di Valerio Evangelisti
[Continuando le celebrazioni di Valerio Monteventi, di cui al post precedente, non va dimenticato che è l’anima di ZIC – Zero in Condotta, il principale e indispensabile giornale di controinformazione sulla Bologna antagonista. In primavera ne è uscita una corposa antologia, acquistabile qui. Pubblico la mia prefazione.]
Bologna, al di là delle apparenze, è una realtà stratificata. In superficie, il visitatore ne coglie l’ordine sostanziale, la discreta pulizia, un benessere trasbordante che confina col lusso, ma in forme meno sfacciate che a Milano. Qui l’alta borghesia non ama mettersi in evidenza. Vive sulle colline attorno, frequenta i propri circoli e ristoranti, salotti e teatri. Non la si nota. Gode ancora di un tacito compromesso stipulato a suo tempo con il Partito comunista (poi PDS, poi DS, poi PD). Io, ceto superiore, ti lascio governare. Tu, erede sempre più pallido del sovversivismo del dopoguerra, mi garantisci vita tranquilla. Ci arricchiremo entrambi, e sarà la città ad arricchirsi.
Ha funzionato fino al 1977, quando un moto inatteso ha rivelato l’esistenza di una Bologna altra. Dopo l’uccisione di uno studente da parte di un poliziotto, cortei sfilano tra il fragore di vetrine spezzate. Esplodono colpi di arma da fuoco. Il centro urbano è soffocato dai lacrimogeni e dal fumo degli incendi. Viene alla luce un vero e proprio mondo, perfettamente visibile eppure sommerso, almeno agli occhi degli amministratori. Vi si fondono studenti, in primo luogo fuorisede, spesso meridionali, parcheggiati all’università in un contesto di disoccupazione che anticipa quello attuale; giovani lavoratori di periferia, che trovano impiego in piccole fabbriche e officine per poi perderlo a ogni flessione delle commesse, provenienti dalla grande e media industria; marginali e precari che sembravano rassegnati al loro destino, respinti com’erano nell’invisibilità dalla rossa capitale del buon vivere e del perbenismo.
La reazione delle istituzioni è immediata e brutale. Inutile ricordarla: mezzi blindati, aree accerchiate rese off limits, arresti e denunce. I ribelli tacciati di fascisti (o, in alternativa, di agenti della CIA) da una campagna di stampa isterica, a cui il PCI dà il la. Un anno dopo, il colpo di grazia verrà dal rapimento Moro. Non più solo “diciannovisti” (secondo la definizione imbecille di Berlinguer e dei vertici del Partitone), ma anche fiancheggiatori e complici del terrorismo. L’offensiva è massiccia, e c’è poco da fare. Il movimento della Bologna antagonista è messo alle corde, risente dei colpi.
Con esso iniziano a perdere rapidamente di peso le sue espressioni stampate e radiofoniche, che avevano visto un proliferare di testate dai nomi più fantasiosi. E’ una ritirata drammatica, a cui, in assenza di leader (scappati o in galera, più raramente convertitisi in rinnegati), cercano di dare ordine quelli che erano stati i luogotenenti, i sottufficiali delle espressioni politiche delle nuove forme di sfruttamento. Il fatto è che, mutilata di tante avanguardie, la composizione di classe resta immutata, e, nelle sue frange meno strutturate, si affanna a resistere al ristabilimento di una pace per lei mortale.
Tra le voci superstiti c’è ZIC, Zero in condotta, rivista nata proprio nei momenti peggiori della sconfitta. Nei suoi primi vagiti, quando si chiamava Mongolfiera, ricorda Time Out. Un settimanale inglese che, in quegli stessi anni, univa il discorso politico a una rassegna degli spettacoli e degli eventi culturali londinesi. Ma mentre Time Out si fa sempre più neutro, ZIC, divenuta nel 2007 giornale on line, si arricchisce in radicalismo. Al punto che, oggi, è l’unica fonte di informazione su una Bologna underground che i media “importanti” fingono di non vedere.
Negli anni, ZIC è divenuta una vera e propria mappa, con aggiornamenti quotidiani, della città “mai domata” (è una citazione da una canzone romana della Resistenza). Con articoli, foto, filmati, cartine testimonia, di giorno in giorno, dell’esistenza di un tessuto sociale e umano che ha rifiutato l’omologazione. E si tratta di migliaia di persone, di centri sociali, di sindacati di base, di circoli e raggruppamenti spontanei. Non è la stessa composizione del ’77, ci mancherebbe. L’assetto attuale è enormemente più complesso, l’antagonismo pare disperso, il panorama dei refrattari risulta variegato e nebbioso. Per fortuna c’è ZIC che sa, oltre ogni offuscamento, ricomporre il quadro delle disobbedienze. Dare evidenza alla Bologna nascosta.
Chissà che non sia la Bologna futura.