di Sandro Moiso

Michael Löwy – Robert Sayre, RIVOLTA E MALINCONIA. Il Romanticismo contro la modernità, Neri Pozza Editore, Vicenza 2017, pp. 350, € 25,00

“E’ compagno militante comunista e rivoluzionario chi ha saputo dimenticare, rinnegare, strapparsi dalla mente e dal cuore la classificazione in cui lo iscrisse l’anagrafe di questa società in putrefazione, e vede e confonde se stesso in tutto l’arco millenario che lega l’ancestrale uomo tribale lottatore con le belve al membro della comunità futura, fraterna nella armonia gioiosa dell’uomo sociale” (Amadeo Bordiga)

Tra i tanti autori citati ed utilizzati da Löwy e Sayre nel testo, recentemente pubblicato da Neri Pozza, volto a ricostruire, in chiave dinamica ancor più che storiografica, le vicende e le contraddizioni del pensiero e della cultura romantica dal suo apparire fino all’alba del XXI secolo, Amadeo Bordiga non appare. Eppure la frase appena citata, tratta da uno scritto del 1965, potrebbe ben riassumere quella che si può a ragione ritenere la tesi centrale espressa nel loro lavoro.

Sintetizzandola all’estremo si potrebbe infatti così riassumere: i rivoluzionari moderni, compresi quelli di tendenza marxista, a partire dalla metà dell’Ottocento e fino a tutto il XX secolo si sono ispirati al Romanticismo più radicale nella critica della modernità capitalistica e nel fare ciò hanno riscoperto la comunità umana che caratterizzava la specie nell’antichità. Un’affermazione forte che coinvolge personaggi del calibro di Karl Marx. Friedrich Engels, Rosa Luxemburg, Ernst Bloch, Raoul Vaneigem. Solo per citarne alcuni.

Michael Löwy , sociologo e filosofo francese di ispirazione marxista , e Robert Sayre (1933 – 2014), sociologo e professore emerito di Inglese presso l’Università dello Iowa, affrontano nel testo, pubblicato per la prima volta in Francia nel 1992, le contraddizioni e la vitalità del Romanticismo dando soprattutto risalto a quelle componenti filosofiche, artistiche e politiche che ne sottolinearono fortemente la componete di rivolta contro la modernità.

Rivolta contro la modernità che se da un lato fini col caratterizzarne anche gli aspetti più retrogradi e di maggior rimpianto nei confronti di società feudali ferreamente divise in caste e caratterizzate da un peso insopportabile della religione cristiana e delle sue gerarchie ecclesiastiche, dall’altro servì a contenere e ridimensionare una concezione illuministica del progresso tesa ad esaltare il razionalismo borghese, soprattutto nei suoi aspetti economici, e l’individualismo egoistico che ne derivava.

Non è certo un caso dunque che, all’interno del libro, il capitolo dedicato all’excursus su Marxismo e Romanticismo sia centrale e che, allo stesso tempo, nel capitolo intitolato “Il fuoco arde ancora: il Romanticismo dopo il 1900” uno spazio non secondario sia dedicato al Maggio ’68.
D’altra parte nel suo lungo percorso di studioso Michael Löwy, discendente di ebrei viennesi e nato in Brasile, si stabilì definitivamente a Parigi dopo un periodo trascorso a Tel Aviv dove le sue idee politiche gli causarono non poche difficoltà con il mondo accademico.

Tra le sue opere vanno infatti segnalati diversi testi dedicati all’indagine sul giovane Marx e su altri rivoluzionari e movimenti di opposizione al modo di produzione capitalistico, 1 mentre Robert Sayre si è distinto durante la sua vita sia per l’azione a favore dell’inclusione nella letteratura americana degli scritti dei Nativi Americani e della relazione esistente tra gli scrittori del canone letterario nord-americano e la cultura dei Nativi, sia per la sua azione pubblica contro la guerra in Vietnam nel corso degli anni Sessanta e Settanta e successivamente per quella ecologista e in difesa dell’ambiente.

Con percorsi intellettuali di questo tipo, era dunque impossibile che i due autori non cogliessero nel discorso romantico sulla Natura e nel rimpianto della comunità perduta2 un fattore straordinario di rottura con il modo di pensare e di interpretare il mondo del moderno capitalismo, della sua cultura e dei suoi rappresentanti intellettuali.
Discorso che vale la pena di riscoprire ancor di più oggi, nel momento in cui ogni forma di resistenza alla distruttività dell’ordine economico e sociale basato sulla produzione di merci e sull’estrazione di plusvalore viene definito antiquato, superato, ignorante e passatista.3

“Apparentemente Marx non aveva nulla in comune con il romanticismo […] Nel Manifesto del Partito comunista (1848) rifiuta come «reazionario» qualunque sogno di tornare all’artigianato o ad altri modi di produzione precapitalistici e celebra il ruolo storicamente progressista del capitalismo industriale […] Elogia il capitalismo anche perché ha lacerato i veli che nascondevano lo sfruttamento nelle società precapitalistiche, ma è un elogio che comporta una punta di ironia […] Marx non ignora il rovescio di questa medaglia «civilizzatrice»; con un procedimento tipicamente dialettico considera il capitalismo un sistema che «trasforma ogni progresso economico in una pubblica calamità». E’ appunto nell’analisi delle calamità sociali causate dalla civiltà capitalistica – nonché nell’interesse per le comunità precapitalistiche – che Marx si ricollega, almeno in una certa misura, alla tradizione romantica”.4

A parte l’apprezzamento per autori come Balzac, Dickens, Charlotte Brontë ed Elizabeth Gaskell, di cui Marx giungerà a dire nel 1854:

“La splendida confraternita degli attuali romanzieri inglesi, le cui pagine vivide ed eloquenti hanno consegnato al mondo più verità politiche e sociali di quante non ne abbiano pronunciate i politici i professione, i pubblicisti e i moralisti messi insieme”.5

I due autori furono particolarmente attratti dai primi studi etnologici, sulle comunità antiche o primitive, fatti da autori come Morgan e Maurer.

In particolare Engels trasse dagli studi di Maurer sulla comunità rurale germanica (Mark) spunti per il suo scritto sulla Marca che avrebbe dovuto funzionare come proposta per il programma socialista per le campagne. Andando oltre Maurer che gli sembrava ancora troppo influenzato dall’evoluzionismo di stampo illuministico.

“In una lettera a Marx del 1882 lamenta che in Maurer persista il «pregiudizio illuministico che dopo l’oscuro Medioevo debba ver avuto luogo un costante progresso al meglio.Ciò gli impedisce di vedere il carattere antagonistico del progresso reale, ma anche le singole ripercussioni». Questo passo ci sembra una sintesi alquanto precisa della posizione fondamentale di Engels e Marx su tale problematica: 1. rifiuto del «progressismo» lineare e ingenuo, quando non apologetico, che considera la società borghese universalmente superiore alle forme sociali precedenti; 2. insistenza sul carattere contraddittorio del progresso che il capitalismo ha indiscutibilmente comportato; 3. giudizio critico sulla civiltà industriale-capitalistica in quanto rappresenta per certi versi un passo indietro, dal punto di vista umano, rispetto alle comunità del passato […] Engels insiste sul regresso che la «civiltà» rappresenta, in una certa misura, rispetto alla comunità primitiva”.6

Marx in particolare non avrebbe smesso, fino alla fine dei suoi giorni, di occuparsi sia delle società indigene pre-coloniali (soprattutto in India) sia della comunità contadina in Russia (obščina), mettendole sempre a confronto con i disastri causati dal colonialismo e dall’avanzare del modo di produzione capitalistico in quelle aree e augurandosi, addirittura, nel caso dell’obščina che questa potesse sopravvivere a seguito di una rivoluzione in Occidente.

Sarà soltanto

“nella lotta contro il populismo russo che nascerà, verso la fine del XIX secolo, in particolare con gli scritti di Georgij Valentinovič Plechanov, un marxismo radicalmente antiromantico, modernizzatore, evoluzionista e pieno di incondizionata ammirazione per il progresso capitalistico-industriale”.7

Che vedrà poi il suo pieno sviluppo nelle socialdemocrazie della Seconda Internazionale e dello stalinismo.

Anche in Rosa Luxemburg è possibile trova la stessa passione per le comunità primitive, che non esita a definire società comuniste primitive, e per la loro contrapposizione alla società mercantile capitalistica.

“Da una parte appare chiaro che Rosa Luxemburg vede nell’esistenza di queste antiche società comuniste un modo per mettere in crisi e addirittura distruggere «la vecchia concezione del carattere eterno della proprietà privata e della sua esistenza dall’inizio del mondo». E’ per incapacità di concepire la proprietà comune e per incapacità di comprendere tutto ciò che non assomiglia alla civiltà capitalistica che gli economisti borghesi hanno rifiutato con ostinazione di riconoscere il fatto storico della comunità. D’altra parte il comunismo primitivo è ai suoi occhi un punto di riferimento storico prezioso per criticare il capitalismo, svelare il suo carattere irrazionale, reificato, anarchico ed evidenziare la contrapposizione radicale fra valore d’uso e valore di scambio. Si tratta quindi di trovare e «salvare», del passato primitivo, tutto ciò che può, almeno fino ad un certo punto, prefigurare il socialismo moderno: un atteggiamento tipico della visione romantica (rivoluzionaria).”8

Nella sua interpretazione, ispirata dagli scritti di Lewis Morgan che già avevano affascinato Marx ed Engels,

“la civiltà attuale «con la sua proprietà privata,la sua dominazione di classe, la sua dominazione maschile, il suo Stato e il suo matrimonio obbligatorio» appare come una semplice parentesi, una transizione fra la società comunista primitiva e la società comunista del futuro […] In questa prospettiva la colonizzazione europea dei popoli del terzo Mondo le sembra per essenza un’impresa socialmente distruttiva e disumana […] «Per tutti i popoli primitivi dei paesi coloniali il passaggio dallo stato comunista primitivo al capitalismo moderno è intervenuto come una catastrofe improvvisa, come una sventura indicibile piena delle più spaventose sofferenze». A suo avviso, la lotta indigena nelle colonie contro la madrepatria imperiale è una resistenza tenace e degna di ammirazione, di vecchie tradizioni comuniste contro la ricerca del profitto e l’«europeizzazione» capitalistica”.9

Riflessione che sarà poi sintetizzata da Amadeo Bordiga quando affermerà che per tutto quanto riguarda la questione coloniale i rivoluzionari devono sempre schierarsi dalla parte della «zagaglia barbara».

L’ultimo autore, tra i tanti trattati nel testo di Löwy e Sayre, a svolgere una funzione importante per comprendere le sopravvivenze del Romanticismo all’interno delle teorie rivoluzionarie moderne è Ernst Bloch.

“L’opera di Bloch illustra in modo significativo un paradosso che sta al cuore di tutto il romanticismo rivoluzionario: come può un pensiero che si vuole totalmente orientato verso il futuro utopico attingere dal passato il nocciolo della sua ispirazione? […] Bloch non guarda in via prioritaria ai modi di vita e alle condizioni sociali premoderni; i punti di riferimento del suo progetto utopistico sono soprattutto i sogni ad occhi aperti, le aspirazioni anticipatrici e le promesse non realizzate trasmesse dalle culture del passato”.10

E nel fare ciò si spinge molto avanti nella critica dell’immaginario moderno e dell’uso che ne è stato fatto dalla sinistra degenerata e dalla destra fascista e nazista. La critica di Bloch al «marxismo volgare» del KPD (Kommunistische Partei Deutschlands) e, implicitamente ai sovietici, parte dal presupposto che :

“«Il progresso del socialismo dall’utopia alla scienza è andato troppo lontano» abbandonando al nemico il mondo dell’immaginazione. Troppo astratti, di un razionalismo troppo angusto e volgarmente libero pensatore, fautori di un materialismo non abbastanza distante dal miserabile «materialismo» degli imprenditori capitalisti, la sinistra tedesca e il KPD in particolare non sono stati in grado di sconfiggere il fascismo nella lotta per la conquista politica e culturale dei ceti «non contemporanei». Il loro economicismo ha permesso al romanticismo retrogrado di far accettare da queste classi l’«assurdità di non vedere nel liberalismo e nel marxismo se non «le due facce della stessa medaglia» […] Così il millenarismo, dimensione autentica di numerose utopie rivoluzionarie – poiché «il desiderio di felicità non si è mai ritratto,in un futuro vuoto e totalmente nuovo», ma implica spesso il sogno di un paradiso perduto (costruito con i ricordi della comunità primitiva) ritrovato nel futuro millenario – non può essere confuso con la miserabile caricatura del «Terzo Reich» hitleriano”.11

Una visione, quella di Bloch, che si oppone non solo all’idea di ordine dell’estrema destra, ma anche

“al produttivismo burocratico dissennato, al culto dell’industria pesante e al materialismo volgare che caratterizzano tanto la pratica quanto l’ideologia del regime sovietico”.12

Visione produttivistica e modernista che sarà ripresa invece, come ben dimostra l’ultima parte del libro, da molti intellettuali di sinistra che scoprono

“molto dopo gli ideologi americani della Guerra Fredda, che il paradiso esiste già, hic et nunc, e cominciano a cantare le lodi della modernità in tutti i suoi aspetti, il liberalismo, comprese le sue forme più «avanzate» (il tatcherismo-reaganismo), la logica del diritto e della politica dei paesi occidentali, l’industrialismo, il postindustrialismo (il regno dell’alta tecnologia), la società dei consumi ecc.”13

Motivo per cui questo testo, per quanto concepito e scritto ormai da un quarto di secolo, si rivela ancora estremamente utile per la comprensione e la critica radicale delle contraddizioni del presente.


  1. Solo per citarne alcuni, con relative traduzioni in lingua italiana cfr:
    La Pensée de «Che» Guevara, 1970 (Feltrinelli 1969)
    La théorie de la révolution chez le jeune Marx, 1970 (Massari 2001)
    Dialectique et révolution: essais de sociologie et d’histoire du marxisme, 1974
    Pour une sociologie des intellectuels révolutionnaires: l’évolution politique de György Lukacs, 1909-1929, 1976 (Salamandra 1978)
    Marxisme et romantisme révolutionnaire, 1979
    Rédemption et utopie: le judaïsme libertaire en Europe centrale: une étude d’affinité élective, 1986 ( Bollati Boringhieri 1992)
    L’insurrection des “Misérables”: révolution et romantisme en juin 1832, (con Robert Sayre), 1992
    Patries ou Planète? Nationalismes et internationalismes de Marx à nos jours, Lausanne, 1997
    L’Étoile du matin: surréalisme et marxisme, 2000 ( Massari 2001)
    Walter Benjamin: avertissement d’incendie. Une lecture des thèses sur le concept d’histoire, 2001 ( Bollati Boringhieri 2004)
    Franz Kafka, rêveur insoumis, 2004 (Eleuthera 2007)  

  2. Si pensi, anche se non viene esplicitamente citato nel testo, il discorso leopardiano, contenuto nell’ultima poesia dell’autore di Recanati La ginestra o il fiore del deserto, sulla necessità per gli uomini del secolo superbo e sciocco (l’Ottocento) di tornare ad unirsi in social catena come erano stati costretti a fare i loro antenati preistorici  

  3. Basti pensare ai termini in cui, ancora troppo spesso, viene trattata dai media la resistenza No Tav oppure di chi difende la coltura “tradizionale” degli ulivi in Puglia  

  4. pp.141-143  

  5. pp. 144-145  

  6. pp. 147-148  

  7. pag. 148  

  8. pag. 157  

  9. pp. 159-161  

  10. pp.293-294  

  11. pp. 305-306  

  12. pag. 317  

  13. pag. 325