di Paolo Lago
Nicola Pera, Benzina, MdS Editore, Pisa, 2017, pp. 155, € 12,00
Il recente romanzo dello scrittore livornese Nicola Pera, Benzina, uscito nella collana “Cattive strade” di MdS Editore, è una storia noir e pulp che si srotola in una dimensione on the road. Siamo presumibilmente nell’estate del 1981 e la vicenda è narrata dal protagonista io narrante, del quale non ci viene mai detto il nome. La struttura del viaggio domina la storia: il protagonista e una squinternata dark lady dal soprannome di Louise percorrono su una 128 rossa tutta l’Italia da Nord a Sud, da Trieste alla Puglia. La “benzina” del titolo ci introduce fin da subito in un mondo di strade e di periferie, di stazioni di servizio e distributori, di odori acri e sporcizia, di notti passate a dormire in auto e di vagabondaggi senza fissa dimora. La benzina segna inoltre le tappe del viaggio dei protagonisti, perennemente destinati a rimanerne senza e a cercare in tutti i modi di procurarsela, fino all’apparizione, alla fine della storia, del cartellone pubblicitario, “metti un tigre nel motore”, slogan del carosello e della pubblicità degli anni Sessanta e Settanta per reclamizzare la benzina Esso (satireggiato da Herbert Pagani e Franco Godi nella canzone Metti un tigre nel doppio brodo, inserita in Vip, mio fratello superuomo di Bruno Bozzetto).
Lo sfondo sul quale si svolge la fuga dei due protagonisti tra sparatorie, sesso e violenza, è quello dei primi anni Ottanta, periodo che inaugura il cosiddetto “riflusso”, la progressiva perdita delle ideologie e l’interesse sempre più esacerbato per la ricchezza facile e per l’apparire, l’età dell’esplosione dello spettacolo televisivo e della nascita delle televisioni private, della pubblicità diffusa, di Berlusconi e della “Milano da bere”, dell’eroina che mieterà innumerevoli vittime. Uno scenario che Federico Fellini rivestì di tratti quasi apocalittici ed infernali nel geniale affresco realizzato con Ginger e Fred (1986): la pubblicità e la televisione che si insinuano dovunque, fin negli interstizi della società la quale, se da una parte è attraversata dalla spettacolarizzazione diffusa che la percorre come una scossa elettrica, da un’altra presenta ancora plaghe irrisolte e inquietanti di povertà nelle lande periferiche delle grandi città, abbandonate a se stesse. Nel romanzo di Nicola Pera la violenza che muove quasi ogni singola azione dei due protagonisti avviene sullo scenario di una società quasi dimentica di se stessa, intrappolata nello sviluppo economico e nello spettacolo più ostentato. Durante il viaggio in auto, dalla radio, a più riprese, in mezzo alle canzoni di moda in quel periodo, si insinua la cronaca del tragico avvenimento di Vermicino che tenne con il fiato sospeso l’intero paese: i vani tentativi di salvataggio e poi la morte di Alfredino Rampi, caduto in un pozzo. Siamo perciò nel giugno del 1981 e, per la prima volta, veniva spettacolarizzata e seguita in diretta una tragedia di fronte a un pubblico catturato dalla tragicità della vicenda come da uno spettacolo di varietà. La violenza diffusa nel romanzo, il sangue, le sparatorie, il disinteresse ostentato per la vita umana e la leggerezza nell’uccidere e nel commettere, da ogni parte, atti atroci, non è altro che lo specchio di una società che si sta tuffando inconsapevolmente nella spettacolarità diffusa, nella solitudine e nell’individualismo.
Intervallata da numerosi flashback, da Trieste prende avvio la fuga in auto dei due personaggi, attraverso un nord cupo e nebbioso per ritrovarsi in una assolata Puglia da incubo, quasi un nostrano far west in cui quelli che dovrebbero essere i tutori dell’ordine si presentano invece come maniaci e criminali, come l’agente Carmine, maniaco violentatore che sembra uscito da un film americano in cui lo sceriffo di turno, nella provincia più degradata, spadroneggia compiendo gratuitamente ogni atto di violenza. I personaggi sembrano perciò riflettere i lati peggiori di quella società anni Ottanta, inconsapevoli e pronti a compiere ogni atto violento senza riflettere, come se facessero la cosa più naturale del mondo. E loro due, sbandati ed emarginati, molto probabilmente di quella stessa società sono le principali vittime. Prima di lasciare il nord e le sue nebbie, l’auto avanza immersa nella caligine, alla cieca, come la stessa società sembra gradualmente venire catturata dall’inconsapevolezza e dallo spettacolo diffuso: Quel ricordo mi aveva aiutato a rimanere sveglio perché in realtà ero sfinito e quel mondo ovattato di bianco mi faceva bruciare gli occhi. Li strizzavo continuamente per cercare di vedere qualcosa di più. Avrei voluto riposarmi per qualche ora, ma Louise non diceva una parola, si limitava ogni tanto a fumare una sigaretta guardando fuori e aveva acceso la radio. Sembrava non essere successo nulla di particolare. L’estate avrebbe tardato ad arrivare, soprattutto al nord, stavano cercando dappertutto il mostro di Firenze, c’era stato un regolamento di conti della malavita di Trieste che si era concluso con un efferato delitto, però lontano dalla città dei signori, poi avevano arrestato un onorevole per dei fatti che non capivo e un ragazzino era caduto in un pozzo. E adesso un po’ di musica (p. 30).
Il viaggio narrato in Benzina sembra assumere le modalità tipiche della narrativa neopicaresca (la ripresa moderna e contemporanea del genere picaresco): la casualità che muove gli spostamenti e le azioni dei personaggi, la sordidezza delle avventure, gli incontri più svariati. Come scrive Fabrizio Bartelloni nella sua Nota iniziale, i due protagonisti “sembrano capitati dentro la loro vita per caso, come ospiti inattesi e a tratti sgraditi”. Il caso domina anche lo spostamento dei personaggi, il quale a prima vista potrebbe assumere l’aspetto di una fuga, attuata per scappare da Trieste e far perdere le proprie tracce. Si tratta invece di uno spostamento nomadico che non ha una vera e propria meta, un’erranza casuale all’interno di una geografia sbiadita e spettrale. I personaggi, a bordo della loro 128, si muovono sospinti dal caso, seminando violenza, un po’ come il killer psicopatico di Non è un paese per vecchi (No Country for Old Men, 2007) dei fratelli Coen: se quest’ultimo, vera e propria macchina di violenza, si muove nelle estreme lande americane al confine col Messico, in una terra di nessuno abbandonata a se stessa, l’io narrante e Louise percorrono pianure nebbiose e assolate di un’Italia spettacolarizzata e invasa dalla pubblicità dilagante. Nonostante la violenze perpetrate, nessuno sembra cercare i protagonisti, la polizia non li insegue e dei loro crimini sembra essere persa ogni traccia. Il loro incedere sembra perciò srotolarsi su una mappa mentale, un viaggio picaresco in una geografia onirica e immaginifica che si dimostra crudamente reale ogni volta che la violenza emerge, lancinante e corporea (fino a insinuarsi efficacemente nella ricezione mentale del lettore), dalle plaghe di un paese sprofondato in un dimentico benessere. L’orrore e la violenza sono infatti cadenzate dalle note e dalle parole delle canzoni più in voga in quei primi anni ottanta, da Donatella di Donatella Rettore a Gioca jouer di Claudio Cecchetto, passando per Maledetta primavera.
Per concludere, è doveroso ricordare che di Benzina esiste anche un booktrailer realizzato da Simone Giusti con Alessandra Bareschino e Luca Micheletti nel ruolo dei protagonisti. Il breve video riesce a catapultarci immediatamente nell’atmosfera pulp del romanzo: vediamo i due personaggi che, in un desolato scenario industriale, salgono sulla 128 per poi partire sgommando verso nuove avventure e nuova violenza. L’io narrante e Louise si mettono in movimento in una erranza dominata dal caso e dalla violenza e così, tali e quali, li ritroviamo nell’efficace e avvincente narrazione allestita da Nicola Pera.