di Luca Cangianti
Bini Adamczak, Il comunismo raccontato a un bambino (e non solo), Sonda, 2018, pp. 126, € 15,00.
Riappropriarsi della soggettività, farla finita con il dominio delle cose sugli umani, cambiare il mondo senza rinunciare a fare i conti con l’eredità stalinista che pesa sulla promessa di liberazione comunista. Sono questi gli obiettivi dell’agile volume della saggista e attivista politica berlinese Bini Adamczak, che utilizza l’espediente retorico di un linguaggio infantile, colloquiale e ironicamente fiabesco, per far risaltare nella loro chiarezza spiazzante idee complesse e raffinate.
Nella prima parte del libro, corredato da disegni della stessa autrice, si definiscono i concetti principali, cioè il comunismo (“la società capace di cancellare tutti i mali che affliggono le persone nella società di oggi”), il capitalismo (concepito come reificazione), il plusvalore (assoluto) e la crisi (da sottoconsumo).
La seconda parte del libro affronta il problema del “che fare?” attraverso una fenomenologia di tentativi ed errori che tipicizza la storia delle teorie anticapitaliste: lo statalismo egualitario, il ritorno alla produzione artigianale, la pianificazione burocratica, il pauperismo e l’automazione generalizzata nella quale la gente “Basta che apra la bocca che le arriva subito succo d’uva nel gargarozzo, e dal cielo vede cadere piccioni di tofu arrosto.” Tuttavia, perfino in questo paese della cuccagna la gente “Mentre se ne sta sparapanzata, realizza che tutto ruota di nuovo attorno alle cose. Ora conta solo averne a sufficienza. E le nuove fantastiche abilità che avevano sviluppato quando si occupavano di ogni aspetto da soli in fabbrica sono scomparse.” Insomma non basta l’abbondanza per fare il comunismo. Questo, secondo l’autrice, è la riappropriazione di ciò che gli umani hanno alienato nelle cose facendosi da esse dominare. Il comunismo è quando “al posto degli esseri umani nelle fabbriche, ci saranno fabbriche dal volto umano; e al posto degli uomini-macchina, cyborg. E nessuno lavorerà mai più in fabbrica, perché tutti potranno fare tutto e abitare dappertutto.”
Con la terza parte il discorso si fa più impegnativo e qualche bambino dovrà aspettare un po’ di anni prima di esser certo di aver afferrato un discorso che spinge la critica del capitalismo fino alla “critica delle critiche” riordinando le utopie anticapitaliste, precedentemente enumerate con linguaggio infantile, “in base all’ideale che delineano e all’ambito dell’economia capitalista che prendono a modello” (circolazione, produzione, consumo). Le principali alternative teoriche comuniste al modo di produzione capitalista non fanno quindi che contrapporre una parte alla totalità capitalista e per questo falliscono l’obiettivo della riappropriazione dell’agency umana.
Il comunismo raccontato a un bambino (e non solo) è un libro godibile per tutte le età. Una volta tanto la bellezza, la poesia e l’acume filosofico trionfano sull’estetica punitiva (nei confronti del lettore) spesso in voga nella letteratura teorica marxista. E forse non è un caso che la strategia di liberazione offerta da Adamczak si basi sul “desiderio comunista”.