di Luca Cangianti
Uno specchio di acqua sorgiva sulla quale galleggiano le anatre e si fermano a bere gli uccelli migratori. Non in una campagna sperduta, ma a poche decine di metri da largo Preneste, con i palazzoni Ina, la foresta di semafori intermittenti, le rotaie come vene di un drago sepolto sotto l’asfalto e migliaia di esoscheletri metallici contenenti umani imbronciati. In questo angolo di periferia romana il Lago ExSnia è la metafora poetica di un mondo liberato che fa breccia nel grigiore quotidiano sussurrandoci con delicatezza e sensualità: un’altra vita è possibile!
Un tempo su questi terreni sorgevano gli stabilimenti della Snia Viscosa, una fabbrica di seta artificiale fondata nel 1923 che arrivò a impiegare fino a 2.500 persone, in prevalenza donne immigrate abruzzesi, marchigiane, venete e della provincia laziale. La produzione fu dismessa nel 1955 e l’area acquistata nei primi anni novanta da una società che vi iniziò lavori di edificazione intercettando però una falda idrica. Questa è l’origine del lago metropolitano di diecimila ettari di superficie. Dopo molti esposti presentati dai residenti riguardo alla correttezza delle concessioni edilizie e la richiesta di destinare gli spazi al verde pubblico, iniziò una lunga vicenda giudiziaria e vertenziale.
Su parte del terreno espropriato nel 1997 fu aperto al pubblico il Parco delle energie, grazie a una battaglia del Centro sociale ExSnia sorto dall’occupazione di alcuni capannoni del complesso industriale. Nel 2015, infine, si arriva all’apertura pubblica del lago mediante un accesso ricavato nel muro di cinta di via di Portonaccio. Il gruppo rap Assalti Frontali1 dedica alla battaglia due canzoni e perfino molti media mainstream riconoscono il valore sociale dell’iniziativa. “Quando gli anziani tornano qui, rivivono i luoghi della loro gioventù” dice Michele, ricercatore di professione, ma anche attivista del Forum Territoriale Permanente del Parco delle energie che gestisce gli spazi restituiti alla cittadinanza. “Se in questa lotta c’è stato un coinvolgimento popolare così diffuso è anche perché la fabbrica era considerata parte integrante del quartiere. Adesso ci battiamo affinché tutti i 12 ettari d’area siano riconosciuti come monumento naturale e stabilmente protetti come patrimonio storico e paesaggistico.” In effetti la zona dispone di quattro diversi habitat naturali tutelati dalle direttive europee, 185 specie botaniche e 60 di uccelli. “La natura si è ripresa il suo” afferma Mario del Wwf Pigneto-Prenestino, mentre, binocolo al collo e abbigliamento tecnico, scruta il cielo per capire quali volatili godano dei tiepidi raggi di questo sole invernale. “È tornata la poiana! Sono due anni che non si vedeva. Guarda le cornacchie: la mobbano! Sono molto territoriali.”
Mario si allontana per scattare delle fotografie. Rimango con il naso per aria a osservare gli uccelli che volteggiano, gracchiano e cercano di allontanare il rapace intruso. Poi mi dirigo verso una pergola sotto la quale siede Faty, uno dei due uomini senegalesi che si prendono cura del parco, aprendo i cancelli alle dieci del mattino e chiudendoli al tramonto. Mi racconta della gente che frequenta il luogo, delle famiglie che nel fine settimana vengono a fare i picnic sul prato. “Sono di una zona del mio paese dove siamo tutti agricoltori” aggiunge. “Ho provato a piantare un albero di avocado. Il freddo l’ha ucciso, ma ci riproverò. Adesso sto facendo crescere la papaya in un vaso per piantarla a marzo. Fa bene agli occhi, sai? Voglio far crescere anche un albero di mango. In questo modo il parco avrà la sua zona africana, così anche se andremo altrove, qui rimarrà qualcosa di noi.”
Nella parte del complesso accessibile al pubblico sorge il Quadrato, uno spazio aperto dotato di tetto, autosufficiente a livello energetico. I ragazzi e le ragazze del quartiere ci vengono a giocare a pallacanestro e il centro sociale ci organizza i concerti. Sotto i grandi pini storici c’è inoltre la Casa del parco, una struttura bioarchitettonica che ospita molti eventi culturali, oltre alla ludofficina e al Centro di documentazione territoriale Maria Baccante.
Matilde ha lavorato come insegnante d’inglese nella scuola secondaria e ora cura il materiale affidato al centro a partire da un tesoro archivistico costituito dalle diecimila cartelle individuali delle maestranze e dai documenti degli uffici tecnici della Snia Viscosa: “Tutto questo materiale è stato abbandonato con la chiusura della fabbrica. Alcuni abitanti del quartiere nel 1995 lo hanno trovato buttato per terra e lo hanno salvato.” Dai faldoni che contengono foto ingiallite, documenti attestanti lo stato di salute degli operai, punizioni e lettere personali, emerge lo spaccato di una società fordista fatta di sfruttamento, oppressione patriarcale e fascismo, ma anche di resistenza e solidarietà operaia. Molti lavoratori a causa dell’esposizione a sostanze tossiche impazzivano e finivano a Santa Maria della Pietà, il manicomio provinciale di Roma. Si veniva puniti per una risatina, per aver parlato durante il lavoro con le compagne. Dopo il 1938, inoltre, il personale doveva compilare un documento in cui si dichiarava la propria appartenenza razziale. Molte schede riportano l’orribile dicitura “razza ariana”, però la microresistenza si insinua ironicamente anche tra questi moduli: “alcune operaie eludevano l’obbligo dichiarando di essere di ‘razza italiana’” sorride Matilde.
Alla Snia Viscosa lavorò Tigrino Sabatini, dirigente di spicco della formazione comunista dissidente Bandiera Rossa2 fucilato a Forte Bravetta nel 1944. Operaia negli stessi stabilimenti fu anche un’altra partigiana del gruppo: Maria Baccante, alla quale è intitolato il centro di documentazione. Era specializzata nel
lancio di chiodi a tre punte, nascondeva soldati russi e polacchi, faceva arrivare armi, radio e altre attrezzature ai partigiani laziali. Nel dopoguerra fu assunta alla Snia Viscosa e nel 1949 fu animatrice dell’occupazione della fabbrica e di un contestuale sciopero durato ben 40 giorni: le operaie e gli operai, protetti dall’abbraccio solidale del quartiere, si approvvigionavano utilizzando i cunicoli delle fungaie e del bunker antiaereo presente sotto gli stabilimenti.
“Noi cerchiamo di andare oltre il mero servizio sostitutivo alle carenze del pubblico” commentano gli attivisti del Forum. “Le nostre iniziative sono politiche nel senso che difendono la qualità della vita del quartiere ricreando brandelli di tessuto sociale a fronte della devastazione capitalista. Su questo tessuto fatto di quotidianità, di spazi di natura, solidarietà, memoria storica e territoriale, possono svilupparsi meglio identità e modi di vita che non siano interamente schiacciati dalla logica dominante.”
Esco dal parco che è ormai sera, indosso gli auricolari e ascolto Il lago che combatte, un brano nato dalla collaborazione dei gruppi musicali Assalti Frontali e Il Muro del Canto: “In mezzo ai mostri de cemento il lago è ‘n sogno che s’avvera. È la natura che resiste, stanotte Roma è meno nera.”