentanza politica – non pensava probabilmente che quella geniale intuizione avrebbe costituito un simbolo di riscatto, e allo stesso tempo l’incubo per le classi dominanti, in Francia e nel mondo.
La creazione di un immaginario è un processo mitopoietico che ha una profonda base materiale, parte da un oggetto comune liberato dalla valenza “feticista” della merce e trasformato in valore d’uso in grado di imporre un preciso codice comunicativo e capace di replicarsi come significante al di là degli universi linguistici differenti e le culture materiali che li partoriscono, suscitando una immediata identificazione che ognuno declina a suo modo: non è stato forse così per la bandiera rossa e la falce e il martello?
Alla base appunto c’è un movimento reale, quello che abolisce le cose esistenti, che esprime una forza sociale ed ispira una idea in fondo semplice che scioglie l’enigma della soggettivazione e sfida l’intangibilità del potere: l’idea forza è che tutto può che cambiare e che ognuno può essere artefice del proprio destino.
Cosa vogliono questi barbari?
Sire, probabilmente la sua testa.
Per le teste d’uovo d’Oltralpe (non parliamo di quelle nostrane) i Gilets Jaunes sono stati un “oggetto politico non identificato”, l’armata che uscita dall’ombra ha mostrato una rabbia oscena: quella delle madri delle famiglie monoparentali, dei pensionati destinati a crepare di fame nel silenzio e in solitudine, dei giovani precari, della variante francese dei working poor (magari anche iscritti al sindacato), della classe media impoverita e dei suoi sogni evanescenti che vivono lungo la catena dello sviluppo ineguale della Francia periurbana, rurale e nelle zone che la de-industrializzazione ha reso un concatenazione di città fantasma.
Così ecco un blocco sociale in formazione, capace di esercitare egemonia reale e di catturare lo sciame d’odio sociale per indirizzarlo ai piani alti dell’edificio, e di mandare in vacca l’oggettività del pensiero dominante: il vostro paradiso borghese esiste perché sussiste il nostro inferno “popolare”, allora se la contraddizione scoppia è doppia: economica certo, ma anche morale, nel senso più alto del termine.
C’è qualcuno che parla per loro?
No sire, l’unica cosa che dicono è che sappiamo ciò che vogliono
Proviamo a formularla in questi termini: com’è possibile che nella grand puissance moyenne che è il ruolo geo-politico che Macron avrebbe voluto dare alla Francia, quinta potenza mondiale e secondo Paese più importante nella UE, si vive in questo modo?
Come possibile che se sono precario o disoccupato è colpa mia, che se ho un lavoro sono costretto ad esercizi di economia domestica in cui ciò le continue rinunce sono l’unica strategia vincente di sopravvivenza, come è possibile che dopo avere lavorato una vita una esistenza dignitosa è ciò che non ho, ecc., ecc.?
Strano questo movimento che coniuga rivendicazioni sociali a richieste politiche, un fenomeno che si ripete più o meno dai tempi della rivolta dei “ciompi” a Firenze nel cosiddetto Medio-Evo.
Strane queste donne, che sono per la maggior parte precarie e percepiscono generalmente molto meno degli uomini, ma che in alcune zone costituiscono l’unica fonte di reddito per il loro nucleo familiare; che occupano lo spazio pubblico mentre il potere è disposto a tollerare e dar spazio – a volte – al femminismo mainstream delle classi medio-alte urbane istruite, un poco meno a queste dirette discendenti di Louise Michel (parlo del film, per chi storce il naso).
Strani questi operai che per anni hanno conosciuto solo sconfitte, un’opinione pubblica che se non contraria quanto meno era indifferente alle loro rivendicazioni, e padroni che vogliono sempre di più, si uniscano alla marea gialla, talvolta dal primo giorno, magari con la tessera del sindacato in tasca, e magari poi organizzandosi localmente e settorialmente perché hanno trovato una nuova forza, una prospettiva, una battaglia per cui combattere, mettendo in difficoltà la propria dirigenza ogni qual volta “si astiene” dalla lotta e non capisce che se qualcuno si organizza autonomamente si ha solo da imparare, se qualcuno fa cedere il padrone allora bisogna aiutare a farlo capitolare, magari incrociando le braccia.
Magari insieme…
Strani questi studenti, figli dei gilets jaunes, che studiano negli istituti periferici o in quelli delle zone prima descritte, spesso in scuole tecniche o polivalenti con le stigmate della povertà addosso, tra i maggiormente penalizzate dalle recenti riforme scolastiche.
Che hanno avuto i loro “fratelli maggiori” chiamati racaille (marmaglia), e che la polizia tratta quotidianamente come scarti sociali, mentre chi dice di voler risolvere i problemi (di destra o di sinistra) si fa vedere solo per le elezioni.
Chi sono?
Sire, sono le Peuple
È proprio curiosa la dialettica nelle mani dei subalterni perché trasforma il senso delle cose nel loro opposto: il proletariato non distrugge, trasforma, per usare una vecchia espressione politica.
La critica-pratica della vita quotidiana è questo: trasformare la natura dell’oppressione in estetica della ribellione, cambiandogli di segno. Così la “galassia Zuckemberg” si trasforma nel suo contrario dando forma ad una forma di Sparchismo digitale, così come rotonde e caselli autostradali diventano “zone a défendre”.
ZAD che se “sgomberate” vengono spesso rioccupate, o che vengono difese “con ogni mezzo necessario”, o che se non difendibili vengono distrutte…
Che il governo non tolleri che “lo spazio pubblico” diventi realmente tale, procedendo agli sgomberi di questo gigantesco esperimento di urbanismo informale dal basso del XXI secolo è da un lato sintomo di una capacità di cogliere da dove viene il pericolo, quanto la manifestazione più palese del corto-circuito logico della neo-lingua del capitale: uno spazio detto “pubblico” non può diventare veramente tale, il centro del potere-economico politico non può essere attraversato.
Che regni l’ordine repubblicano!
Sire, se ne fottono dell’ordine repubblicano
Questo anche perché coloro che non partecipano direttamente ai presidi, ma che sostengono la protesta con un colpo di clacson, con il proprio gilet jaune ben in vista o dichiarano, ad esterefatti sondaggisti, che sono d’accordo con il movimento (sono il 70% dei francesi intervistati) e che desiderano che continui (sono più della metà) non vedano più quella presenza tangibile di riscatto sociale, i media mainstream faranno poi il loro sporco lavoro spostando l’immaginario verso la guerra sacra dei penultimi contro gli ultimi, vomitando le false discussioni su “immigrazione” e “identità nazionale” proposte da Macron, ben accolte dalla destra e dai giullari di corte.
“Chi è Spartaco?” Ed una folla di schiavi uno dopo l’altro e poi in un coro declama: “io sono Spartaco”, come nel film diretto da Kubrik.
Il Gilet Giallo è un nome collettivo, è il generale Ludd 2.0 gridato a gran voce tra le pieghe delle fratture sociali prodottesi nella Francia attuale.
L’Ancien Règime l’ha capito bene chi è spartaco en jaune, e distilla un piano fatto di promesse inconsistenti, falsificazione mediatiche, tentativo di recupero politico a destra, e tanta, ma tanta repressione, se ne è accorta l’ONU, lo denuncia Amnesty International, ma non la carta straccia dei tabloid nostrani talmente infame, da non dare risalto nemmeno alla denuncia precisa di ben quattro organizzazioni sindacali di categoria di giornalisti, supportate dalla federazione europea e mondiale dei giornalisti sulla violenta limitazione del diritto di cronaca.
Il ceto politico residuale della “sinistra radicale”, tranne lodevoli eccezioni, non si accorge nemmeno di ciò che sta succedendo, meglio cercare di mettere insieme i cocci per un fantasmagorico quarto polo alle elezioni europee che prendere slancio da ciò che succede al di là delle Alpi, e quindi accontentarsi di replicare le analisi che gli fornisce la disinformazione made in Italy, senza fare un minimo di debunking sulle innumerevoli fake news bevute come se fosse oro colato mentre ben tre ricerche “scientifiche” di differenti equipe, i cui risultati sono stati pubblicati sui maggiori quotidiani francesi: una prima da “Le Monde”, la seconda da “Libération”, la terza da “L’Humanité” – smentiscono clamorosamente gli assunti artefatti del peggior giornalismo nostrano di tutti tempi.
Ma bastava ascoltare le loro voci, guardare i loro volti, leggersi le loro richieste per capire cosa avessimo di fronte.
Eppure, appunto un ampio arco di forze politiche è organico alle proteste (si va dalla France Insoumise al PCF passando per l’NPA) – persino i socialisti hanno votato la sfiducia a Macron! – alcune organizzazioni sindacali (specie a livello categoriale e a livello locale) sono dentro il movimento a cui partecipano con rivendicazioni specifiche e con modalità che introducono lo sciopero come modalità d’azione e richiedono a gran voce la proclamazione dello sciopero generale (la base della CGT e tutta Solidaires), alcune organizzazioni studentesche “classiche” dei medi (UNL) e dell’università (UNEF) organizzano blocchi, manifestazioni, assemblee…
Non parliamo poi dell’antagonismo sociale, del mondo ecologista, di un settore della lotta anti-razzista e anti-sessista che ha capito in pieno il significato di co-spirazione: “respirare insieme”, e insieme a loro a respirato lacrimogeni, e preso in faccia tutte le munizioni da guerra civile a bassa intensità che usano le forze dell’ordine.
Il continuum della storia è stato spezzato ed il macronismo diviene un rifiuto che non può essere riciclato nemmeno dall’establishment, mentre la repressione insieme alla “narrazione” di un dialogo sociale ripristinato (ovvero la cogestione della repressione della repressine e dell’austerity) sembrano le uniche exit strategy per un potere che non ha recuperato margini con le briciole concesse, nonostante l’apparato politico-mediatico-sindacale a lui prono mobilitato in assetto da guerra.
In fondo è la lotta di classe, la vecchia lotta di classe che bussa alle porte della Storia, per abbatterle, poco importa se non ce ne accorgiamo, dobbiamo solo scegliere se essere parte del problema o parte della soluzione.
Sire, dove fugge?