Morellini Editore, Milano 2017, pagg. 248 € 14.90
di Mauro Baldrati
Tutti ormai conosciamo lo studio redatto sulla base di dati Ocse e Istat, secondo il quale il 70% degli italiani è costituito dai cosiddetti “analfabeti funzionali”. Non si tratta di incapacità di leggere e scrivere, ma dell’impossibilità di collegare dati, di leggere fino in fondo un articolo, addirittura di comprendere la trama di un film. Di questi oltre il 18% non ha mai letto un libro né un giornale né è mai andato al cinema, ma ha come unico strumento di conoscenza la televisione.
Sicuramente Piano Americano non è il libro adatto a loro. Oppure sì? E’ infatti un testo parlante. Un libro che si racconta, si critica, si dichiara, e si nega. I piani della cosiddetta realtà sono sfalsati, volutamente arbitrari e mimetici. E’ una concatenazione di storie (s)legate da un’apparente anarchia letteraria che fonde l’invettiva con la narrazione, il paradosso col realismo, l’ironia con la rabbia e la disperazione. E poi parla di loro. Proprio gli “analfabeti funzionali”. Anzi, si rivolge a loro apertamente, gli schiavi mentali della “Fiction Cloud”, che “costituirebbe una sorta di realtà-marmellata dove tutto ciò che ti viene raccontato si mescolerebbe come un enorme blob, al punto che le persone reali possederebbero lo stesso grado di concretezza dei personaggi dei film” (pag. 111), per cui “la gente non è più in grado di distinguere la realtà dalla fiction. Il tuo immaginario (caro lettore/spettatore/consumatore) non ha più bisogno di distinguere un intellettuale da uno sportivo, un criminale da un attore, un politico da un artista. Una soubrette può spiegarti il suo punto di vista su gravi fatti internazionali, il calciatore può scrivere romanzi, la popostar che adori può candidarsi nel tuo partito” (pag. 114).
Proprio questa realtà-marmellata, che domina l’immaginario collettivo, e condiziona pesantemente la letteratura, ha spinto l’autore di Piano Americano, Antonio Paolacci, che si chiama come il Narratore, Antonio Paolacci, a non scrivere Piano Americano. A un certo punto, scrive l’Autore (ovvero lo fa scrivere al Narratore), ha deciso di abbandonare il progetto, che era pieno di grandi aspettative: liberarsi dai vincoli, mentali e creativi, spezzare le catene dei modelli editoriali in voga. Sarebbe stato, se l’avesse scritto, una fucina di invenzioni in libertà, una inventiva sfrenata e selvaggia. Un testo coraggioso, oltraggioso, eversivo. Ma è tutto inutile, tanto ha deciso di non scriverlo: “Scrivere non serve a niente”. E’ solo un esercizio narcisistico, destinato al fallimento, perché ormai “l’intrattenimento (non la letteratura) qualifica la cultura del popolo”. Scrivere è una fatica immane, causa di sofferenza, terrore del fallimento, e per cosa? I risultati sono minimi, se non assenti. Tutto è ridotto all’affabulazione, il “mercato” non vuole altro.
Però… se l’avesse scritto avrebbe parlato in un certo modo con un certo stile: ci sarebbero stati dei personaggi eccentrici, come il quasi-invisibile Jacov Goliacci, che non è davvero invisibile, semplicemente non si nota, è come trasparente. Se è seduto su una panchina un passante rischierebbe di sedersi sulle sue ginocchia, perché non si accorgerebbe della sua presenza. Se è in un bar, in attesa di ordinare, il cameriere userebbe il suo tavolino come piano d’appoggio per i bicchieri sporchi, ignorandolo. Però Jacov ha una particolarità: è visibilissimo nelle riprese fotografiche e cinematografiche, dove appare come il sosia di un famoso e potente uomo politico, detto Il Puttaniere, o Il Merda, o Eliogabalo. Per questo il protagonista del romanzo (se fosse stato scritto), Gaetano, l’Alter Ego del Narratore, insieme alla ragazza Arianna, avrebbero ideato la creazione di un video-fake nel quale Jacov, nella sua versione iper-visibile, avrebbe commesso ogni genere di nefandezza, nei panni del Merda. E le persone che non sanno distinguere tra finzione e realtà ne sarebbero uscire sconvolte. Un filmato devastante, rivoluzionario.
Ma tutto è inutile, tutto superfluo, perché tanto Antonio Paolacci ha abbandonato il progetto, e Piano Americano non vedrà mai la luce. Quello stile, quella trama non saranno mai fissati sulla pagina bianca. A che scopo? Lo scrittore, se non è un affabulatore di mestiere, è destinato al fallimento. Le idee sarebbero state tante, e tutte interessanti. Il filmato avrebbe raccolto molte delle scelte estetiche rivoluzionarie che hanno cambiato il cinema. Come per esempio il film più famoso e più originale della storia del cinema, Psycho di Hitchock: la scena della doccia ha scardinato dalle fondamenta ogni consuetudine filmica. E qui, con stupore, ci accorgiamo che stiamo leggendo uno straordinario saggio sul film, un’indagine precisa e visionaria sulle tecniche e gli stili del capolavoro… ma come ci siamo arrivati, e quando? Torniamo indietro di alcune pagine, per cercare di capire in che punto preciso è avvenuto questo passaggio narrativo che ci ha trascinato nel suo flusso a nostra insaputa.
Questo fenomeno ricorre spesso nel libro parlante non scritto. Mentre prosegue descrivendo, e soprattutto scrivendo come si sarebbe sviluppata la trama del film-fake e il perfezionamento dei profili psicologici dei personaggi, ci troviamo a leggere una dissertazione spietata sui meccanismi della comunicazione asservita al Potere, gli strumenti diabolici di persuasione di massa; un altro saggio lucido sul capolavoro del Male preparato a tavolino dalla gelida, determinata Leni Riefestahl, Il trionfo della volontà; l’entrata in scena di un pazzesco killer dei servizi segreti, uno specialista dell’omicidio del quale si indaga l’infanzia, i segnali e le violenze che l’hanno portato ad essere tale; un racconto terribile, di un realismo quasi insopportabile, sull’orgia di violenza fascista della polizia durante i fatti di Genova; e un quadretto intrigante, che Antonio Paolacci ha stilato prendendo uno degli archetipi del fumetto: l’autore che, seduto al tavolo da disegno, vede materializzarsi uno o più personaggi che lo criticano, lo accusano, persino lo insultano per come li ha condannati a un destino di sventure e di infelicità. E’ un dialogo serrato tra alcuni personaggi e il Narratore Antonio Paolacci, che l’Autore Antonio Paolacci ha piazzato nella sala d’aspetto “kafkiana” di un ospedale, in stato semi-onirico per la mancanza cronica di sonno, mentre l’amata moglie Paola Ronco (che si chiama come la moglie dell’Autore) sta combattendo una dura guerra contro un parto difficile.
Questa narratività per flussi che si fondono l’uno nell’altro, che prendono direzioni diverse mentre noi li seguiamo talvolta stupiti, talvolta increduli per come il paradosso di un libro non scritto che si scrive ad ogni pagina viene espanso in continuazione, rende Piano Americano uno dei libri più originali degli ultimi anni, e ne fa un testo che dovrebbe essere letto obbligatoriamente nelle varie scuole di scrittura sparse per il paese.
Uno dei requisiti più difficili della letteratura contemporanea, raramente raggiunto dagli autori dei nostri giorni, è la capacità di essere avvincenti. E’ un misterioso, sfuggente mix di velocità, semplicità, ritmo. Beh, costituisce proprio la “cifra” di questo testo che ci stupisce per la sua apparente anarchia che ci tiene attaccati alle pagine come qualcosa che potrebbe scomparire perché scritto con l’inchiostro simpatico, mentre è sempre lì, che ci segue, ci blandisce, e ci sfida.