[Questo articolo è uscito sul quotidiano Il Manifesto (cartaceo) del 21 agosto 2017. Le foto sono di F. L. e sono state scattate a Tultitlán, nell’hinterland della capitale messicana, presso il santuario di Enriqueta Vargas, madre del defunto Comandante Pantera o Jonathan Legaria Vargas, alias Padrino Endoque. Solo fa eccezione la foto della custode del culto nel quartiere di Tepito, Enriqueta Romero]
Negli ultimi cinque anni José Ramírez ha fatto il fattorino, il cameriere e il venditore porta a porta. Ha anche lavorato come muratore indocumentado a Los Angeles. Di ritorno in Messico ha provato a cercare lavoro ovunque, ma le porte restavano chiuse. Il Guanajuato, suo stato natale, è quello a maggior tasso d’emigrazione del Paese. José mi racconta la sua storia in un parcheggio del centro storico di León, capitale economica della regione, a 400 km da Città del Messico. Al collo porta un amuleto che raffigura la morte con un saio indosso, la falce in una mano e il mondo nell’altra.
«¿Estás con la Santa?», sei devoto della Santa? Chiedo. La sua risposta è una confessione: «Sì, conosco la Santa Muerte per degli amici che nel gabacho(negli Stati Uniti, ndr) la adoravano, ma all’inizio non m’interessava perché molti dicevano che è una narco-santa ed è vendicativa, se non fai come dice, ti castiga. Ora so che non è vero…».
Da un mese José ha un lavoro, seppur precario e malpagato. Fa il cassiere nel parcheggio in cui stiamo chiacchierando. «È stata la Santísima Muerte! Quando sono tornato, mio cugino mi ha regalato una sua immaginetta e le ho fatto anch’io un’offerta per trovare lavoro: mele, sigarette, birra e il mio biglietto da un dollaro della buena suerte», racconta.
Da secoli le devozioni popolari sono onnipresenti in Messico e periodicamente riemergono sotto nuove spoglie, mescolandosi al cattolicesimo con pratiche sincretiche. La Santa Muerte, che non va confusa con la coloratissima festa messicana del 1° novembre o Giorno dei Morti, è nota per i suoi tanti soprannomi: Flaquita (magrolina), Niña Blanca e Bonita (bimba bianca e carina) o Hermana (sorella).
La composizione sociale dei suoi cultori è variegata, ma in gran parte riflette le contraddizioni di una società dominata da un modello socioeconomico escludente. Le prostitute, i poliziotti, i tassisti, i membri delle comunità Lgbtq, i detenuti, gli abitanti di ghetti e periferie sono il nocciolo duro del popolo della Santa Muerte.
«L’immaginario della morte santificata viene a supplire alla mancanza di istituzioni affidabili e al rispetto dei diritti umani, sempre più compromesso nel Messico della guerra al narcotraffico, del neoliberismo economico e delle disuguaglianze imperanti», spiega al manifesto lo studioso di religioni Stefano Bigliardi.
Dall’altra parte tra i fan della Santa vi sono anche controverse figure pubbliche, come l’ex governatore dello stato di Oaxaca, Ulises Ruiz, noto per la repressione del movimento dei docenti nel 2006 che fece 25 morti, e l’ex capo della polizia investigativa Genaro García Luna, al centro di scandali connessi al narcotraffico.
«Insieme a San Giuda Taddeo, promosso dalla Chiesa come santo delle cause disperate, o a Jesús Malverde, che ha la fama di protettore dei narcos, la Muerte è uno dei cosiddetti “santi della crisi” e in Messico le crisi non finiscono mai, dunque il culto ha sempre più adepti», precisa Alfonso Hernández, cronista del barrio di Tepito, il quartiere orgoglioso e malfamato del centro storico di Città del Messico in cui la Flaquita è patrona indiscussa.
A Fine anni ’90 la stampa parlava della Santa Muerte raramente, solo per legarla a doppio filo coi narcos. In effetti nel rifugio del sequestratore Daniel Arizmendi, alias «Il Mozzaorecchie», e nella villa del narcotrafficante del cartello del Golfo, Gilberto García «El June», erano stati trovati altari della Flaquita. La Cia nel 2003 diffuse un rapporto che la definiva «Santa dei narcos» e l’Fbi, dieci anni dopo, ne parlava come ispiratrice di macabri rituali.
In realtà si tratta di un nuovo movimento religioso complesso e, secondo stime giornalistiche, sarebbero ben 10 milioni le persone che, come José, pur credendo in Dio e definendosi cattoliche, si sono allontanate dalla Chiesa per avvicinarsi alla Santa Muerte. «La Santa non giudica chi sei o cos’hai fatto, è democratica, non discrimina ricchi e poveri», dicono i seguaci.
Secondo l’antropologa messicana Katia Perdigón le sue origini sono da ricercare nei rituali che gli indios facevano utilizzando i dipinti raffiguranti lo scheletro della morte, portati nelle Americhe dagli spagnoli durante la conquista. Poi a metà Novecento riappare nei testi dell’antropologo Oscar Lewis come culto semiclandestino delle famiglie povere nel rione di Tepito (nella foto Enriqueta “Queta” Romero a Tepito).
Dopo decenni di bassifondi il culto è infine esploso pubblicamente nel 2001, quando la signora Enriqueta Romero, sempre a Tepito, espose una statua della Muerte di quasi due metri sul balcone di casa. Da allora il flusso di devoti, giornalisti e curiosi non s’è più fermato, si sono cominciati a celebrare i rosari mensili per le strade e gli altari si sono moltiplicati dentro e fuori dal Messico.
«Il culto va sempre più forte, ho molti piani in mente, so che saremo il gruppo più grande, presente in tutto il mondo, la gente sa che siamo onesti», afferma Enriqueta Vargas, leader di Santa Muerte Internacional a Tultitlán, nell’hinterland di Città del Messico (nella foto la statua di 22 metri eretta da suo figlia prima d’essere assassinato). La sua organizzazione nacque nel 2007 grazie al figlio, Jonhatan Legaria, il quale, prima di morire assassinato brutalmente, eresse una statua della Santa di 22 metri. Oggi la madrina, come la chiamano i devoti, è il personaggio più mediatico del culto e sta creando una rete di altari tra Usa e Messico. La Santa Muerte s’è globalizzata sia per la migrazione di milioni di latinos negli Usa sia per la sua “viralità” sul web e i social network. Oltre che sul web la Santa arriva in Europa sulla pelle dei devoti. Ormai la sua figura è un must tra i tatuatori anche in Italia dove è richiesta nella versione delicata di maschera della Catrina o aggressiva di “morte nera” o “angelo di luce”.
Nelle periferie messicane, ma anche a Genova e Milano, oltre che per moda o per devozione, il tatuaggio della Santa è ritenuto essere un simbolo d’appartenenza per compagnie e gang come le centroamericane MS13 e M-18. Le sue pagine e community su Facebook, veri e propri santuari virtuali, hanno centinaia e spesso decine di migliaia di aderenti. Infine, serie tv come Breaking Bad o Dexter e film come Le belve di Oliver Stone, El Infierno di Luis Estrada e Per una vita migliore con Demian Bichir l’hanno trasformata in un’icona pop. Ad ogni modo ancora non esiste una Chiesa o una religione della Santa Muerte, la quale finora ha scacciato con la sua falce i tentativi di addomesticamento e di sfruttamento commerciale, così come le gerarchie e le etichette che cercano di inquadrarla.
Blog dell’autore sul tema: Santa Muerte Patrona