di Alessandro Mantovani
Alessandro Pellegatta, I dannati della ferrovia, Introduzione di Giorgio Sacchetti, ExCogita Editore di Luciana Banciardi, Milano 2017, pp. 134, 15,00 euro
Ecco un libro che rischia di – e non dovrebbe – passare inosservato e non solo perché si tratta di un’opera selezionata nel 2017 da “MasterBook”, Master di Specializzazione nei Mestieri dell’Editoria promosso da IULM.
Chiariamo: rischia di passare inosservato, o addirittura di essere snobbato, perché narra – di preferenza con le parole stesse dei ferrovieri protagonisti – storie e lotte di un’epoca, il Novecento, in cui non si parlava di “movimenti”, di “antagonismo” e di “rifiuto del lavoro” ma di “lotte” e di “operai” che del proprio lavoro erano per lo più ingenuamente orgogliosi.
Dalle voci dei protagonisti, dalle loro lettere, dagli articoli del foglio “In marcia!” (pubblicato a Pisa dal 1908 al 1926 e dopo la caduta del fascismo fino al 1979), da inchieste ed interviste personali condotte da Pellegatta con la passione del ricercatore “sul campo”, emerge in effetti un tipo proletario ben diverso da quello odierno: un proletario (quello di ieri) ancorato ad un forte spirito identitario, nel quale l’identità di mestiere, di categoria e di classe possono parere – anche se ovviamente la cosa è assai più complessa – legate tra loro senza soluzione di continuità. Il che della “coscienza di classe” d’allora costituiva insieme un punto di forza immediato quanto uno storico limite.
Colpisce, specie quando le citazioni risalgono alla prima metà del secolo scorso, la lingua di questi operai, macchinisti, fuochisti, ferrovieri: un linguaggio pieno di pathos umanitario (saremmo tentati di dire “deamicisiano”) che potrebbe risultare stucchevole se Pellegatta, commentando ed esponendo i bruti fatti con prosa asciutta, esatta, essenziale, scorrevole, non riuscisse a gettare un ponte tra oggi e ieri, tra noi e quei proletari, facendocene sentire, sotto la polvere retorica dell’epoca che si è appiccicata al loro discorrere, la profonda sincerità, l’umanità sofferta, i sogni appassionati d’un avvenire migliore. Sogni, prospettive, sentimenti solidali, magari ingenui, spesso al di sotto di una coscienza rivoluzionaria, ma dei quali, malgrado tutti i limiti, non possiamo non sentire, purtroppo, l’acuta carenza nel proletariato atipico e precarizzato di oggi. Il quale nel riconoscimento di se stesso come classe appare in realtà non aver marciato in avanti, bensì esser scivolato drammaticamente all’indietro.
Salvo eccezioni – come la stringata ed efficace cronaca del “più lungo sciopero di sempre delle Ferrovie Italiane”, che nel 1921 coinvolse compattamente i ferrovieri di Alto Adige, Trentino e Friuli Venezia Giulia per venticinque giorni – le storie scelte da Pellegatta, anch’egli macchinista ferroviere, nonché militante della CUB Trasporti, redattore del giornale «Cub Rail Wobbly», internazionalista e storico militante,1 sono drammatiche cronache di incidenti e disastri mortali, di cui la Direzione delle Ferrovie, ieri come oggi, cerca sempre di scaricare la responsabilità sui ferrovieri stessi, i quali, quando non perdono la vita, si trovano imprigionati ingiustamente e, anche quando assolti da responsabilità, licenziati per rappresaglia. Ma anche di mobilitazioni solidali e vincenti, come quella che porta, nel 1909, all’abrogazione del famigerato art. 134 del Codice Penale, che prevedeva, in caso di disastri ferroviari, la carcerazione preventiva dei presunti responsabili, i quali dovevano quindi attendere in carcere (o in latitanza, come si verificò talvolta), l’esito del processo a loro carico.
Vediamo dunque, a questo punto, perché, proprio visti i tempi, inosservato questo libro non dovrebbe passare affatto. Perché son tempi, questi, in cui – senza negare le grandi differenze tra la composizione di classe odierna e quella trascorsa – la condizione proletaria si estende anche a settori diversi da quelli della tradizionale “classe operaia” fordista; in cui conquiste e “diritti” che quest’ultima aveva acquisito arretrano rigettando vasti strati di lavoratori nell’incertezza dell’esistenza e nella precarietà; in cui gli “incidenti” sul lavoro, mortali e non, che incidenti non sono mai, con la “ripresina” economica dello Stivale, son tornati paurosamente ad aumentare. Ivi inclusi quelli ferroviari. Perché son tempi in cui la magistratura ha ricominciato a colpire duro i lavoratori, ad assolvere invece i vertici aziendali. Tempi in cui la solidarietà di classe non potrebbe – nella sua latitanza – essere più attuale. E che anche libri come questo possono contribuire a risvegliare nei giovani proletari di oggi. Che poi, certo, dovranno ai futuri scontri di classe necessariamente dare una nuova fisionomia.
Segnaliamo i suoi eccellenti lavori di “storia locale”: Cronache rivoluzionarie in provincia di Varese 1945-1948. Il partito comunista internazionalista, gli anarchici e i dissidenti libertari nel periodo della ricostruzione postbellica, Quaderni di “Pagine Marxiste”, I, Milano, 2004, seconda edizione 2009; Cronache rivoluzionarie a Portoferrario (1944-1949). I comunisti internazionalisti e la lotta degli operai elbani contro la chiusura degli altiforni, Quaderni di “Pagine Marxiste” n. II, Milano, 2005; I figli dei serrati. Una storia di affido proletario e solidarietà di classe da Piombino a Gallarate (1911), Quaderni di “Pagine Marxiste” n. III, Milano, 2006 ↩