di Fabio Ciabatti
Alain Badiou, Trump o del fascismo democratico, Meltemi, 2018, pp. 72, € 9,00.
La vittoria di Trump suscita depressione e paura. Inutile nascondersi dietro raffinate analisi politiche. Alain Badiou, filosofo comunista, autore di numerosi pamphlet sull’attualità politica, nei giorni immediatamente successivi all’elezione del presidente USA tiene due conferenze negli Stati Uniti che si trasformano in un commento a caldo sul nefasto evento. Il compito che il filosofo si pone da subito è quello di superare il comprensibile sgomento per studiare a mente fredda la situazione politica che ha consentito una vittoria per certi versi così sconcertante. Il risultato è un ragionamento al tempo stesso semplice e denso, un’analisi di fase a tutto tondo che va ben al di là delle vicende elettorali americane. II tutto disponibile nel breve testo Trump o del fascismo democratico.
Secondo Badiou sono quattro le condizioni fondamentali che guidano la dialettica dell’attuale fase storica: il dominio strategico del capitalismo globale, la crisi della tradizionale oligarchia politica borghese, il disorientamento e la frustrazione delle persone, la mancanza di una direzione strategica alternativa. Oggi per l’élite borghese non è necessario sostenere che il mondo attuale è migliore di tutte le possibili alternative, ma è sufficiente affermare che è l’unico possibile. There is no alternative. Non c’è alternativa al fatto che 264 persone possiedono ricchezza e reddito pari a quella di 3 miliardi di persone; non c’è alternativa al fatto che nel mondo si è creata un’eccedenza di 3 miliardi di persone per la quale il capitalismo non è in grado di creare un’occupazione profittevole, un’enorme massa umana che si sposta per il globo alla ricerca della sopravvivenza. Il capitalismo globalizzato non si preoccupa degli effetti distruttivi del suo dominio. Ma proprio per questo motivo l’oligarchia politica occidentale borghese sta perdendo il controllo degli ingranaggi capitalistici e finisce per indebolirsi.
Così, da una costola dell’élite borghese nasce una schiera di politici che costituiscono una sorta di “esteriorità interna” rispetto al sistema politico vigente. L’esteriorità è costituita dal linguaggio violento, demagogico, irrazionale, apertamente contraddittorio, finalizzato esclusivamente a suscitare reazioni emotive e a generare un’unità in larga parte artificiale. Di fronte a crisi, false promesse, soluzioni inadeguate la maggior parte delle persone si orienta verso false novità, idee irrazionali, asfittiche tradizioni. Può nascere così quello che, con un’espressione volutamente paradossale, Badiou definisce “fascismo democratico”, un orientamento politico che cerca di spacciare per nuove vecchie cianfrusaglie come nazionalismo, sessismo, razzismo, colonialismo, bigottismo religioso. A differenza del vecchio fascismo, quello nuovo non ha un vero antagonista, il comunismo, e manca, almeno fino a ora, di organizzazioni costruite ad hoc attorno al capo carismatico. In ogni caso si tratta sempre di un fenomeno interno al sistema dominante perché non si discosta dall’unica via perorata da tutti i governi del mondo costituita dalla sacralità della proprietà privata.
Una caratteristica fondamentale del sistema politico attuale, continua Badiou, è che lo scontro tra destra e sinistra è la mera “rappresentazione di una contraddizione” che nasconde una complicità sostanziale nell’accettare il capitalismo globalizzato come legge generale che domina la realtà. I limiti esterni dei due campi politici sono tradizionalmente costituiti dal comunismo e dal fascismo. Trump si colloca nel punto di contatto tra élite tradizionale della destra e posizioni fasciste. Hilary Clinton, invece, è una tipica rappresentante della classe politica della sinistra dello schieramento.
Quello tra Clinton e Trump, dunque, è stato, dal punto di vista del posizionamento politico, uno scontro asimmetrico che, svolgendosi in tempi di crisi, ha favorito il candidato spostato verso l’estremità del suo campo. Allo stesso tempo, l’opposizione tra i due aspiranti presidenti non costituiva una vera contraddizione. Sebbene Clinton avesse il volto più rassicurante della classe borghese colta, in realtà apparteneva alla stessa élite di Trump, quella che intasca profitti e dividendi in ogni parte del mondo. La vera contraddizione, anche se in forma attenuata e confusa, sostiene Badiou, si è affacciata nelle primarie del partito democratico attraverso Sanders che ha rappresentato il possibile inizio di una nuova soggettività popolare alternativa all’oscurantismo pseudo-popolare incarnato da Trump.
Questa soggettività reazionaria è frutto della frustrazione del popolo, dell’impressione di trovarsi in una situazione impenetrabile, in un vicolo cieco. Si è diffusa una paura del futuro che nasce dalla mancanza di orientamento, di stabilità, dalla sensazione di vedere distrutto il proprio mondo senza la possibilità di costruirne uno nuovo. Una distruzione priva di senso. Di fronte a tutto ciò non mancano resistenze e ribellioni. Ma è ancora assente una via strategica per lo sviluppo dell’umanità alternativa al capitalismo. Manca quella che Badiou definisce un’idea: un insieme sufficientemente forte e articolato di principi condivisi in grado di fungere da mediazione tra il soggetto individuale e il progetto collettivo dell’emancipazione, di costituire un’unione strategica globale di tutte le forme di resistenza e di azione politica.
Di fronte a un fenomeno come la vittoria di Trump, dunque, non basta opporsi. “Il nostro compito è sostenere un nuovo inizio”. Ciò significa riprendere i punti essenziali dell’idea comunista. Badiou ne elenca quattro. Primo, non è necessario che la chiave dell’organizzazione sociale sia costituita dalla proprietà privata con il suo portato di mostruose disuguaglianze. Secondo, il lavoro non deve essere dominato da una specializzazione che divide i lavoratori in manuali e intellettuali, esecutori e dirigenti ecc: il lavoratore può essere polimorfo. Terzo, non è necessario che le persone siano separate da confini nazionali, etnici, religiosi, di genere: contro la costituzione di identità chiuse, l’uguaglianza può costituirsi come il potenziale creativo della differenza. Infine, si può contestare la necessità dell’esistenza di uno Stato come potenza che si delimita e si arma: l’organizzazione sociale si può costituire sulla base di quella che Marx chiamava la “libera associazione”.
Questi quattro punti, sottolinea Badiou, ben lungi da costituire un programma, rappresentano soltanto principi che consentono di valutare programmi, partiti, decisioni politiche. Un elemento essenziale per passare ad un’effettiva azione politica è quello dell’organizzazione, intesa come “memoria del movimento”. Ogni politica si deve confrontare con lo Stato e il potere. Movimenti di massa, rivolte spontanee e manifestazioni collettive sono elementi necessari per una nuova politica. Ma la differenza fondamentale tra movimenti e Stato è il tempo: i movimenti sono destinati a esaurirsi, lo Stato permane e sopravvive al movimento. Per questo è necessaria l’organizzazione quale dimensione della continuità temporale del movimento, come possibilità per radicalità del movimento stesso di non estinguersi, ma di sviluppare una nuova strategia.
In questo ambito, il partito leninista rispondeva a un preciso problema: “come possiamo vincere?” Il classico partito comunista nasceva infatti per fare tesoro delle rivoluzioni sconfitte dell’Ottocento (il ’48, la Comune) e per tenere conto del destino dei partiti di massa francese e tedesco che avevano finito per estinguere la loro radicalità nella collaborazione con le élite borghesi. La soluzione è stata un’organizzazione fortemente gerarchica, quasi militarizzata che, in determinate circostanze, è stata in grado di sopravvivere allo Stato, piegare le forze nemiche, prendere il potere. Il prestigio di cui ha goduto questa concezione nasceva dal fatto che, agli occhi di milioni di persone, essa ha rappresentato lo strumento per la prima vittoria dei lavoratori nella storia dell’umanità. Tuttavia, l’organizzazione di una nuova società restava per il partito un processo problematico perché esso stesso tendeva a trasformarsi in un nuovo tipo di oppressione statale.
Pertanto, secondo Badiou, occorre creare organizzazioni che non vengano confuse con il potere e con lo Stato, che consentano di continuare la rivolta e la mobilitazione delle masse perfino con il potere socialista alla guida. L’organizzazione deve preservare la vicinanza al movimento ed essere in grado di controllare lo Stato, di esercitare su di esso una sorta di “dittatura del popolo”. Questo è il nostro futuro, conclude Badiou, se guardiamo avanti con fiducia e se riusciamo ad andare al di là dello sgomento provocato dalla vittoria di un personaggio come Trump il quale, più che essere un pericolo in sé, è il sintomo di una situazione pericolosa. Un sintomo da cui non dobbiamo farci distrarre per andare alla radice delle cose.