di Gioacchino Toni
Primo frammento. Barack Obama che, nel suo presentarsi come profeta in grado di fidelizzare l’intero pianeta con i suoi discorsi, posa vicino a una statua di Superman.
Secondo frammento. Marine Le Pen che riferendosi al pamphlet-denuncia La France Orange Mécanique (2015) di Laurent Obertone sul livello di violenza raggiunto in Francia lo definisce “il libretto arancione”, creando così una sorta di cortocircuito tra immaginari distanti tra loro come il libretto rosso di Mao e il film di Kubrick.
Terzo frammento. L’Isis che nei suoi video propagandistici in cui decapita gli “infedeli” ricorre a modalità espressive che fanno il verso tanto agli action movie hollywoodiani che all’immaginario dei reality show, facendo della morte cruenta e reale uno spettacolo trasmesso in mondovisione.
È con questi tre frammenti esemplificativi della dimensione post-politica caratterizzante la contemporaneità che Guerino Nuccio Bovalino, in apertura del suo libro Imagocrazia. Miti, immaginari e politiche del tempo presente (Meltemi, 2018), palesa la dimensione mediologica assunta ultimamente dal politico, dalla tweet-crazia di Trump ai populismi digitali che esondano dal web, proponendosi di indagare quell’immaginario mitico e mediale che rappresenta il territorio sul quale si sviluppa. L’obiettivo del volume è quello di «costruire un’indagine sul politico, che della politica costituisce l’essenza, prendendo in esame le immagini e i simboli sui quali si costruisce la dimensione esistenziale del soggetto e della società, che sono d’altronde le unità minime di più complesse costellazioni dalle quali derivano forme differenti di immaginari, che consentono a loro volta di rappresentarsi come espressioni di singoli individui e di costruire in questo modo una rappresentazione condivisa della società e del mondo» (p. 16).
Bovalino interpreta il politico come «uno dei tanti aspetti della vita quotidiana: una tela di suggestioni e immagini, di parole e sentimenti (elementi che chiamano tutti in causa gli aspetti irrazionali ed emotivi della politica). Ogni atto ritenuto politico si crea, vive e si alimenta tramite immaginari e miti sedimentati, riferimenti culturali alti quanto bassi. Il politico è compreso interamente nelle dinamiche dell’industria culturale. La crisi delle ideologie e la fine della dicotomia destra-sinistra sono concetti attualmente interiorizzati nelle analisi politiche degli esperti, consci più che mai di non poter prescindere da tali verità ormai affermatesi con evidenza. Il nodo culturale e politologico di uno studio che vuole risultare incisivo sta nello sciogliere la complessità che presenta un’indagine sui processi tramite cui si crea oggi il consenso per un leader anziché un altro; e soprattutto individuare quali idee modellano, contrapponendosi, le nuove fratture che spingono l’elettore a polarizzare le proprie scelte verso un determinato schieramento» (p. 17).
Alle vecchie forme di aggregazione partitiche la contemporaneità sembra aver sostituito gruppi di individui che si aggregano per condividere passioni riconoscendosi come comunità attorno a delle «immagini simboliche riconducibili ad archetipi e miti immutabili incarnati oggi in nuovi stereotipi e di conseguenza cristallizzati in forme precarie ma riconoscibili» (p. 19). È così che la politica si sarebbe trasformata da medium della convinzione a strumento di seduzione. Non sarebbero pertanto, sostiene Bovalino, le ideologie e i programmi a creare proseliti, quanto piuttosto l’abilità dei diversi leader «di fare propri, inglobandoli nella propria sfera comunicativo-simbolica, quei simboli in grado di sollecitare e solleticare la parte sensibile e irrazionale dell’individuo-elettore. Come spiegano efficacemente De Kerkhove e Susca nel loro Transpolitica, alla politica non è rimasta che la possibilità di far proprie le figure dell’immaginario, poiché – nell’era della propria riproduzione digitale – essa si può declinare esclusivamente come spettacolo di una potenza che mima le effervescenze sociali prodotte dai media e non più come verticistica e asettica istituzione di potere» (p. 19).
La dimensione politica, sostiene lo studioso, nei tempi recenti ha teso ad abbandonare le forme tradizionali di democrazia in direzione di forme inedite di videocrazia, comunicrazia e imagocrazia. La prima tipologia, in cui la politica si lega ai media in maniera ancora verticale e verticistica, ha, in Italia, in Silvio Berlusconi il suo massimo interprete. La seconda si presenta come uno sviluppo della prima ed è riconducibile ai personal media e al web che consentono di produrre, oltre che consumare, messaggi. A tale tipologia Bovalino inscrive modalità e soggetti che vanno «dalla telepolitica alla politica dei tweet e dei selfie, fino ai nuovi movimenti come il Partito Pirata tedesco e il Movimento 5 Stelle italiano, che della partecipazione digitale hanno fatto la propria ragione d’essere» (p. 20). Per quanto riguarda invece l’imagocrazia, essa, sostiene l’autore del saggio, si alimenta nel «luogo dove si svolge la nostra relazione con l’ambiente e gli altri esseri viventi: un’atmosfera nella quale si mescolano idee, libri, visioni, film, pubblicità, vissuto quotidiano, fumetti, cultura alta e cultura bassa, filosofia e banalità. L’immaginario chiamato in causa è filtrato, prodotto e riprodotto dai media e nello specifico soprattutto dalle nuove tecnologie digitali. Il politico ha ormai metabolizzato le dinamiche del consumo e vive interamente all’interno di questo brodo babelico e poliforme di immaginari (e solo con esso può sperare di sopravvivere)» (pp. 20-21). All’interno di tale zibaldone, continua lo studioso, il leader politico è un brand come lo sono Nike e Apple.
«La politica si nutre dell’immaginario ed è una dimensione, similmente alle altre che compongono la società, nella quale sono rintracciabili e riconoscibili degli archetipi, sublimati e riconfigurati in immagini e mitemi che appartengono alla dimensione mediale del nostro tempo. Tali archetipi si sublimano in idee-mondo che, pur incardinandosi nelle dialettiche moderne, si rifanno a categorie dell’immaginario e del mito che continuano a funzionare come efficaci direttrici nella creazione e nell’interpretazione del mondo, sebbene rimandino a una dimensione ancestrale» (p. 21).
Se storicamente l’essere umano ha tentato di colmare il vuoto fra sé e il mondo che abita ricorrendo a figure deistiche, mitologiche, religiose, ideologiche, capaci di trasformarlo in un «soggetto capace di agire sul mondo e di relazionarsi con esso, quale parte di una rete più ampia dove egli individualizzava la propria esistenza con un’idea della vita e un progetto specifico» (p. 22), oggi, secondo l’autore del volume, quel dispositivo capace di consentire all’essere umano di divenire soggetto storico è colmato dai media e dagli immaginari derivanti dall’intrecciarsi di nuovi e vecchi simboli trasfigurati dalle nuove tecnologie.
«Nel cercare di leggere le nuove fratture all’interno della società, le visioni che da queste scaturiscono e gli immaginari che le riempiono di senso», Bovalino propone «una trinità costituita da tre mitologie esistenziali, tre archetipi che determinano altrettanti macro-immaginari» (p. 22). Pur trattandosi di paradigmi fluidi e mobili, essi possono essere utili al fine di individuare «tre mitologie più visibili e marcate che possono funzionare come nuovi modelli di categorizzazione e interpretazione politica della società, dell’immaginario: non più i dispositivi ideologici della destra e della sinistra, ma i miti che fungono da dispositivi di Prometeo, Dioniso e Orfeo» (p. 22). Ciascuna di queste mitologie costituirebbe un particolare dispositivo utile ad interpretare la realtà e a vivere in accordo a traiettorie specifiche. «L’immaginario mitologico che ognuno di questi racconti mitici racchiude, coniugato con la contemporaneità, meglio di ogni altra schematizzazione può offrire il senso delle parti in causa nel confronto politico, poiché non si limita a una mera lettura politologica, ma esprime delle forme che contemplano anche le dimensioni estetiche, sensibili e irrazionali proprie di ogni particolare visione dell’esistenza che incarniamo in quanto soggetti (p. 23).
«Il mito di Prometeo è la volontà di potenza insita nel messianismo di Obama, così come nelle distopie di un controllo burocratico e tecnicistico della società, e dunque in tutte le forme di progressismo e fideismo e nella rivoluzione affidata alle mani dell’Eroe e del Supereroe (che sia poi una rivoluzione liberale o tecno-utopistica poco importa)» (p. 23). Bovalino individua come epifenomeni di questa progettualità tanto i neocon nordamericani, con la loro ossessione di esportare la democrazia nel mondo, quanto l’utopismo cyber-democratico del primo Movimento 5 Stelle e i progetti universalistici e post-politici presentati da Zuckerberg nel suo manifesto neoumanista.
«Il mito di Dioniso e dell’errante ebbrezza racconta del rifiuto di ogni paradigma fondativo della modernità, di un’accanita critica del progressismo in nome di un rinvenuto primato del sentire, dell’emozione e della sensualità dell’essere» (p. 23). Secondo lo studioso sarebbero epifenomeni di tale suggestione «le corrispondenze e la comunione con la vita e l’accondiscendenza a ogni desiderio intimo, allorché gli individui restano quotidianamente immersi nelle proprie esistenze digitali come avatar che consumano se stessi e gli altri» (p. 23).
«Il mito di Orfeo, infine, si caratterizza come tensione verso un ritorno al sangue e alla terra. Uno sguardo dritto negli occhi dell’apocalisse che i seguaci di Orfeo scorgono nella contemporaneità, infestata dall’invasività tecnologica e dalle ideologie gender, che sono l’apice di un attacco inarrestabile a ogni forma tradizionale e spirituale di ideale comunitario e naturalistico della vita. Orfeo è un monito che brama un atto superomistico predestinato a materializzarsi a dispetto della virtualità delle nostre vite digitali» (pp. 23-24). In questo caso Bovalino fa riferimento a un magma eterogeneo e contraddittorio che non di rado si incanala verso logiche identitarie e difesa della famiglia tradizionale che individuano nella religione un ruolo di collante sociale. «Si scorge fra gli orfici una rinnovata critica del capitalismo, uno schieramento trasversale e post-ideologico che si pone contro i poteri cosiddetti forti che a giudizio loro ne giustificano le ingiustizie, perché frutto di quella che è comunque l’unica forma politica capace di mantenere in vita il migliore dei mondi possibili» (p. 24).
Al termine della disamina lo studioso non può che sottolineare come tali mitologie siano di matrice conservatrice e conservativa, incapaci come sono nel loro porsi come lettura ideologica e visione astratta del tempo presente, di farsi carico «della carne che pulsa negli angoli reconditi dell’individuo e del vivente […] Il mito e le mitologie qui presi in esame sono infatti le diverse facce della stessa medaglia, poiché in tutti loro è presente la riproposizione di una narrazione dominante con la quale cercare di gestire il mondo. Anche la narrazione dionisiaca, che pretende di essere priva di narrazione e proiettata verso una sovversione delle forme tradizionali, si risolve come una forma di ribellione pienamente incardinata nel meccanismo che si impegna a destrutturare. Non vi è quindi nella dimensione dionisiaca una capacità di evadere dalla violenza mitica, quanto semmai un vivere annidati al suo interno come reazione riflessa» (p. 118).
L’analisi della dimensione mediologica assunta dal politico presentata dal volume coglie un aspetto importante delle trasformazioni recenti che varrebbe la pena intrecciare con le analisi dei mutamenti economici e produttivi che caratterizzano un’epoca in cui il politico, appunto, è divenuto un brand che, in quanto tale, ha il compito di realizzare profitto: probabilmente mai come oggi gli ambiti dell’immaginario, del politico e dell’economico risultano un corpo unico inscindibile. Resta da dire che, parallelamente alla crisi della democrazia tradizionale e delle sue trasformazioni in videocrazia, comunicrazia e imagocrazia, continuano a svilupparsi, nonostante tutto, anche esperienze politiche dal basso altre. Sicuramente si tratta di esperienze piccole, marginali e contraddittorie, ma esistono. Ed esistono anche se i media non ne danno conto o si limitano a criminalizzarle e, a ben guardare, queste esperienze si caratterizzano non per essere semplici auspici o desideri ma per essere pratiche di riscatto dell’essere umano. Una volta individua la tragedia dello stato di cose presenti, ben esemplificata dalla deriva del politico-brand, varrebbe la pena di ripartire da quel pur piccolo e magari anche brutto, sporco e cattivo movimento reale che continua a esistere e ad adoperarsi per abolire l’infame stato di cose presenti. Senza intermediari.