di Giovanni Iozzoli
Elia Rosati, CasaPound Italia. I fascisti del terzo millennio, Mimesis edizioni, Milano-Udine, 2018, pp. 226, € 18,00
Nella fase storica che l’Europa sta attraversando, con il rischio che una destra radicale e identitaria conquisti una egemonia di massa nel continente, sono quanto mai necessarie le analisi sulle forme soggettive e le subculture che tali destre esprimono concretamente. E rispondendo a tale necessità, Elia Rosati, ricercatore da anni impegnato nell’indagare questi mondi in crescita, costruisce un testo rigoroso e documentato su CasaPound, la formazione neo fascista più spregiudicata e innovativa del panorama italiano. Un libro che si unisce a una bibliografia già importante, avendo CasaPound negli anni messo al centro della sua autorappresentazione mediatica, una pretesa “diversità” che ha provocato attenzioni (e adesioni) che vanno oltre il perimetro tradizionale del ghetto neofascista italiano. Politica dell’immagine, del mito, del simbolo, ma non solo: Rosati interroga le radici profonde di questa fenomenologia nera e si imbatte in aspetti e ambienti tradizionalmente conosciuti, ma anche in suggestioni inedite.
Il bacino ideologico e territoriale di CasaPound, è il verminaio neo-fascista romano che, dal dopoguerra, non ha mai smesso di produrre generazioni di nuova militanza. In questo ambiente, sul finire degli anni ’70, si produce un area di “rottura” rispetto al consueto mondo missino, che porterà esisti e ricadute organizzative assai diverse: lo spontaneismo armato, Terza Posizione, i campi Hobbit, la Nuova Destra di Tarchi. Tutte queste variegate esperienze sono accomunate dal tentativo attribuirsi uno statuto di discontinuità, rispetto alla stagione delle collusioni con gli apparati di Stato, nonché un’aura “sociale e ribelle”.
Con una battuta potremmo dire che se i giovani di destra si erano persi con loro grande rammarico il Sessantotto, finendo per sgomberare a bastonate (con la polizia) gli studenti che occupavano le università, sicuramente non intendevano perdersi l’impatto giovanile dirompente del Settantasette, creandosene uno loro. A essere protagonista fu l’idea di “uscire dal ghetto”, dotandosi di un nuovo immaginario in vista della costruzione di un progetto comunitario, partendo da un curioso miscuglio di innovazione e tradizione, aspirazioni a crearsi un un futuro liberato dalle ipoteche a nostalgie e richiami a personaggi e miti tutti interni agli anni Venti e Trenta, rozzezze xenofobe e afflati terzomondisti. Alla base di questo nuovo essere e stare insieme da fascisti, c’era la rivendicazione della propria differenza antropologica, di una irriducibilità al mondo massificato, all’industria culturale dominante, al comune modo di essere giovani (p. 27).
Queste spinte innovative, negli anni della leadership rautiana, attraverseranno anche il mondo propriamente missino, con le incursioni nel campo ambientalista, culturale e un rinnovato attivismo studentesco.
Questo humus di identità e prassi – residui spontaneisti degli anni 70, differenzialismo culturale, neofascismo tradizionale romano – è già vivo e pronto quando l’MSI si scioglie in AN. E sarà questo il passaggio storico che libererà queste energie e darà vita a nuove esperienze – dalla Fiamma Tricolore, a Meridiano Zero, al Movimento Politico Occidentale – e, più tardi, anche al grumo organizzato che porta a CasaPound. Quest’ultimo si distinguerà come il filone che riesce a tenere meglio insieme le memorie dei “vecchi camerati” anni ’70, le nuove esigenze di socialità alternativa, il bisogno di svincolarsi dai residui partitici della destra italiana, le rivendicazioni di giustizia sociale. E non è solo la piazza romana, a dare il suo contributo.
Centrale, da questo punto di vista, sarà la zona del varesotto, dove venne messo in piedi uno stabile momento annuale di riflessione teorico-militante “Università d’estate”, e dove già dal 1989 esisteva uno spazio sociale di destra […] Sarà proprio qui a Varese con Rainaldo Graziani, che due giovani camerati romani, orfani del Movimento Politico Occidentale, apriranno un pub alla metà degli anni 90: uno di loro ha appena abbandonato l’esercito, ha circa 22 anni e si chiama Gianluca Iannone. Nello stesso Nord Italia vi era poi una prolifica scena nazirock anche di respiro internazionale (p. 35)
In questo primo “ambiente di prova” c’è tutta la futura evoluzione di CasaPound: l’uso dei temi, fino ad allora tradizionalmente appannaggio della sinistra, degli spazi sociali, l’importanza della musica come vettore identitario, un complesso e ridondante bagaglio simbolico che negli anni tenderà ad allargarsi e assorbire figure e culture sempre più variegate. E naturalmente il rapporto con alcuni “fratelli maggiori” destinati a fornire il pedigree e gli strumenti teorici – centrale, in questa fase, sarà il ruolo di Gabriele Adinolfi, intellettuale eretico, tra i fondatori di Terza Posizione, ambiguissima formazione sedicente rivoluzionaria, ma sempre a un passo da trame e collusioni.
In questa fase convulsa e feconda per la destra italiana, Gabriele Adinolfi si pone in modo spietatamente critico sulla eredità post-missina anni ’90, si augura una catarsi della estrema destra italiana e trova nei ragazzi del gruppo di Iannone, una base di ascolto malleabile e attiva. Rosati riporta brani di un suo famoso documento “rifondativo”:
investire culturalmente e simbolicamente le elites; costruire strutture lobbistiche e quindi politiche, che consentano di mantenere aperti luoghi di incarnazione di un’Idea del mondo e di garantire spazi di libertà e di socialità comuni; realizzare localizzazioni che, salvaguardando tradizioni etniche e culturali, favoriscano produzione e autonomia, in chiara prospettiva imperiale. […] Una miscela tra le linee strategiche e metodologiche più note. Una centralità leninista che agisca gramscianamente nella società e paracaduti commandos con mentalità trozkista nelle cittadelle del potere. […] Per modello organizzativo e per vocazione politica diciamo che la soluzione sta in una sintesi sta tra Avanguardia Nazionale, Autonomia Operaia e la Novelle Droite […] La visibilità deve persistere nella vita d’ambiente (concerti, pub, punti vendita); deve moltiplicarsi negli ambiti giovanili (licei, università); deve modificarsi pienamente nell’interventismo sociale laddove sigle trasversali e rapporti dialettici e non fanatici sono premianti. Senza contare una serena e ingegnosa aggressività comunicativa (p. 52)
Non si può dire che i ragazzi di CasaPound non abbiano seguito alla lettera, nel corso degli anni, queste indicazioni, spregiudicate ed efficaci: astute capacità mimetiche, trasversalismo, entrismo nelle formazioni politiche tradizionali, nonché la capacità di assumere e rovesciare le tematiche proprie del campo antagonista “nemico”.
Dal pub al partito politico nazionale il passo è stato lungo ma sempre, seguendo lo spartito originario, meditato e calibrato. Dietro la melassa “arditista-futurista”, dietro la demagogia del riscatto nazionale e dell’eroismo “antiborghese”, la pratica è stata sempre la stessa: occupare spazi, valorizzare le tematiche sociali, mettere in campo lucrose iniziative economiche (dalla musica allo style fashion…) e infine evocare visibilità in ogni modo. Questo “vitalismo” si fonde con un opportunistica propensione all’inciucio politico con quel mondo di destra e centrodestra che a parole si vorrebbe azzerare e rifondare (vedi il rapporto strategico con il sindaco Alemanno, che regala “ai ragazzi” un palazzo nel cuore di Roma…), fino al trasversalismo più cinico: invitare nella loro sede i “giornalisti di regime” e gli intellettuali “prezzolati”, pur di far parlare di sé e legittimarsi come interlocutori “culturali”.
La sinistra di movimento è sembrata spiazzata da questo avversario, che ne mimava le movenze e talvolta riusciva a occupare i suoi terreni di iniziativa: questo almeno fino al 2008, quando – dopo gli scontri di Piazza Navona – i due campi, fascista e antifascista, tornano a delinearsi con chiarezza agli occhi di tutti, anche di quelli che avevano scioccamente dato credito alle allusioni “nè destra né sinistra” che CasaPound aveva sapientemente diffuso negli anni. Da allora la celebre definizione di “fascisti del terzo millennio” sarà assunta senza più infingimenti, come una bandiera di orgogliosa rivendicazione identitaria – e del resto il retroterra organizzativo, a quel punto, è già abbastanza consolidato e irreversibile.
Se per un lungo periodo le tematiche sociali hanno prevalso nel discorsi di CasaPound, negli ultimi anni l’appello contro “l’invasione extracomunitaria” ha assorbito ogni altra spinta.
Più o meno tra il 2006 e il 2007:
Da via Napoleone III cominciarono ad aumentare nettamente gli accenti xenofobi. Il “mercato della paura” attraeva per il suo potenziale di consenso e le posizioni razziste, volutamente tenute in secondo piano da CasaPound, potevano ora essere più spendibili politicamente (p. 47)
Troppo attrattiva l’idea di farsi accreditare come il “sindacato degli italiani”. Troppo facile spostare il tiro dalla lotta “contro le banche e l’usura” , ai centri di prima accoglienza e i campi rom.
Il lavoro di Rosati si presenta esaustivo e completo, arrivando praticamente fino ai giorni nostri: il flop elettorale del 4 marzo non sembra abbia smontato un dispositivo politico-ideologico, che ormai pare consolidato e con cui l’antifascismo italiano dovrà fare i conti nei prossimi anni. E qui qualche considerazione finale viene spontanea. Quello che è necessario, in questa fase, soprattutto nei confronti delle giovani generazioni, è smontare i miti “rivoluzionari” di cui si adornano queste congreghe: la generazione dei padri (quella di Franco Freda e Carlo Digilio) fu organica ai corpi dello Stato, alla Nato e allo stragismo; quella dei fratelli maggiori (Fiore e Fioravanti) fu pesantemente invischiata con i servizi e le pagine più oscure della storia italiana; e oggi i “ragazzi di Iannone” godono di ampi margini di agibilità e tutela da parte di diverse questure, in mille episodi di piazza, nonostante siano formalmente una formazione anticostituzionale. Destarono scalpore i passaggi di una relazione semestrale dei servizi segreti, di un paio di anni fa, che descrivevano CasaPound quasi come una innocua sezione boy-scout dedita al volontariato, nonostante lo stragista Casseri, le violenze diffuse, nonché i consolidati rapporti con il milieu criminale di Ostia e il sottobosco affaristico e delinquenziale capitolino – che da Gennaro Mokbel a Carminati ha sempre allungato le sue zampe sulla città, a caccia più di soldi che di “riscatto nazionale”.
Leggere, documentarsi, studiare, conoscere la Storia e le storie, può diventare, in questa fase critica, una preziosa risorsa antifascista.