di Paolo Lago
Iuri Lombardi, Il sarto di San Valentino, Edizioni Ensemble, Roma, 2018, pp. 79, € 12,00.
Come scrive Iuri Lombardi nella postfazione alla sua raccolta Il sarto di San Valentino, «la poesia dettò le linee del passaggio dall’età pre-industriale a quella moderna», ponendo al centro della propria attenzione l’io e qualificandosi come uno fra i generi privilegiati. Nella modernità, infatti, accanto all’esplosione del romanzo grazie alla definitiva supremazia della classe borghese, la poesia riveste certo un ruolo di primo piano: l’autore nota che essa «era il trampolino di lancio di uno scrittore», una espressione letteraria assai importante nella formazione, appunto, non solo di un poeta tout court, ma anche di uno scrittore. Si può pensare, ad esempio, al protagonista delle Illusioni perdute di Balzac, il giovane Lucien de Rubempré, il quale, per sfondare come scrittore nella Parigi della Restaurazione, tenta di far leggere a editori, giornalisti e romanzieri non un romanzo bensì una raccolta di sonetti. Nella contemporaneità, che Lombardi definisce come post-industriale, la poesia, invece, «non ha più un pubblico, è diventata molto elitaria» e «lo scrittore la usa come fosse un’attività privata e non più pubblica». Perciò, «la poesia vive in un’area tutta sua, in una isola inaccessibile ai molti, sta in bilico su una soglia in attesa di salpare in mare», mentre «i poeti sono spesso voci che parlano nel buio».
E sicuramente è salpata la poesia di Iuri Lombardi che, adesso, con Il sarto di San Valentino, ci regala un’altra raccolta di versi pronta a illuminare il buio che ci circonda, la notte che è calata sulla voce della poesia contemporanea. Quella di Lombardi è una voce magica nel buio che crea immagini di indubbia suggestione, immagini che dapprima tremano in una luce fioca per poi illuminarsi di fantasmagoria, come se fossero le proiezioni di una lanterna magica della parola. Le poesie de Il sarto di San Valentino ci regalano infatti una magia densa di suggestioni, una atmosfera contemporaneamente reale e fantastica, attraversata da voci, colori, suoni, odori che, pure nascendo nei meandri di una natura e di una realtà a volte anche dimessa, si elevano oltre la materialità delle situazioni per divenire tante silenziose tracce di un altrove, di un’altra dimensione che è raggiungibile forse solo per mezzo della parola poetica. Quel montaliano «varco», il passaggio verso un’altra magica dimensione, è presente assai spesso in questi componimenti di Lombardi. Esso è offerto dalla presenza della natura che, in alcuni suoi momenti particolari, diventa uno sfondo magico e cristallino. Nelle poesie del Sarto sono infatti ricorrenti alcuni momenti legati allo scorrere delle stagioni. Ad esempio, il momento dell’Avvento, del Natale, o un periodo dell’anno legato ad un tardo autunno o inizio dell’inverno. Si tratta forse di un periodo magico che ci permette di sentire in modo più nitido certi messaggi giunti da una natura che, pascolianamente, si trasforma in un magico mondo di immagini e di suoni. Ad esempio, ne La fiera di Santa Lucia, l’avvento striscia sull’unto dell’ovvio mentre, come un magico segno luminoso, la luna non ha timori e albeggia / tra i fanali del sabato di mercato. Questi particolari momenti dell’anno scandiscono una continua resistenza della vita che si esplica in una resistenza ‘poetica’, nel senso che, probabilmente, si può restare vivi e umani ancora di più per mezzo della poesia stessa, ed è una lotta quotidiana: Quel poco che resta per restare in piedi, / nel solstizio il buio si srotola; / all’erba la goccia di guazza appiglia / le larve feroci dell’incomprensione (Probabile Solstizio). Nella seconda poesia della sezione Il guanto di Brigitte, il solstizio d’inverno è un momento incantato in cui le larve bagnate della notte / si trascinano lungo i cantoni e la notte distende un gran fuoco di luci.
La dimensione magica e fantasmatica e quella reale si incontrano, si intersecano e si sovrappongono, come in Tempo d’avvento: Scivoli dolcemente nell’avvento / come la strada svolta allo sdrucciolo. / Un arcobaleno per sciarpa attorno / al collo, un paio di scarpe vecchie. La dimensione reale è illuminata da tante fiaccole poetiche, tante parole che si illuminano di luce propria e così una semplice sciarpa può trasformarsi in un arcobaleno. E così, anche la vigilia d’Ognissanti, nell’omonima poesia, può rivestirsi di connotazioni prodigiose mentre gli alberi secchi autunnali disegnano – con tinte pascoliane – nuove storie per una sera. La dimensione reale e naturale della sera d’autunno si riveste di connotazioni irreali e fantastiche mentre la vampa dell’attesa arde fra scintille di stelle. Si può ricordare anche un racconto di Lombardi in cui è costantemente presente questa doppia ‘dimensione’, a metà fra realtà e fantasia. Si tratta di Roma, inserito nella raccolta di racconti Creatura #0, un progetto editoriale di YAWP, Rivista di Letterature e Filosofie a libera diffusione: il racconto parla dell’arrivo, nella Capitale, di una carovana di giostrai e questo arrivo è tratteggiato come una vicenda epica, come la magica discesa di una stella cometa, di un gruppo di personaggi fantastici e meravigliosi. All’interno del tempo quotidiano e ‘normale’ della vita della città e dei suoi dintorni, una vita ‘statica’ e immersa nei suoi ripetitivi rituali, si inserisce come un lampo improvviso la sinuosità e la diversità degli artisti girovaghi, stranieri e portatori della dimensione del viaggio, dello spostamento nomadico. Meravigliosi e straordinari stranieri, essi giungono a sovvertire la staticità e l’immobilità dei ritmi quotidiani della metropoli.
Perciò, nella poesia di Lombardi, la quotidianità è continuamente attraversata dall’alone magico della parola poetica tessitrice di mondi incantati, tanti ‘varchi’ e tante vie di fuga da una realtà che, oggettivata nelle sue geometriche sembianze, ogni giorno ci opprime. In diverse poesie del Sarto, l’immagine ricorrente è quella di una città rappresentata nella sua disarmante quotidianità, fatta di incontri al bar, passeggiate per strade e quartieri, immagini di periferie. Il balcone di un palazzo sembra lo spazio privilegiato per mescolare le due dimensioni in un magico calderone: dal balcone ci si affaccia per contemplare immagini urbane attraversate da tramonti freddi e cristallini creatori di uno spleen dai toni quasi baudelaireiani, immersi in una realtà di periferia attraversata dai suoi stanchi rituali quotidiani, ma un alone magico sembra subito giungere da altri spazi, scolpiti dallo sguardo del poeta in visioni mitiche e lontane. Se, in Ascesa al piano, nei condomini la vita è protesa / verso i balconi affacciati sul nulla, in Un Natale per te, nel ricordo del passato che si accende, gli aloni di unto incendiavano la sera, dal basso, / dal sotto del balcone, si sentiva la gente, la radio blaterava: /”L’Italia è pura e si può bere, tu offrile un fiore”. È il passato, è il ricordo (in quegli anni Ottanta visti con occhi bambini dal poeta nato nel 1979, quegli anni stravolti dall’illusione del benessere, in cui l’Italia, come Milano, diventava “da bere”), è una dimensione quasi mitica e fantastica in cui ci svegliavamo che i vetri erano lastre di luci. L’inverno, osservato dal balcone, si concretizza poi nell’immagine poetica, stavolta legata a una realtà più ‘naturale’e presente, dei gatti addormentati in una sorta di letargo invernale, nella prima parte della sezione Il guanto di Brigitte: Tu negavi l’evidenza della stagione, il letargo / cercato dai gatti randagi, sotto il balcone / del mio stabile: allora mi aspettavi nell’andito / magro di luci a neon.
Nei brevi giorni d’inverno, perciò, quando lo scintillio di una festa che si perde in antichi rituali pagani accende luci riecheggianti vigilie e attese, nella poesia di Lombardi può accadere che i passanti si trasformino in stelle / trapuntanti il cielo della terra, come nella prima parte di Cappotto allo stato. L’inverno è rivestito comunque di un’altra magica attesa, quella della primavera, un altro importante momento del tempo del calendario presente nelle poesie del Sarto. In Verso Costa San Giorgio, un componimento che soltanto riecheggia nel titolo una poesia di Montale, la primavera erompe con l’irruenza di fuochi sparati che emettono un maggio istantaneo. Invece, in uno dei distici a rima baciata che compongono la sezione intitolata Il calendario di Abele, la primavera appare ancora oppressa dalla neve e dal gelo: La primavera è schiacciata dalla neve, / rorido aprile tacita l’erba lieve. Nel distico successivo, poi, si profila un’altra importante festa del calendario la quale, nella poesia di Lombardi assume, come il Natale, la veste di una magica ricorrenza laica, perduta in antichi rituali legati al ciclo dell’agricoltura: Schizzano dalle rogge rivoli d’acqua, / tese le palme salutano pasqua.
Una magica corrispondenza fra i due momenti – l’inverno e la primavera – è poi in una delle poesie appartenenti alla sezione che dà il titolo alla raccolta, Il sarto di San Valentino: La mia esistenza, randagia, / non perbene, viola a ciocche sul margine / di un maggio venturo, raccoglie in sé / il preludio della primavera, del disgelo dei dorsi / nudi dei poggi, intento a rivestire degli alberi / i rami di foglie di un ostentato pudore / infranto nella stagione del freddo. La stessa esistenza del poeta, in modo stavolta molto fisico e corporeo, appare randagia, come quei gatti randagi che dormivano sotto il balcone, come i dorsi nudi dei poggi (che sembrano corpi) o i rami degli alberi che si rivestono di foglie. In queste poesie appare poi la figura del sarto: personaggio quasi marginale e insieme onnipresente custode dell’esistenza, egli continua imperterrito e silenzioso la sua opera di cucitura e tessitura, anche nella notte, in una stanza dalla luce sempre accesa, uno spazio che si apre sulla rigidità degli inverni e sull’esplosione incessante delle primavere. Il suo operare è un magico intarsio che, come il canto poetico, disegna i contorni ai vivi e ai morti, alla natura che intorno, magicamente, compare come un’epifania. E allora, il canto poetico di questa sorprendente raccolta di versi di Lombardi somiglia a quella luce nel buio, quella luce sempre accesa nella stanza del sarto: una voce che, inaspettatamente, brilla nei meandri più oscuri dell’esistenza.