di Walter Catalano
Con il successivo The Nothing Man (1954), tradotto come Un uomo da niente o, meglio, come L’uomo nulla, il tema ritorna con prepotenza: Clinton Brown è un bravo giornalista e un uomo attraente che ha successo con le donne, ma durante la guerra una mina antiuomo l’ha castrato, trasformando il reduce in un alcolista psicotico che oltre a vendicarsi torturando quotidianamente col sarcasmo il suo caporedattore Dave Randall, l’ufficiale responsabile di averlo mandato in missione sul campo minato e l’unica persona che conosca il suo segreto, vuole che “il mondo paghi l’affitto dell’inferno in cui ho abitato”. Così uccide Ellen, l’ex-moglie con un colpo di bottiglia e poi incendia la baita in cui giace il corpo; strangola Deborah, una donna che lo attrae e poi getta il cadavere nel canile; infine soffoca Constance, l’editrice che conserva una copia di poesie proto-beat da lui scritte e che potrebbero incriminarlo, con una manciata di monete ficcate in gola. In realtà, scopriremo nel finale, Brown crede soltanto di essere l’assassino, perché ha agito sempre in una sorta di black-out etilico: ciascuna delle vittime era già morta per motivi diversi da quelli che lui ricorda ed egli è quindi tecnicamente innocente: Brown è talmente impotente che non è riuscito nemmeno a compiere davvero l’atto dei propri delitti; ugualmente sarà incapace di uccidersi. La Dell, editrice del paperback, impose un finale meno disperato e del tutto posticcio che Thompson fu costretto ad aggiungere, in cui l’avvilito giornalista promette di farla finita con l’alcol e di rimettersi in riga.
Segue nel 1955 After Dark, My Sweet, noto da noi come Prima dell’alba o come E’ già buio, dolcezza: un ex poliziotto, un’alcolizzata e un giovane ex pugile psicopatico appena uscito dal manicomio, rapiscono un ricco bambino diabetico. William “Kid Collie” Collins è un altro dei grandi personaggi thompsoniani: stupido ma sensibile, soggetto a irrefrenabili accessi di violenza che si scatenano soprattutto quando viene messo in evidenza il suo complesso di inferiorità e di inadeguatezza, ha ucciso un suo avversario sul ring, è stato più volte internato e dimesso dagli ospedali psichiatrici; sarebbe innamorato di Fay Randall, la giovane vedova alcolizzata complice del colpo, se riuscisse a fidarsi di lei, e quando scopre il doppio gioco di Uncle Bud – l’ex sbirro ideatore del rapimento che, visto l’esito incerto dell’affare, intende denunciare i compagni alla polizia per salvare se stesso – cerca disperatamente una via d’uscita per il ragazzo malato, per Fay e, possibilmente, anche per lui. Il fragile e schizoide Kid Collie è l’uomo più saggio del gruppo, è l’unico capace di sacrificio e di lealtà: “Quando un uomo smette di preoccuparsi per quanto gli accade, ogni tensione si solleva da lui. Sospetto e angoscia e paura – tutte cose che distorcono e sfocano il suo pensiero – vengono spazzate via. E può finalmente vedere la gente com’è davvero. Proprio com’è – e così vidi Fay. Debole e terrorizzata. Forse piena di autocommiserazione. Ma buona, anche. Quanto in pratica lo può essere una donna, che si rinfaccia di non essere migliore… Improvvisamente aveva senso che Fay vivesse; era l’unico modo di dare un senso alla mia vita. Ero vissuto per questo, così sembrava. Per questo ero stato fatto com’ero. Per mostrarle qualcosa, per dimostrare qualcosa – per fare per lei qualcosa che lei non avrebbe potuto fare da sola. E poi per proteggerla perché potesse andare avanti. Perché trovasse quella ragione di vita che io non avevo mai avuto”.
Collie dice quindi a Fay che l’unico modo di salvarsi è uccidere il bambino perché non restino testimoni, Fay non vuole credergli ma Collie la convince simulando di essere un bruto che prova piacere nell’assassinio e poi perde “accidentalmente” la pistola: così Fay fa esattamente quanto Collie si aspetta da lei, gli spara nella schiena e fugge col prigioniero consegnandosi alla polizia. Collie muore felice, sapendo che gli sbirri crederanno alla versione della ragazza, avallata dalla testimonianza del piccolo e che Fay avrà l’occasione di rifarsi una vita. L’esistenza senza senso di Kid Collins trova così finalmente un riscatto: la verità è nata dall’inganno, l’amore dall’odio, il bene dal male. Questo è il massimo che Thompson si sia concesso sulla via dei buoni sentimenti. Come in altri romanzi – L’assassino che è in me, Niente più di un omicidio, Notte selvaggia, Diavoli di Donne, ecc. – in cui la storia è raccontata in prima persona al passato da un protagonista che muore nelle ultime pagine, il punto di vista dell’intera vicenda – come nel film di Billy Wilder Sunset Boulevard – è quello dell’oltretomba.
Con questo romanzo si conclude la sequenza dei tredici capolavori sfornati a raffica in tre anni. La creatività di Thompson successivamente si rarefà, gli eccessi alcolici peggiorano, le condizioni economiche anche. Lo scrittore viene coinvolto da Stanley Kubrick nella produzione di Rapina a mano armata (The Killing), film ispirato al romanzo omonimo di Lionel White, nel 1956 ma avrà la delusione di vedersi accreditato nei titoli solo come “collaboratore ai dialoghi” e non come sceneggiatore (esplicitamente thompsoniano invece il finale e la battuta conclusiva di Clay/Sterling Hayden, il rapinatore sopravvissuto che, perso tutto, rifiuta la fuga e si lascia passivamente arrestare: “Tanto che differenza fa ormai…”). La conflittuale collaborazione con Kubrick continuerà l’anno seguente con Orizzonti di gloria (Paths of Glory), in cui lo scrittore avrà modo di far confluire ancora impegno civile e anticonformismo. Da allora Thompson cercherà senza fortuna di inserirsi nell’industria cinematografica a Hollywood, ma otterrà solo lavori occasionali per singole puntate di mediocri serie televisive western e una, nel 1965, addirittura per il Dr. Kildare, oltre alla stesura di numerosi trattamenti e sceneggiature (alcuni originali, altri tratti da suoi romanzi) per film mai realizzati. La sua inefficace permanenza ai margini del mondo della celluloide è testimoniata dal cameo che gli viene concesso in Marlowe, il poliziotto privato (Farewell, My Lovely) film diretto da Dick Richards nel 1975 ed ennesimo remake del romanzo di Raymond Chandler, in cui l’anziano e ormai malandato Jim interpreterà il ruolo del giudice Grayle, marito vecchio, milionario e cornuto di una Charlotte Rampling al massimo del suo fulgore, mentre fa finta di non vederla amoreggiare sulle ginocchia di Philip Marlowe, un decisamente maturo ma sempre virile Robert Mitchum. Allo scrittore restavano allora solo due anni di vita e questa tardiva e indiretta consacrazione fra le icone del noir deve averlo, se non lusingato, certo divertito.
L’attività letteraria, per quanto meno impetuosa, prosegue nel 1957 con Vita da niente (The Kill-Off), altro romanzo interessante che ripropone l’esperimento già tentato con The Criminal: comporre dodici capitoli in prima persona che riportino le voci di dodici diversi personaggi, i sospettati principali di un delitto, l’omicidio di Luane Devore, donna anziana e malevola che, reclusa nella sua camera da letto, sparge attraverso il telefono la maldicenza e il pettegolezzo vendicandosi di tutti i suoi vicini e conoscenti con accuse di adulterio, incesto, impotenza, promiscuità razziale, bancarotta, ecc. : calunnie che forse non sono altro che la verità. Tutti nell’agonizzante località turistica a Long Island, hanno un buon motivo per farla tacere, a cominciare dal marito Ralph di vent’anni più giovane. Come già in The Criminal non si arriverà mai ad una soluzione finale del crimine: la colpa in Thompson è sempre un concetto scivoloso e arbitrario, se non altro perché ricade collettivamente su tutti e non solo su chi ha premuto il grilletto.
Il resto della produzione più tarda di Thompson serba ancora tre capolavori e vari romanzi mediocri o scarsi: in italiano sono stati tradotti, fra i mediocri, Fatti furbo Bugs! (Wild Town) del 1957, C’è stato un altro (The Transgressors) del 1961, Alla larga dal Texas (Texas by the Tail) del 1965, e la novelization di un episodio di Ironside del 1967, opere più che leggibili ma che non aggiungono niente di significativo a quanto già detto, così come fanno anche gli ultimi stanchi romanzi dello scrittore, tutti ancora inediti in italiano: del 1967, South of Heaven, del 1969 The Undefeated, del 1970 Nothing But a Man, del 1972 Child of Rage, del 1973 King Blood e il ritrovamento postumo del 1987 The Rip-Off. Bisogna invece ancora parlare dei tre ultimi capolavori: Getaway o In fuga (The Getaway) del 1959, Rischiose abitudini o I truffatori (The Grifters) del 1963, e Pop. 1280 o Colpo di spugna (Pop.1280) del 1964, i romanzi che grazie alle spesso infedeli ed edulcorate trasposizioni cinematografiche, hanno decretato la riscoperta e il successo postumo dello scrittore.
Getaway è uno dei pochi romanzi di Thompson scritti non in prima ma in terza persona e probabilmente una delle sue opere dove la visione tragica dell’esistenza e le idee anticapitaliste e marxiste meglio si amalgamano ed emergono più forti ed esplicite. La coppia di coniugi delinquenti Carter “Doc” McCoy e Carol Ainslee McCoy, protagonisti e “vincenti” della storia, non ha assolutamente niente di romantico o affascinante: il simpatico e cordiale assassino (come Thompson, figlio di uno sceriffo sudista) e la ex ragazzina di buona famiglia sono due criminali spietati, cinici e traditori. Ma la loro etica, l’etica del criminale, è la stessa etica del capitalismo: il pesce grosso mangia quello piccolo, vince chi spara per primo. La fuga dopo la rapina, dopo aver tradito e sterminato i complici per tenersi tutto il malloppo, li trascina con sovrana indifferenza di delitto in delitto (poliziotti, passanti, automobilisti, guardie costiere) e li costringe a rifugiarsi in un buco sottoterra come talpe o a infrattarsi per giorni in mezzo alla merda di un letamaio come maiali. Vincono alla fine, riescono a fuggire in Messico, in un semi-mitico rifugio per criminali gestito da El Rey, in cui si vive al meglio finchè si hanno i soldi per mantenersi, ma dove incidenti e suicidi sono molto frequenti e dove il cannibalismo metaforico trova, in una deriva da inferno dantesco, la sua applicazione concreta (“Molto appropriato, eh, Señor ? E una transizione così sottile. Uno deve solo vivere in senso letterale come ha sempre vissuto in senso figurato”). Questa è la vittoria finale di chi ha saputo conquistare l’infernale paradiso dove non c’è “differenza fra punizione e ricompensa se uno trova solo quello che chiede”: due estranei, marito e moglie, si guardano negli occhi progettando di eliminarsi a vicenda perché la grana del sopravvissuto duri più a lungo. Non esiste metafora più efficace dell’etica capitalistica.
Ovviamente un romanzo così estremo non poteva passare indenne nel cinema, la versione di Sam Peckinpah, pur gradevole, travisa il senso dei fatti e smussa ogni spigolo: il fascinoso Steve MacQueen e l’avvenente Ali MacGrow (il bel faccino di Love Story), non potevano prestarsi a ruoli così odiosi: e il ruvido ma in fondo romantico Peckinpah si inventa una storia d’amore contro tutto e contro tutti: coppia criminale sì, ma sono loro i traditi e non i traditori, uccidono solo quando costretti e in risposta alle aggressioni altrui e soprattutto si amano e continuano ad amarsi in ogni circostanza. Non è un caso che la scena della merda del libro, diventi nel film quella meno pestilenziale della spazzatura di una discarica da cui i due eroi riemergono intatti e rigenerati: il finale resta aperto ed è stato eliminato il meritato inferno messicano ed ogni riferimento al cannibalismo.
Altro romanzo in terza persona è The Drifters da cui il film omonimo che Stephen Frears ne trasse nel 1990, avviando la rivalutazione dello scrittore ormai già consegnato all’oblio. Anche in questo caso la versione cinematografica non riesce, quanto quella letteraria, ad andare fino in fondo al morboso rapporto edipico fra il giovane truffatore Roy Dillon, sua madre, Lilly, che sembra una fidanzata e la fidanzata, Moira, che ha l’età e l’aspetto attraente della madre. Le due truffatrici si disputeranno la preda, il terzo truffatore, in un gioco mortale, usando anche una giovane e innocente infermiera marchiata per sempre, in tutti i sensi, dall’essere sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti. Il finale vedrà una sola truffa vincente: quella della madre divoratrice che eliminata la rivale dovrà assumerne l’identità per salvarsi, passando anche sul cadavere del figlio; ma se Thompson chiude glaciale: “Facendosi forza, lasciò che lo sguardo si posasse su suo figlio. Di colpo, un gran singhiozzo le squassò il corpo e scoppiò in un pianto irrefrenabile. Poi le passò. Rise, diede alla cosa sul pavimento un’occhiata quasi beffarda. ‘Bè, ragazzino, è soltanto una gola, no ?’. Poi uscì dalla stanza e dall’albergo, fuori nella Città degli Angeli”, Frears non riesce a spingersi così oltre e fa in modo che Lilly tagli la gola a Roy non intenzionalmente ma solo per un tragico incidente.
Infine Pop. 1280, che alcuni considerano il capolavoro assoluto di Jim Thompson. Incontrastata protagonista in prima persona è l’ennesima figura di sceriffo, analoga a quella del Lou Ford di The Killer Inside Me, fatiscente quanto la società gretta e ipocrita della quale dovrebbe essere il guardiano e il tutore. Nick Corey è apparentemente un buontempone innocuo e neanche troppo sveglio, lo zimbello dei colleghi, che pensa solo a mangiare e a dormire, a scoparsi in contemporanea la vecchia fiamma e l’amica di famiglia, vessato dai malumori della moglie bisbetica e dal ficcanasare del fratello semi-idiota di lei, e cerca con ogni mezzo di farsi rieleggere sceriffo ungendo chi di dovere per continuare a lavorare il meno possibile (“Ho veramente intenzione di dare un giro di vite. D’ora in avanti, chiunque infrange una legge dovrà vedersela con me. A condizione, naturalmente, che sia di colore o un povero disgraziato bianco che non può pagare le tasse municipali”). Ma la macchietta da commedia si rivela in realtà uno spietato assassino e un astuto manipolatore capace di ordire piani machiavellici per proteggere se stesso e danneggiare i suoi avversari. Corey giunge addirittura nel suo delirio di onnipotenza a ritenersi una figura messianica e apocalittica, vera incarnazione del “Giudizio di Dio”: “io sono il Salvatore in persona, Cristo sulla croce sceso proprio qui a Potts County… in modo che la gente sappia che non ha niente da temere, e se si preoccupano dell’inferno, non c’è bisogno di scavare per trovarlo“.
Il perfetto equilibrio di umorismo nero, satira sociale e nihilismo filosofico rendono questo romanzo – che molti apparentano per stile e tematiche a Flannery O’Connor – forse il più forte, destabilizzante e sulfureo di tutta l’opera di Thompson. Bertrand Tavernier ne ricavò un pregevole film nel 1981, spostando l’azione dal Texas del primo Novecento all’Africa coloniale francese dei tardi anni ’30 e affidando il ruolo di protagonista al grande Philippe Noiret; anche il titolo Colpo di spugna, con cui il libro è circolato in Italia, è ripreso dal film, quello originale Pop. 1280, cioè 1280 anime di popolazione, allude invece alla marginalità provinciale di un microcosmo senza storia che tuttavia riflette in piccolo le brutture del macrocosmo (“E a un tratto il vuoto si riempì di suono e di cose tristi e terribili a cui la gente era stata portata dal vuoto. C’erano le ragazzine indifese che piangevano quando i loro papà gli strisciavano nel letto. C’erano gli uomini che picchiavano le loro mogli, le donne che gridavano chiedendo pietà. C’erano i bambini che bagnavano i letti per la paura e il nervosismo, e le madri che per punizione davano loro il peperoncino. C’erano le facce sfatte, sbiancate dai vermi e chiazzate dallo scorbuto. C’era la minaccia dell’inedia, la sazietà mai raggiunta, i debiti sempre superiori ai crediti. C’erano i pensieri: come-faremo-a-mangiare, come-faremo-a-dormire, come-ci-copriremo-il-povero-culo-nudo. Il genere di pensieri che, quando non hai altro che quelli, bè, staresti meglio se fossi morto. Perché sono i pensieri del vuoto, di quando sei già morto dentro, e non farai altro che diffondere il tanfo e il terrore, i pianti e i lamenti, la tortura, la fame, la vergogna del tuo essere come morto. Del tuo vuoto…. Rabbrividii pensando quanto meraviglioso fosse il nostro Creatore ad aver creato cose così assolutamente terribili nel mondo, tanto che qualcosa come l’omicidio non sembrasse niente di male a confronto”).
Quasi in una prospettiva gnostica di irredimibile peccato e definitiva perdizione, Thompson ha denudato fino all’ultimo l’orrore del mondo e l’assurdità della vita – nei termini della sua teologia secolarizzata: l’ubiquità dell’inferno. Unica possibile risposta, non tanto antidoto quanto viatico, è la risata isterica, occasionalmente catartica, più spesso rassegnata o segno convulso dello sprofondamento nella follia, che accompagna i suoi personaggi nell’abisso. Con la stessa risata, ridotta a un flebile, amaro sorriso il Thompson finale entrava e usciva dagli ospedali, ormai impedito nella parola e nell’uso del braccio sinistro. Rifiutò le ultime cure e il cibo e si lasciò morire. Nel 1977 nessuno dei suoi ventinove romanzi era ormai più ristampato ma Jim invitò la moglie a tenersi stretti i diritti sui suoi lavori perché, tempo dieci anni, sarebbe stato famoso: non sbagliava. La figlia Sharon ha testimoniato che le sue ultime parole sono state “I’m Sorry”.
“Tutti noi che abbiamo cominciato la partita con una stecca storta, che volevamo così tanto e abbiamo avuto così poco, che avevamo intenzioni tanto buone e abbiamo fatto tanto male. …Tutti noi, gente. Tutti noi. Tutti noi.” (The Killer Inside Me).
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE CONSULTATA
1942, Inferno sulla terra, Fanucci, 2006
1949, Nulla più di un omicidio, Interno Giallo Mondadori 1994
1952, L’assassino che è in me, Fanucci 2003
1952, Tornerò per farti fuori, Giallo Mondadori 1138, 1970
1953, Il criminale, Omnibus Mondadori “Vite in gioco” 1993
1953, Una libertà molto condizionata, Giallo Mondadori 1083, 1969
1953, Bad Boy, Einaudi 2001
1953, Notte selvaggia, Fanucci 2004
1954, L’altra donna, Classici del Giallo Mondadori 779, 1996
1954, Diavoli di donne, Fanucci 2007
1954, Un uomo da niente, Einaudi 2013
1955, Prima dell’alba, Omnibus Mondadori “Oltre il buio”, 1992
1957, Vita da niente, Omnibus Mondadori “Vita da niente”, 1990
1957, Fatti furbo Bugs! I Rapidi Mondadori 28, 1968
1959, Getaway, Giallo Mondadori 1245, 1972
1961, C’è stato un altro, Suspense Longanesi 38, 1964
1963, I truffatori, Fanucci 2004
1964, Colpo di spugna, Fanucci 2004
1965, Alla larga dal Texas, Giallo Mondadori 1073, 1969
1967, Ironside, Il Vero Giallo Longanesi 5, 1969
1998, Una spaventosa faccenda e altri racconti, Fanucci 2006
Robert Polito, Jim Thompson. Una biografia selvaggia, Alet 2009
Michael J. McCauley, Jim Thompson: Sleep With the Devil, The Mysterious Press, New York 1991
James Sallis, Vite difficili. L’anima nera dell’America: Jim Thompson, David Goodies, Chester Himes, Giano Editore 2004
Geoffrey O’Brien, Hardboiled America: Lurid Paperbacks and the Masters of Noir, Da Capo Press, New York 1997
David Cochran, America Noir: Underground Writers and Filmmakers of the Postwar Era, Smithsonian Institution New York 2000