di Iacopo Barison
[Questo è un estratto di Le stelle cadranno tutte insieme, secondo romanzo di Iacopo Barison, (già autore di Stalin+Bianca con la casa editrice Tunué), pubblicato da Fandango Libri (2018). Tre giovani protagonisti immersi e vaganti in una città scintillante e frenetica inseguono la chimera del successo e l’idea della felicità tra ombre e fantasmi, sparizioni e avvistamenti UFO. “Ne emerge il primo ritratto veramente lucido della generazione millennial, schiava di una libertà emotiva, sessuale ed economica che non ha dovuto conquistare e dà quindi per scontata”.]
Fuori, il taxi mi aspetta col motore acceso. La città è immersa nella penombra. Quando salgo a bordo, sono ancora stordito dall’erba e dall’emorragia di mio padre. L’autista fischietta per tenersi sveglio – dev’essere quasi alla fine del turno. La radio trasmette Forever Young degli Alphaville e io mi accarezzo le tempie e sbuffo e gli chiedo se può andare più in fretta. Lui non mi sente, oppure preferisce ignorarmi.
Arriviamo a un semaforo. Un lavavetri di origine indiana si avvicina al taxi, spruzza qualcosa sul parabrezza.
L’autista lo guarda e abbassa il finestrino e gli dice: “Non vedi che sta per piovere?”. Quando il semaforo diventa verde, l’autista suona il clacson due volte e l’indiano si sposta e bussa sui finestrini. Dal cielo, nel frattempo, inizia a scendere qualche goccia. Proseguiamo verso l’aeroporto, percorriamo arterie e raccordi caotici e la pioggia si fa insistente.
In radio, intanto, stanno parlando del possibile avvistamento di un UFO. Un adolescente di Copenaghen sostiene di averlo visto: volava a un centinaio di metri di altezza, sui palazzi di un quartiere popolare. Il ragazzino è riuscito a filmarlo e ha caricato il video su YouTube. Secondo gli esperti, però, si tratta di un falso al 99%. Lo speaker si interroga sul restante 1% e il tassista si lamenta del traffico, continuando a suonare il clacson.
Rallentiamo e superiamo il luogo di un incidente. Il carro attrezzi sta agganciando un’utilitaria ammaccata, col parabrezza sfondato e i vetri sparsi sulla corsia d’emergenza. L’airbag riempie parte dell’abitacolo, sembra le nuvole dei cartoni animati. Lì vicino, seduta sul marciapiede, c’è una giovane coppia in evidente stato di shock. Superiamo anche loro, e l’autista si volta e mi dice: “Bisogna fare attenzione, altrimenti finisce male”.
Guardo le luci dell’aeroporto, ancora accese per via dell’ora. Ogni cosa sembra al suo posto, gli aerei prendono quota e scompaiono nella coltre grigia. In radio, parlano ancora del possibile avvistamento. “Se ci fossero gli UFO”, dice un’ascoltatrice, “potrebbero aiutarmi a guarire dal cancro. Non mi resta granché da vivere, spero davvero che gli UFO esistano.”
Più tardi, nel duty free, mi siedo e ordino una spremuta e un sandwich col tonno. L’imbarco inizierà fra poco. Il bar ha un’aria tetra e inospitale e la TV è sintonizzata su una vecchia replica del Benny Hill Show. Due anni fa, mi pare, ero alla festa di compleanno di un produttore e il locale era pieno di gente e io ero seduto in un angolo, su un divanetto a forma di cuore. Mi guardavo in giro, il divanetto era piuttosto kitsch e gli invitati erano ancora peggio. Per tutta la durata della festa (dieci ore, forse di più) il DJ aveva suonato il tema musicale di Benny Hill. Era una specie di provocazione, ma qualcuno la trovava divertente e riusciva a ballare. Avevo rimorchiato una ragazza sbronza, non ricordo il nome, e dopo circa un’ora eravamo usciti. A casa, avevamo bevuto ancora e lei mi guardava e diceva che somigliavo a suo padre. Poi, quand’eravamo a letto, si era addormentata e io non me n’ero accorto e avevo continuato fino alla fine.
Mi concentro sulla forma del bicchiere, e l’arancione della spremuta mi rende triste. È troppo acceso, troppo vivo. Vorrei dirlo alla cameriera che mi ha servito, per vedere la sua espressione. Mi scusi, può portarmi un’altra spremuta? Questa non va bene, è troppo viva.
Sull’aereo, quando stiamo per decollare, ripenso all’estate che ha cambiato le nostre vite. C’è sempre il sole, e io e Aria camminiamo per le vie deserte e ci divertiamo a immaginare il futuro, le prometto che rimarremo insieme per sempre e lei mi guarda come si guardano i pazzi ma poi dice: “Sì, forse hai ragione”, e dopo ci baciamo e parliamo di tutte le cose che faremo in città, comprese quelle che farà Danny. Fantastichiamo sui poster che avremo in casa (la locandina di Citizen Kane, una scena di Ghost con Patrick Swayze, eccetera) e sulla conformazione della città stessa, che conosciamo solo per sentito dire, o dai panorami statici di Google Street View. Un giorno, Danny scompare e poi torna con un vecchio Super8 in buone condizioni, l’ha trovato in un negozio di antiquariato. Le riprese durano circa una settimana e la luce è quella giusta e le nostre motivazioni anche. Resta solo l’ultima scena, quella in cui lui improvvisa e stringe Aria più forte e la bacia. Quando gli getto il copione addosso, Danny si avvicina e bacia anche me, per dimostrare che la finzione è una scatola vuota.
Lo perdono, e lui mi perdona per averlo aggredito, quindi decidiamo di mantenere la scena e in effetti è meglio così. Inviamo il cortometraggio e le lettere di presentazione, d’accordo sul fatto che se uno di noi non verrà ammesso, allora anche gli altri rinunceranno. Aria, nella sua lettera, scrive che il cinema è il contrario della morte. Danny, invece, scrive che Humphrey Bogart è ancora vivo, basta guardare uno dei suoi film, e io scrivo un discorso in cui la parola “finzione” viene ripetuta per nove volte. Passiamo il resto dell’estate ad attendere, andiamo alle feste e i OneRepublic sono la band più ascoltata dai nostri coetanei. A una di queste feste, quando Aria si allontana per andare in bagno, una ragazza la indica e mi chiede se è vero che parla coi morti e io le rispondo di no. C’è sempre il sole e le temperature non scendono mai, nemmeno il giorno in cui la scuola pubblica i risultati e scopriamo che tutti e tre siamo stati ammessi. Esultiamo, sapendo che l’ammissione è soltanto l’inizio, poi guardiamo i prezzi delle case in città e facciamo telefonate e Danny si finge un diplomatico del Qatar. Aria, subito dopo, finge di essere l’agente di Mark Ruffalo e fa domande specifiche su un attico soppalcato. Io, mentre loro si divertono, cerco dei trilocali che rientrino nel nostro budget. Ne trovo un paio, mi accordo coi proprietari e prenoto i biglietti aerei. Il giorno della partenza, sul vialetto di casa, Aria mi guarda negli occhi e per la prima volta mi dice: “Ti amo”.