di Walter Catalano
Laura, come gran parte dei personaggi femminili poco sviluppati nel libro, passa nella serie TV al ruolo di vera e propria coprotagonista, personaggio ben al di sopra e al di là del suo, assai più esile, corrispettivo letterario. La signora Moon, almeno da viva, non è affatto simpatica, è egoista e anaffettiva, non ama davvero il compagno e lo spinge al crimine; lo inganna ed è incapace di restargli fedele, facendosi consolare, mentre Shadow è in galera per colpa sua, dal suo migliore amico. Dopo lo scontro mortale e l’incontro con Anubi però, che la vuole condurre nell’Ade, e al quale la ragazza sfugge temporaneamente grazie alla moneta d’oro sottratta ad un irlandesissimo leprecauno, Buile Suibhne o Mad Sweeney (Pablo Schreiber), – che il proprietario cercherà invano di riavere indietro – torna sulla terra e vuole riscattarsi col marito che si accorge solo ora di aver amato davvero.
Laura, per quanto ancora carina, è ormai solo uno zombie: pallida e dagli occhi appannati, coperta dalle cicatrici dell’autopsia, circondata dalle mosche e maleodorante, per un paio di episodi senza un braccio (si porta dietro il moncone che le viene poi precariamente ricucito), ogni tanto starnutisce schizzando fuori qualche verme: non ha perso però né carattere, né determinazione ed ha acquisito per di più una forza erculea che le permette di picchiare perfino il nerboruto leprecauno. E più di ogni altra cosa vuole resuscitare, non solo come cadavere vivente, ma come persona che respira, e tornare con Shadow: ci riesce quasi, nell’ultimo episodio della prima stagione (uno dei migliori), a casa di Ostara o Easter – la dea della Pasqua, che ha ormai passato le consegne al suo successore Gesù, o meglio alle migliaia di Gesù (uno diverso per ogni credente, spiegherà la dea flirtando con Shadow) che le tengono compagnia in una splendida villa con piscina, circondata di campi sempre in fiore popolati di bianchi coniglietti pasquali – ma la sua speranza sarà delusa quando la dea primaverile le rivelerà che nel suo caso una resurrezione è categoricamente impossibile essendo stata uccisa da un dio (nella fattispecie Odino).
Un’altra scena madre architettata forse meglio che nel libro è quella del ritorno a casa di Shadow: dopo il funerale della moglie, il secondo terribile schock per il povero ex-galeotto è la rivelazione delle circostanze di quella morte; nel cimitero ormai deserto, sarà Audrey Burton (Betty Gilpin) la moglie tradita dell’amico Robbie Burton a rivelargli i particolari della relazione tra i due amanti defunti, offrendosi di fornire a Shadow, per spregio proprio sulla tomba della rivale, lo stesso servizio che questa stava praticando all’adultero un attimo prima dell’incidente; Shadow, troppo sconvolto, rifiuta la prestazione e i due cornuti finiscono per abbracciarsi piangendo (sarà in quell’occasione che Shadow, ignaro del suo potere, lascerà la moneta che ha preso al leprecauno dopo una solenne scazzottata, sulla tomba di Laura permettendole così di sfuggire, almeno temporaneamente, al dio psicopompo). Quando, più tardi, un titubante Shadow osa finalmente rimettere piede nella propria casa, con un soprassalto di raccapriccio trova Laura ad aspettarlo in camera da letto: “Hi puppy”, “ciao cucciolo”, lo saluta lei come se nulla fosse.
Fra il 2001 e il 2016 la tecnologia ha fatto passi da gigante e anche i nuovi déi, gli American Gods, antagonisti di Odino e dei suoi colleghi old-fashioned, hanno avuto necessità di subire un drastico upgrade rispetto alla versione originale del testo: il corrispettivo di Odino sul fronte opposto è Mr.World (Crispin Glover), il capo dei nuovi déi, che nel libro non appare mai di persona ed è solo nominato. Una metafora esplicita del capitalismo globalizzato che, nei suoi dialoghi, tuona contro il “brutale individualismo” in nome della “interconnessione dei sistemi” e del “mercato globale”: un po’ il Big Brother del 1984, un po’ Lex Luthor, il nemico di Superman. Un’entità sfuggente e inafferrabile capace di mutare sempre forma a piacimento (occhio allo spoiler proprio ora, ma chi ha letto il libro tanto lo sa già: in realtà scopriremo che si tratta dell’ennesimo travestimento di Loki, il seminatore di discordie. Forse però non è un vero spoiler, perché nella serie TV Loki lo abbiamo già incontrato: è il compagno di cella di Shadow, Low Key Lyesmith, interpretato da Jonathan Tucker, che si lamenta del disuso dell’impiccagione in America… Un altro cambiamento ? Chi vivrà vedrà).
C’è poi Technical Boy che nel libro era descritto come un nerd ciccione, afflitto dall’acne giovanile, con addosso un trench e una lattina di Diet Coke in mano, ed è diventato ora, incarnato da Bruce Langley, un ragazzino allampanato dall’acconciatura punk, vestito all’ultima moda in stile giovane amministratore delegato della Silicon Valley, che ripete di volere “riprogrammare la realtà” e che “il linguaggio è un virus; la religione un sistema operativo e le preghiere solo fottuto spam”. Ancora più interessante è Media, che si avvale delle eccezionali capacità trasformistiche della grande Gillian Anderson (l’indimenticabile Dana Scully di X-Files e, più recentemente, l’altrettanto indimenticabile Bedelia Du Maurier di Hannibal): la sua prima apparizione a Shadow si manifesta ovviamente attraverso un televisore: un programma in bianco e nero mostra Lucille Ball nei panni di Lucy Ricardo – diva e protagonista di una delle prime sit-com della tv americana, I Love Lucy, trasmessa con enorme successo tra il 1951 e il 1957; personaggio che a noi dice poco ma che per uno statunitense è un po’ come il nostro Gino Cervi che fa Maigret – la Anderson/Ball sullo schermo si rivolge direttamente all’esterrefatto Shadow e gli strizza l’occhio rivelandogli l’essenza del suo potere: “Tempo e attenzione; meglio del sangue d’agnello…”. Media assumerà in ogni sua successiva epifania, con tripudio di Gillian e del cast di costumisti e truccatori che cura il personaggio, l’aspetto di una diversa figura iconica dei media: sarà il David Bowie versione androgina del video di Life on Mars; la Marylin Monroe con la gonna sollevata dal vento di Quando la moglie è in vacanza; e la Judy Garland merlettata di Easter Parade.
Ci sono poi divinità che tradiscono o fanno il doppio gioco (in fondo l’intenzione dichiarata dei nuovi déi non è tanto distruggere quanto asservire…), ad esempio Mr. Wood, dio animistico ancestrale degli alberi e delle foreste, molto più antico di Odino, capace di manifestarsi in un albero e in qualsiasi cosa sia fatta di legno: l’industrializzazione ha messo in crisi il suo culto ed il vecchio furbacchione ha preferito sacrificare alberi e foreste e passare apertamente con i nuovi dèi; stessa cosa ha fatto Vulcano (Corbin Bernsten) – ma cercando di tenere i piedi in due staffe, accetterà di fabbricare anche una spada per Odino – il dio fabbro si è guadagnato, sotto la protezione dei nuovi déi, un posto nell’industria delle armi da fuoco, ha aperto una fabbrica in Virginia e viaggia scortato e onorato da uno stuolo di fanatici armati di fucile, nutrendosi dei sacrifici umani provocati dall’uso delle armi, perché, come dice a Odino “Il potere del fuoco è nella polvere da sparo. Non un dio ma simile a un dio. E loro ci credono”. Sarà Odino che, con la stessa spada che Vulcano gli ha appena forgiato, taglierà la testa al dio traditore e con un calcio ne getterà il corpo nel calderone della forgia dei proiettili; poi per dimostrare il suo apprezzamento – e quello degli sceneggiatori – per il culto tutto yankee delle armi da fuoco, ci piscerà dentro. Perfino la stessa Bilquis, dea dell’amore e del sesso, è costretta a patteggiare con i nuovi déi, infatti per poter disporre degli innumerevoli rendez-vous erotici che le permettono di risucchiare i partner dentro di lei per nutrirsi della loro passione e mantenersi in bella forma, è costretta a ricorrere ad un sito di incontri su internet e ad un telefono cellulare: il Technical Boy la tiene in pugno; per dirla con una battuta di Media: “E’ darwinismo religioso: adattarsi e sopravvivere”.
Che ci riserveranno le prossime stagioni ? Il dio slavo Czernobog (Peter Stormare), l’abbattitore del macello – già demone nella sequenza della “Notte sul monte Calvo” del classico disneyano Fantasia del 1940 – per il momento alleato, riuscirà ad uccidere Shadow, “quando tutto sarà finito”, come gli ha promesso ? O le Zoryas (Cloris Leachman, Martha Kelly, Erika Kaar), le tre sorelle stellari della mitologia slava, riusciranno a proteggerlo ? Che ne sarà di Laura quando Mad Sweeney le riprenderà la moneta e che ruolo esattamente hanno i Jinn ? Ma soprattutto qual è il vero legame tra Odino e Shadow ? Anche tutta la seconda parte del romanzo, con la storia parallela alla trama principale della permanenza di Shadow a Lakeside, cittadina del Wisconsin, dovrà in qualche modo trovare una sua collocazione all’interno della serie. Ci aspettano ancora diverse sorprese, è sicuro.
Per il momento le considerazioni finali che possiamo trarre su American Gods sono estremamente positive: la serie di Fuller/Gaiman con la sua sapiente commistione di critica politica e sociale, satira religiosa, immagini glamour e barocchismo figurativo, splatter ed erotismo ben dosati, pirotecnia registica e grande performance degli attori, si conferma come una delle migliori mai realizzate. Non potevamo aspettarci di meno dall’unione della fantasia mitologica sfrenata dell’inventore di Sandman e dell’iconologia postmoderna del creatore di Hannibal: l’ossessione per i corpi e per la carne (lì sezionata e cannibalizzata, qui trascesa e metafisicizzata), per le relazioni psicologiche complesse e ambigue, per l’eccesso tematico e figurativo di Fuller si sposa perfettamente all’immaginazione cosmologica delirante, all’umorismo corrosivo e all’estetica gotica di Gaiman. Una sintesi che emerge emblematicamente nella coloratissima sigla di apertura (e una serie già si giudica dall’efficacia della sigla iniziale…), in equilibrio fra iperrealismo e psichedelia pop: simboli religiosi, idoli, totem tradizionali si mescolano e si ibridano con invenzioni e innovazioni tecnologiche moderne; automobili e space shuttle, motori a reazione e insegne al neon; un astronauta crocifisso; una menorah con spinotti di connessione USB; un buddha sorridente circondato di pillole di viagra, anfetamine e antidepressivi; il terzo occhio di Shiva divenuto l’obiettivo di una telecamera digitale; una piramide sormontata da una lampada laser; e così via, con in sottofondo l’adrenalinico brano di Brian Reitzell. Feed your Head, si sarebbe asseverato qualche anno fa.