di Sandro Moiso
Harley Flanagan, La mia vita hard-core. Punk, skin e altre storie di New York City, Goodfellas 2017, pp. 384, € 22,00
Nel 1986 fu pubblicato, dalla Profile Records, un album destinato a diventare fondamentale per la scena hardcore di New York e, allo stesso tempo, uno dei primi esperimenti di fusione tra hardcore e trash metal che avrebbe poi dato vita a ciò che si sarebbe chiamato in seguito punk metal. Si trattava di The Age of Quarrel dei Cro-Mags.
Una musica violenta e radicale, nei tempi e nell’esecuzione, che forzatamente derivava da un ambiente altrettanto violento e nichilista.
L’autobiografia del deposto e più che discusso leader del gruppo, Harley Flanagan, è appena stata pubblicata in Italia da Goodfellas, come quarto episodio della benemerita collana Spittle.
La ricostruzione della vita travagliata e violenta del protagonista, che durante l’infanzia ebbe modo di frequentare i circoli intellettuali legati alla Beat generation e alla Factory di Andy Warhol, procede diritta e veloce come una pallottola ad alto potenziale perforante e colpisce il lettore come un pugno in faccia tirato senza preavviso.
Nato nel 1967, il protagonista sembra essere la negazione incarnata della mitica summer of love di quello stesso anno, mentre l’espediente letterario del pentimento attraverso l’esperienza rinvia indirettamente alla letteratura picaresca spagnola del cinquecento e del seicento, in cui la finzione della ritrovata saggezza finale giustificava le violenze e i ladrocini di un’intera vita trascorsa nella pratica costante, o quasi, dell’illegalità.
Solo che qui, invece che davanti alla riscoperta del tradizionalismo cattolico successivo alla Controriforma, la salvezza è costituita, almeno parzialmente, dal ritrovato equilibrio attraverso le arti marziali. Anche se, in verità, il vero miracolo, all’interno dell’intera vicenda, è costituito dal fatto che dopo tante vicende stralunate, selvagge e tutt’altro che politically correct il protagonista, autentico last man standing, sia ancora lì in piedi a raccontarcele.
Qui di seguito si danno due gustosi e sintomatici assaggi della edificante narrazione, estremamente adatta ad essere letta in occasione dell’Epifania.
Quando vivevo a Staten Island me ne stavo nella mia stanza, strafatto, a sniffare colla e ascoltare Venom, Skrewdrive, Cockney Rejects, e roba hardcore a tutto volume. Una volta, ero fatto di colla e andai al negozio dall’altra parte della strada dove mi rifornivo di solito. Entrai e presi l’intera scatola di tubetti di colla da dietro il bancone, Ricordo di aver pensato, “Non faranno caso a me”. Nel negozio non c’era nessun altro a parte me , il paki alla cassa e sua moglie.
Andai dietro il bancone, aprii la vetrina e presi tutta la fottuta scatola. Il paki iniziò a urlare qualcosa tipo “Hey che stai facendo?!”. Mi girai e risposi “Che cazzo vorresti fare?” e, tenuto qualche tubetto per me, gli lanciai tutta la confezione in faccia. I tubetti di colla volarono dappertutto e la scatola lo colpì in viso. Il tizio iniziò ad urlare e la moglie andò fuori di testa. Gli dissi, “Chiudi quella cazzo di bocca o do fuoco al tuo cazzo di negozio!”, e me ne andai.
Me ne tornai di sopra e mi misi a sniffare colla seduto sulla scala antincendio con lo stereo che sparava musica altissima. Per tutto il tempo tenni d’occhio il paki, che potevo vedere dalla scala antincendio attraverso la vetrina del suo negozio – gli mostravo il dito medio e mi facevo la mia colla.
Ero un pazzo attaccabrighe, e non mi importava di niente. Insomma c’era una stazione della polizia a pochi isolati, ma non me ne fregava proprio un cazzo.[…] Dannazione, la colla ti fotte il cervello sul serio e ti fa fare cose stupide e cattive.
In quel periodo composi alcuni dei miei riff preferiti.1
Il titolo The Age of Quarrel viene dalla Bhagavada Gita. L’epoca in cui viviamo è definita “l’era della discordia e dell’ipocrisia”. E’ l’ultima delle quattro ere, prima della distruzione degli universi.
Un giorno, ero diretto in studio a registrare; venivo da un matinee al CBGB dove c’era stata una megarissa, in cui il mio amico Bags aveva staccato a morsi il pollice a un tizio. Mi guardò con la faccia tutta insanguinata, e urlò, “Harley! Tirami fuori di qui!”. Io pensai, “Oh bene, adesso tutti sanno come mi chiamo, sono immischiato in questo casino”. Quindi acchiappai lo stronzo e ci mettemmo a correre. Continuava a togliersi fottuti pezzetti di pelle dai denti. Aveva letteralmente staccato via il pollice del tipo, e lo aveva sputato nel canale di scolo davanti al CBGB, così era andato perduto. Non ci fu proprio modo di ricucirlo.
Correndo, arrivammo all’appartamento di Robbie CryptCrash e Michelle, che allora era sua moglie, e dissi a Robbie, “Non perdere di vista questo stronzo! Non farlo uscire, ci sono sbirri dappertutto”. Il figlio di puttana era riconoscibilissimo – aveva uno scorpione tatuato su per il collo, fino all’orecchio, un teschio composta da donne nude sulla schiena, la scritta “Wordship Shit” al contrario sul braccio e “I Eat Pussy” sul petto. Quel tipo era un disastro. Mi pare che fosse uscito di prigione da poco. Era ubriaco, e l’altro aveva cercato di cavargli gli occhi, ecco perché lui gli aveva morso il pollice.
Quando si fa a botte, può capitare di tutto; io stesso una volta per poco non staccai il dito a uno. Ma, per sua fortuna, mi manca un dente a un lato della bocca, quindi il suo dito scivolò nello spazio vuoto e rosicchiai solo la carne attorno all’osso. Ma tornando al mio amico, continuavo a dire, “Non fate andare questo stronzo fuori casa”. Era troppo aggressivo e dopo quello che era successo, sapevo che gli sbirri lo stavano cercando per tutto il quartiere. Quindi lo lasciai lì e me ne andai in studio a finire le registrazioni.
Era solo un altro giorno della mia cazzo di vita. Ovviamente, non furono in grado di tenere al chiuso quell’esaurito, perché tutti avevano paura di lui, a parte me e alcuni miei amici. Tornò in strada, lo beccarono, e andò al fresco per un bel po’di tempo.2