[a cura di Sana Darghmouni con revisione di Pina Piccolo] Ghayat Almadhoun è un poeta di origine palestinese. E’ nato a Damasco nel 1979 (nel campo profughi di Yarmuk), ma dal 2008 vive a Stoccolma. Ha pubblicato quattro raccolte poetiche tra cui “Non posso essere presente” da cui sono state tratte e tradotte le seguenti poesie.
Donne
Voi, donne, che avete pigiato l’uva dall’inizio della storia
Voi, donne, che siete state incatenate dalle cinture di castità in Europa
Voi, streghe che siete state messe al rogo nel Medioevo
Voi, scrittrici del diciannovesimo secolo che avete scritto sotto pseudonimo maschile per essere pubblicate
Voi, che avete raccolto il tè a Ceylon
Voi, donne di Berlino che l’avete ricostruita dopo la guerra
Voi, che coltivate il cotone in Egitto
Voi, algerine che avete ricoperto di escrementi i vostri corpi per non essere violentate dai soldati francesi
Voi, che a Cuba arrotolate i sigari
Voi, donne ribelli dei diamanti neri in Liberia
Voi, danzatrici di Samba in Brasile
Voi, il cui volto è stato deturpato in Afghanistan
Mamma
Mi dispiace
Non posso essere presente
Al Nord, vicino al confine con Dio, godendomi una cultura evoluta e la magia della tecnologia, e le ultimissime frontiere conquistate dalla civiltà umana, e sotto l’effetto ipnotico che danno la sicurezza, l’assicurazione sanitaria, l’assistenza sociale e libertà di espressione, mi distendo sotto il sole estivo come un uomo bianco. Penso al Sud inventando scuse per giustificare la mia assenza. Accanto a me passano migranti, nomadi e rifugiati, passano abitanti autoctoni e falsi, evasori fiscali, alcolizzati, nuovi ricchi e razzisti, passano tutti davanti a me mentre sono seduto a Nord pensando al Sud. Invento false storie per nascondere la mia assenza e perché non posso essere presente.
Sì, non posso essere presente, la strada tra la mia poesia e Damasco è tagliata per cause postmoderne: tra queste che i miei amici ascendono verso Dio con un’accelerazione più rapida della velocità di un processore di computer. Alcune riguardano una donna che ho incontrato a Nord e che mi ha fatto dimenticare il sapore del latte materno. E altre hanno a che fare con i pesci di un acquario che non troveranno nessuno per dargli da mangiare durante la mia assenza.
Non posso essere presente, poiché la distanza tra la mia realtà e la mia memoria conferma che Einstein ha ragione, che l’energia che emana dalla mia nostalgia è uguale al risultato della moltiplicazione della materia per il quadrato della velocità della luce.
Non posso presenziare, ma posso essere assente. Sì, posso essere assente con grande abilità, e sono diventato un professionista ultimamente. Ho un’agenda dove annoto tutti gli appuntamenti della mia assenza e ho ricordi ancora non avvenuti.
Posso essere assente come se non fossi mai esistito, come se fossi un nulla, come se l’aria non fosse mai entrata nei miei polmoni e come se non avessi nemici, come se fossi una perdita di memoria concentrata o un coma contagioso.
Non posso essere presente perché sono impegnato in una guerra fredda che conduco ogni giorno con l’isolamento, con un bombardamento cieco contro l’oscurità, con una depressione programmata e i razzi della solitudine che mirano la cucina, con i check point che stanno tra me e l’estate, con la burocrazia a causa della separazione tra potere legislativo ed esecutivo, con la routine dell’ufficio delle imposte. Mi hai parlato a lungo della guerra, lascia che ti parli un po’ della pace di cui godo io qua al Nord. Lascia che ti parli delle gradazioni del color della pelle, di cosa significa quando la gente non sa pronunciare il tuo nome, dei capelli neri, della democrazia che sta sempre dalla parte dei ricchi, dell’assicurazione sanitaria che non copre i denti perché non fanno parte del corpo. Lascia che ti parli della verdura che non ha alcun sapore, dei fiori che non hanno alcun odore, del razzismo avvolto in un sorriso. Lascia che ti parli dei fast food, dei treni veloci e delle relazioni veloci, del ritmo lento, della tristezza lenta e della morte lenta.
Mi crederai se ti dico che la mia scarpa è stanca e che dentro di me vi è un lupo che non posso fermare dopo aver sentito l’odore di sangue? Mi crederai se vedi sul mio corpo le tracce delle pallottole che hanno colpito i miei amici là mentre io sono seduto qua dietro allo schermo del computer? Credi nel caso? Che la mia assenza è un caso meticolosamente pianificato, un colpo di caso studiato? Ho scoperto per caso che il caso non è un caso quando accade, ma il caso è quando non accade. Comunque mi crederai se ti giuro sulla musica, giuro sulla musica che il permesso di soggiorno in Europa potrebbe forse allontanarci dalla morte con le pallottole ma rende più probabile al suicidio.
Bene, ti racconterò la verità. Ti dirò perché non posso essere presente. È accaduto in una serata d’estate, quando ho incontrato sulla strada verso casa una donna triste, portava tra le mani una foresta e nella borsa una bottiglia di vino, l’ho baciata ed è rimasta incinta nell’undicesimo mese…
Non è questo che mi impedisce di essere presente. Ti racconterò la verità. Damasco mi ha catturato con un’altra donna a letto, ho cercato di salvare la situazione dicendo che quel che era accaduto era solo un capriccio che non si sarebbe ripetuto. Ho giurato su tutto, sulla luna, sui fuochi d’artificio, sulle dita delle donne, ma tutto era finito, allora sono fuggito verso Nord…
Non è questo che mi impedisce di essere presente. Ti racconterò la verità. Quando ero bambino, non sapevo nulla di economia di mercato, ora che sono diventato cittadino di un paese del primo mondo, non so nulla di economia di mercato …
Non è questo che mi impedisce di essere presente. Ti racconterò la verità. Quando ho deciso di venire, la mia valigia si è scontrata con una notizia dell’ultima ora, la mia lingua si è frantumata in pezzi e i passanti l’hanno rubata e non ho più una lingua…
Non è questo che mi impedisce di essere presente. Ti racconterò la verità. Sono morto, sì sono deceduto da molti anni…
Non è questo che mi impedisce di essere presente. Ti racconterò la verità.
Il massacro
Il massacro è una metafora morta che divora i miei amici, li inghiottisce senza sale. Erano poeti e sono diventati Reporter Con Frontiere, erano già stanchi e sono diventati ancora più stanchi. “Attraversano il ponte al mattino con un passo leggero”[1] e muoiono fuori copertura telefonica. Li vedo con i binocoli notturni e seguo il calore dei loro corpi nel buio. Eccoli fuggire da esso per ritrovarlo e arrendersi a questo massaggio terrificante. Il massacro è la loro madre veritiera. Quanto al genocidio, non è altro che una poesia classica scritta da generali intellettuali messi in pensione. Il genocidio non si addice ai miei amici, perché è un’opera collettiva e organizzata e le opere collettive e organizzate ricordano loro la sinistra che li ha abbandonati.
Il massacro si sveglia presto, bagna i miei amici di acqua fredda e di sangue. Lava i loro capi intimi e prepara per loro il pane e il tè, poi gli insegna un po’ a cacciare. Il massacro è più solidale con i miei amici che la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, ha aperto loro le porte mentre le altre erano chiuse e li ha chiamati per nome mentre i notiziari non erano interessati che al numero delle vittime. Il massacro è l’unico che ha concesso loro l’asilo senza badare alle loro appartenenze. Non si interessa della loro situazione economica. Che siano poeti o intellettuali, non lo preoccupa. Esso guarda le cose da un’angolazione neutra. Possiede i loro stessi tratti morti e i nomi delle loro vedove. Passa come loro nelle campagne e nelle periferie, e appare improvvisamente come loro nelle notizie urgenti. Il massacro assomiglia ai miei amici ma li precede sempre nei villaggi remoti e nelle scuole per bambini.
Il massacro è una metafora morta che esce dalla televisione e inghiottisce i miei amici senza il minimo pizzico di sale.
Come sono diventato
La sua tristezza è caduta dal balcone infrangendosi, quindi le serviva una nuova tristezza. Quando l’ho accompagnata al mercato i prezzi delle tristezze erano alle stelle così le ho consigliato di acquistarne una usata. Abbiamo trovato una tristezza in buono stato, ma era un po’ larga. Come ci ha spiegato il mercante, essa apparteneva ad un giovane poeta che si era suicidato l’estate scorsa. Quella tristezza le è piaciuta e quindi abbiamo deciso di prenderla. Poiché stentavamo ad accordarci con il mercante sul prezzo lui propose di aggiungere un’angoscia che risale agli anni sessanta se avessimo comprato la tristezza. Abbiamo accettato ed ero contento di quell’angoscia imprevista. Lei ha sentito la mia gioia e quindi mi ha detto “è per te”, ho messo l’angoscia nel mio zaino e ce ne siamo andati. La sera mi sono ricordato dell’angoscia, l’ho tirata fuori dallo zaino e baciata, era veramente di buona qualità e in buone condizioni nonostante mezzo secolo di utilizzo. Senza dubbio il venditore ignorava il suo valore altrimenti non me l’avrebbe ceduta per l’acquisto della pessima tristezza di un giovane poeta. Quel che mi ha rallegrato di più di quest’angoscia è che era esistenziale, fatta con artigianalità meticolosa e dettagli di estrema finezza e bellezza. Senz’altro risale ad uno studioso dalla conoscenza enciclopedica oppure ad un ex prigioniero. Ho cominciato ad usarla e l’insonnia è diventata la mia compagna di vita, e sono diventato un sostenitore dei negoziati di pace, ho smesso di visitare i miei familiari, sui miei scaffali sono aumentati i volumi di memorie e non esprimo più un parere se non raramente. L’essere umano è diventato per me più importante della patria e ho cominciato a sentire l’ennui esistenziale. Ma quel che mi ha colpito di più è che sono diventato un poeta.
Genocidio
Quando ti hanno ucciso
hanno commesso il genocidio di un solo uomo.
Quando la gente ha trovato la tua tomba
ha trovato
una tomba
collettiva
di un cadavere
solo.
[1] Citazione di un verso del poeta libanese Khalil Hawi.
Qui i link ad altre poesie tradotte all’italiano di Ghayath Almadhoun: Latte nero – I dettagli – La capitale