di Sandro Moiso
Franco Bertolucci (a cura di), Gruppi anarchici d’azione proletaria. Le idee, i militanti, l’organizzazione. Vol. 2 Dalla rivolta di Berlino all’insurrezione di Budapest: dall’organizzazione libertaria al partito di classe, Quaderni della rivista storica dell’anarchismo 8/2018, BFS, Pisa 2018 – Pantarei, Milano 2018, pp. 784, euro 40,00
Con questo secondo volume, di fatto, si conclude la monumentale opera, curata da Franco Bertolucci, dedicata alla ricostruzione della breve ma intensa esperienza dei GAAP (Gruppi anarchici di azione proletaria) che, tra il 1949 e il 1956, vide alcuni importanti esponenti dell’anarchismo e del comunismo estraneo alla tradizione stalinista e togliattiana impegnati nel tentativo di dare vita ad un’organizzazione politica di classe che convogliasse tra le propria fila e nel proprio programma gli aspetti migliori di una militanza proletaria e di una teoria che fossero avulse dall’ormai evidente tradimento della causa rivoluzionaria messo in atto da formazioni ed organizzazioni che formalmente si richiamavano ancora al marxismo e agli interessi del proletariato in quanto classe ben distinta, sia a livello nazionale che internazionale, tanto da quella imprenditoriale legata al capitale privato che da quella che, ammantandosi di socialismo farlocco, rappresentava ormai soltanto più gli interessi di un capitalismo di Stato travestito da patria del proletariato.
Una stagione durissima per la militanza proletaria, che seguiva una stagione in cui le dittature dell’Occidente (nazionalsocialismo e fascismo) e quella che reggeva l’U.R.S.S. avevano in egual modo contribuito alla distruzione delle autonome organizzazioni di classe, riuscendo a coinvolgere il proletariato mondiale in uno scontro militare che aveva avuto come unico esito quello di dar vita a due super potenze che si erano spartite il pianeta e le sue risorse in nome di posizioni ideologiche apparentemente divergenti, ma in realtà convergenti nel ristabilimento di un ordine gerarchico e politico destinato a tarpare le ali a qualsiasi tentativo di rivolgimento proletario nei territori da esse direttamente occupati militarmente oppure amministrati da partiti “fratelli” o amministrazioni fedeli alle alleanze militari (NATO e Patto di Varsavia) create ad hoc. Più per controllare le insorgenze dal basso che per far fronte a reali conflitti militari tra le stesse.
Autentiche sante alleanze che in nome della libertà capitalistica oppure del socialismo nazionale di Stato contribuirono a mantenere l’ordine non solo a Berlino, come era avvenuto nel 1953 durante l’insurrezione operaia della parte orientale della città, ma anche là dove ancora l’insorgenza di classe tardava a venire a causa del controllo esercitato sulla forza lavoro dai sindacati, ereditati dalla tradizione di concertazione degli interessi nazionali di stampo fascista, e dai partiti sedicenti di sinistra ma già pienamente inseriti nel gioco delle parti del parlamentarismo autoritario dietro il quale si trinceravano gli interessi della borghesia e del capitale, sia industriale che finanziario.
L’attuale volume sulla storia dei GAAP, che giungerà a conclusione con un terzo volume già pronto per la stampa dedicato alle biografie dei militanti anarchici e comunisti che parteciparono a quell’esperienza, riparte proprio da dove si era concluso il primo ovvero da quel 1953 che si era dimostrato foriero di tempeste proprio per quei regimi che nell’Europa dell’Est rappresentavano la presenza e l’esistenza di un imperialismo sovietico che più che appoggiarsi su piani di sostegno economico e promesse di sviluppo dei consumi, come era avvenuto all’Ovest con il Piano Marshall, si appoggiavano sulla presenza militare diretta delle truppe sovietiche sui territori compresi tra la Germania dell’Est e i confini dell’U.R.S.S.
In entrambi i casi i due imperialismi avevano fatto affidamento, oltre che sul denaro o sulle armi e se necessario su tutti e due gli elementi contemporaneamente, alla presenza negli stati interessati di partiti strettamente legati a Washington o a Mosca, oppure, come era successo in Italia, a un partito che pur rivendicando la fedeltà alla Moscovia avrebbe continuato a servire fedelmente gli interessi della patria e della Chiesa, teorizzando attraverso il suo leader Togliatti una sorta di via italiana al socialismo che tutto ammetteva tranne l’uso del sovvertimento rivoluzionario delle strutture di classe.
L’esperienza dei GAAP si trovò così affiancata ad altre esperienze maturate nell’ambiente anti-stalinista, bordighista e trotzchista che cercavano di riesumare l’internazionalismo proletario in nome di una rivoluzione mondiale destinata a rovesciare il modo di produzione dominante, sia all’Ovest che all’Est, basato sullo sfruttamento intensivo della forza lavoro, sul salario, sui profitti e sul consumo di merci. Che poi questo fosse giustificato attraverso la ‘ricostruzione’ in Italia oppure la costruzione del socialismo negli stati dell’Est poco cambiava nella sostanza.
Per comprendere appieno l’importanza dell’opera di ricostruzione storica della vicenda di un’organizzazione sviluppatasi grazie alla forte e determinata personalità di Pier Carlo Masini e di altri militanti, tra i quali un giovane Arrigo Cervetto, occorre ascoltare ciò che ha avuto modo di affermare lo stesso curatore:
questo secondo volume mi è costato molta fatica e sacrifici anche perché la storia che racconto in gran parte è totalmente inedita e riguarda la sinistra, soprattutto quella rivoluzionaria, in un periodo storico difficilissimo. Il messaggio che vorrei che passasse anche con aspetti critici è quello del recupero di quella parte della memoria e cultura politica, radicale, antistatalista, antiburocratica, antistalinista, diffidente verso ogni potere costituito che la sinistra “ufficiale” per tanti anni ha disprezzato ed emarginato. Oggi di questa cultura politica “antagonista” seria se ne sente molto la mancanza, in questi ultimi trent’anni con l’acqua sporca la “sinistra” ha buttato anche il “bambino” cioè l’utopia e l’ideale di una società egualitaria e libertaria!!
Inoltre, questa ricerca è stata portata avanti dalla nostra biblioteca in totale autonomia dall’accademia, anzi possiamo dire con una punta di orgoglio che siamo fieri della nostra ricerca – nonostante errori, refusi e qualche dimenticanza – proprio perché indipendente dalle logiche del “profitto culturale e carrieristico” di cui purtroppo oggi è piena una parte della nuova “gioventù” di storici che hanno un solo obiettivo quello di affermarsi nella gerarchia baronale delle università e nessuna “passione politica”.
Questa passione politica portò i militanti di allora ad essere tra i primi a comprendere l’evoluzione anti-imperialista delle lotte di liberazione dei paesi definiti all’epoca del “Terzo Mondo”. Territori in cui la cacciata dei vecchi imperialismi europei dai continenti extra-europei seguita alla Seconda Guerra Mondiale, più che aprire immediatamente le porte al dominio dei nuovi signori del pianeta, russi o americani che fossero, aveva spalancato orizzonti di indipendenza e libertà anche per le classi meno abbienti (contadini, proletari e sottoproletari) che si erano letteralmente lanciate a capofitto in un processo rivoluzionario assolutamente inaspettato.
La rivoluzione algerina, successiva alla sconfitta indocinese delle armate e del colonialismo francesi, che prese l’avvio negli anni di esistenza dei GAAP fu uno dei primi momenti di confronto/scontro tra le posizioni degli anarchici, degli anarco-comunisti e dei comunisti e quelle dei partiti che pur dichiarandosi di sinistra la osteggiavano, soprattutto in Francia, in nome degli interessi della Nazione. Così i rigurgiti di razzismo e di sovranismo dei nostri giorni dovrebbero essere rivisti e studiati anche alla luce delle esperienze e della formulazioni politiche dell’epoca, non sempre collocabili a “destra”.
Ma accanto alle nuove insorgenze proletarie e contadine provenienti dal Sud del mondo, andavano prendendo forma nuove problematiche inerenti alla crisi di un marxismo ridotto a mero feticcio e alla scoperta tardiva, e tutto fuorché disinteressata, dei “crimini di Stalin” nella stessa patria del socialismo reale, avvenuta nel corso del XX Congresso del PCUS nel febbraio del 1956 ad opera dell’allora segretario del partito Nikita Chruščëv.
A proposito della prima, il Comitato nazionale dei Gruppi anarchici di azione proletaria, in un commento all’Indirizzo stilato nell’ottobre del 1953 dai membri del Partito comunista internazionalista dopo un incontro tenutosi a Genova-Sestri, aveva sostenuto che:
Oggi il «marxismo» come corpo di dottrina che è storicamente inscindibile da tutte le sue incrostazioni, da tutti i suoi sottoprodotti, da tutte le sue stesse contraffazioni, ha dato luogo ad una estenuante produzione di interpretazioni e di dispute dottrinarie, che in alcuni casi hanno rappresentato un contributo positivo alla formazione del pensiero rivoluzionario, ma molte altre volte hanno rappresentato una causa di sterilità, di dispersione, qualche volta di pieno e provato tradimento. Il «marxismo» nella sua più larga ed ormai irrestringibile accezione, si perde in illazioni di ordine politico, che i gruppi superstiti del proletariato rivoluzionario non possono accettare singolarmente prese e respingono nel loro stesso contraddittorio sviluppo, come un fenomeno di crisi.
Le sette sembravano infatti trionfare in assenza di una ripresa della lotta e di un’autonomia di classe in grado di determinare da sé quali fossero le proposizioni e le modalità di conduzione della lotta in grado di far fronte ad un capitalismo proteiforme e allo stesso tempo sempre uguale a se stesso. Il problema rimaneva sempre quello del che fare e di come indirizzare ed orientare le lotte future.
In un contesto in cui, poi, la denuncia dei “crimini di Stalin” e del culto della personalità era servita soprattutto a diffondere l’idea di una coesistenza pacifica tra sistemi diversi (socialismo e capitalismo) e che le forze del socialismo potessero affermarsi senza rivoluzioni, senza guerre civili, mediante processi parlamentari. Idee che se da un lato aggiornavano a livello internazionale le proposte già suggerite da Togliatti per il PCI e l’Italia, dall’altro non impedirono agli operai e ai giovani studenti e proletari ungheresi di impugnare le armi per dar vita nel 1956 a una repubblica dei consigli operai e a una rivolta di Budapest di breve durata, ma estremamente significativa e rivelatoria della vera essenza del socialismo che si prospettava all’Est.
Una rivolta per l’indipendenza dall’imperialismo sovietico, in seguito repressa nel sangue dal ‘pacifista’ Chruščëv e dalle truppe corazzate dell’U.R.S.S. destalinizzata, che riportava nel cuore dell’Europa i temi dell’anti-imperialismo solitamente usati per i paesi in via di decolonizzazione. Mentre gli USA, la Nato e le democrazie europee, fedeli ai trattati di spartizione del globo, stavano a guardare senza colpo ferire, come già avevano fatto con la rivolta di Berlino Est, e mentre Togliatti e il PCI condannavano come fascisti e sabotatori gli insorti. Come avrebbero poi fatto ancora in seguito i rappresentanti del “più grande partito comunista d’Occidente” negli anni Sessanta e Settanta nei confronti di qualsiasi insorgenza di classe e di qualunque manifestazione di autonomia dell’antagonismo sociale.
In tale magmatico contesto l’esperienza dei GAAP si concluse, senza riuscire a dar vita a quell’organizzazione politica così ambita dai suoi militanti e promotori. Anzi dall’iniziale prospettato incontro tra forze anarchiche e comuniste eretiche sarebbe poi emersa una formazione destinata trasformarsi da lì a poco in una delle più rigide formazioni basate sull’ortodossia leninista del partito. Ma tutto ciò, a distanza di più di sessant’anni, non ha più alcun valore se messo a confronto con l’immensa mole di scritti, pubblicazioni e riflessioni che l’opera, curata con impegno, passione e perseveranza da Franco Bertolucci e dalle compagne e dai compagni della Biblioteca F.Serantini, mette oggi a disposizione non solo degli studiosi, ma anche di coloro che ancora vogliano comprendere gli errori e le conclusioni, sempre e solo di valenza momentanea, di un percorso rivoluzionario che per vie pubbliche o clandestine, in situazioni di massa o di piccoli gruppi ristretti non ha mai cessato di esistere. E che non cesserà mai di esistere fino a quando esisterà lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sull’ambiente e la specie intera in nome del profitto e della barbarie capitalistica.