di Gioacchino Toni

Michael “Dixie” Dickson (con F. De Ambrosis e N. Garufi), Bomber Renegade. Un soldato di sua maestà al servizio dell’Ira, Milieu edizioni, Milano, 2016, pp. 173. Allegato cd con rebel song irlandesi reinterpretate dai Glasnevin e da Gary Og, € 15,90

Partiamo dalla fine. Marzo 2006. Michael “Dixie” Dickson è l’ultimo prigioniero repubblicano a uscire da un carcere – tedesco in questo caso – per fatti direttamente connessi ai troubles irlandesi. «Quando si sono aperte le porte del carcere c’erano i compagni fuori ad aspettarmi: una scena tipo l’inizio di Blues Brothers. C’era un furgoncino dei tifosi del St. Pauli che mi ha portato ad Amburgo dove alcuni compagni di Coiste, l’associazione degli ex-detenuti repubblicani, erano venuti dall’Irlanda a prendermi. […] Sono rimasto tre giorni ad Amburgo, soprattutto per ringraziare i vari gruppi di solidarietà. La prima sera c’è stato un concertino di musica irlandese al Jolly Roger […] Poi sono tornato in Irlanda e anche lì, fuori dall’aeroporto, ho trovato un po’ di compagni ad aspettarmi […] La presenza costante dei compagni tedeschi mi è stata di grande aiuto […] Quando sono nato, negli anni Sessanta, le persone in Irlanda del Nord erano abituate a essere picchiate, umiliate, segregate, discriminate. Ma quando i Provisionals hanno cominciato a sparare i primi colpi, la paura ha iniziato a dileguarsi e il coraggio a diffondersi. Qualcuno può pensare che il metodo fosse sbagliato, che era violenza contro violenza, ma credo che sia stato il contesto a portarci su quella strada, non avevamo altro modo per far sentire la nostra voce […] Il nostro obiettivo era unire l’Irlanda, finché c’era la guerra era più facile sentirsi coinvolti […] Ora è molto più difficile tenere insieme persone come noi, la lotta non ha più quell’appeal» (pp. 130-133).

Okay, what the fuck is going on? Cosa accidenti hanno a che fare i tifosi tedeschi del St. Pauli con l’uscita da un carcere tedesco di un prigioniero repubblicano finito dentro per fatti connessi ai troubles irlandesi?!

Ripartiamo. Stavolta dall’inizio. Ottobre 1964. Hannover. Germania. Da una coppia di origine scozzese nasce Michael “Dixie” Dickson. A metà degli anni Sessanta la famiglia si trova in territorio tedesco perché il padre di Dixie fa parte di un battaglione dell’esercito britannico di stanza in Germania. Che l’uomo presti servizio armato per sua maestà non va molto a genio ai nonni materni, di origine irlandese, anche se non sono militanti repubblicani. Il piccolo Dixie è abituato a cambiare dimora ogni tre quattro anni al seguito del padre e passa anche qualche anno ad Hong Kong. Attorno ai sei-sette anni riceve in regalo dal nonno una maglietta dei Celtic Glasgow. Bellissima. Di cotone spesso, come si usava un tempo. Quando ci si lega ad una squadra di calcio a quell’età, la fede calcistica è destinata a durare per sempre. Senza se e senza ma.

Estate 1978. Bielefeld. Renania settentrionale. Germania. Dalla tv è possibile assistere alle partite di calcio della Coppa del Mondo che si gioca in Argentina. «Ci diventavo matto anche perché, insomma, ero un ragazzino scozzese che viveva in Germania e giocava a calcio in una squadra tedesca. Al mondiale c’erano le sedici squadre più forti del mondo tra le quali la Germania Ovest e la Scozia, ma non l’Inghilterra o il Galles o l’Irlanda del Nord e un qualche orgoglio si respirava anche in casa mia. Tifavo per la Scozia […] Il boicottaggio contro la giunta golpista, dei “mondiali della vergogna” e tutto il resto erano cose che all’epoca non sapevo» (pp. 6-7).

Il passaggio tra gli anni Settanta e Ottanta per la cittadina di Bielefeld è segnato dall’Ira: nel giro di pochi anni si susseguono prima un attentato alla caserma del padre e poi l’uccisione di un ufficiale inglese per mano di un cecchino. «Non avevo ancora alcuna consapevolezza, non avrei potuto averla, sapevo che accadevano cose pesanti ma niente di più. Terminati gli studi, dato che il lavoro in Germania scarseggiava, ho fatto gli esami per entrare sia nell’esercito inglese che in aeronautica, nella Raf […] Poi, nell’ottobre del 1982 ci comunicarono che il mese successivo saremmo partiti per le Falkland» (p. 10). Così, come spesso avviene in queste cose, un po’ per caso ed un po’ per bisogno di un reddito sicuro, il giovane Dixie si trova ad indossare un’uniforme che lo proietta nelle dannante Falkland a guerra finita da ormai sei mesi. «Avvicinandoci alle Falkland, dal ponte, abbiamo potuto ammirare tutta la bellezza desolata delle isole: un paesaggio deprimente in cui monotoni chilometri di scogliere a picco sul mare si alternavano a sporadiche grandi spiagge bianche, il clima era uggioso e il vento pungente frustava una pioggerellina gelida e costante. La prima cosa che ho pensato è stata che era morta anche della gente per questo posto di merda» (p. 15).

Aprile 1982. Glasgow. Durante una visita ai genitori, ormai ritiratisi in pensione, per la prima volta Dixie mette piede nel mitico Celtic Park ove si gioca Celtic Vs. Dandee. Sugli spalti vengono cantate a squarciagola le tradizionali rebel songs anti inglesi. «La rabbia per lo sciopero della fame di Bobby Sands e degli altri nove bruciava ancora. Fuori dallo stadio avevo comprato una copia di Republican news che era, ed è ancora, il periodico ufficiale del Sinn Féin. Sfogliandolo sul bus rimasi scioccato dalla pagina sulle notizie di guerra che riportava la serie di attacchi messi a segno dall’Ira. Buttai il giornale nel cestino prima di arrivare a casa per evitare una crisi famigliare. Ancora non ne ero consapevole ma quei cori avevano aperto uno spiraglio, un dubbio nella mia testa» (p. 12).

1988. Londra. È nella capitale dell’Impero di sua maestà che, una volta congedatosi, dopo sei anni di ferma nell’esercito, Dixie decide di trasferirsi per qualche tempo lavorando in un pub frequentato da irlandesi. «Per la prima volta, tra una birra e una partita di calcio, tra una storia al balcone e l’altra, attraverso un pezzo di comunità irlandese trapiantata a Londra, iniziavo a conoscere le storie, scoprire i fatti, aggiornarmi sulla guerra vicina» (p. 21).

19 Ottobre 1989. «“I quattro del pub di Guillìford” furono rilasciati dopo quindici anni di carcere. Nelle vie intorno al pub era scoppiata la festa, anch’io ero uscito a guardare quei ragazzi cantare, ballare, abbracciarsi, era la prima volta che sentivo dal vivo le note della musica ribelle irlandese» (p. 21). Poco tempo dopo Dixie cambia prima lavoro, abbandona il pub per divenire fattorino alla Dhl, e poi città, da Londra si trasferisce a Glasgow per stare vicino al padre gravemente malato. Arrivato nella città dei Celtic non può che frequentare lo stadio. «Ed è stato lì, sui bus per le trasferte, attraverso le rebel song sparate dallo stereo e cantate per tutto il tempo del viaggio, che ho conosciuto davvero la storia passata e recente della lotta irlandese […] Un giorno […] alcuni ragazzi sono venuti a chiedermi di dargli una mano alla parade repubblicana che ci sarebbe stata a Salsburgh, appena fuori Glasgow. Dovevano occuparsi della sicurezza […] Dissi di sì e quella fu la prima volta che fui coinvolto in qualcosa di “politico”» (p. 24).

Da questo momento Dixie viene proiettato all’interno del mondo – difficile da capire per chi non è di quelle parti – delle parade repubblicane. «C’era una grande commistione con le seconde generazioni di irlandesi che vivevano numerose nei sobborghi di Londra e Manchester, ragazzi che attaccavano i concerti degli Skrewdriven ovunque e condividevano grumi di rancore sociale con i settori vicini a Red Action. Stiamo parlando di in tutto di un paio di centinaia di persone, però, ovunque, in qualsiasi cesso di stazione della Scozia potevi trovare degli adesivi con l’Ira e Red Action insieme, come se fossero quasi la stessa cosa. In realtà Red Action, più o meno, faceva il tifo e basta […] Questi erano i personaggi che avevo incontrato in Scozia: di sinistra, militanti, pro-repubblicani, presenti nel servizio d’ordine di ogni parade e legati al Celtic in quanto Hibs, tifosi dell’Hibernian di Edimburgo. Ma rispetto alla realtà che stavo per incontrare a Portadown, la Scozia non era niente» (p. 30).

12 luglio 1995. Portadown. La zona più problematica di tutte le Sei Contee. La città ove è nato l’ordine di Orange orgogliosa dell’annuale sfilata orangista. «Non era come in Scozia dove la cosa si limitava a ragazzotti in cerca di qualche scazzottata, qui circolavano tante pistole e le sbarre di ferro alle finestre trasmettevano una certa angoscia, alcuni avevano persino barricato le scale. La cosa terrificante è che non era uno scontro tra fazioni: non c’era alcun equilibrio, né alcuna giustizia in quello che succedeva. Gli orangisti, inquadrati in formazioni paramilitari, erano collusi con tutte le varie forze di polizia. […] Ogni anno i lealisti arrivavano a Garvaghy Road e scoppiavano scontri, ma quell’anno la situazione sembrava più grave. Era arrivato anche l’esercito inglese e i telegiornali informavano che tra i sessantamila e gli ottantamila orangisti assediavano Portadown […] Eravamo accerchiati […] I residenti non si lasciavano scoraggiare anche perché l’Ira, nel corso dell’estate, aveva fatto entrare diverse unità in città» (p. 35).

1996. Dundalk, a pochi chilometri da Portadown. Una marcia repubblicana fornisce a Dixie l’occasione di incontrare attivisti di Sinn Féin e, attraverso di loro, militanti dell’Ira. La trafila, come è facile immaginare, è lunga e complessa e non può prescindere dalla lettura di La guerra sporca di Martin Dillon, soprattutto perché riporta nella sua parte finale il Libro verde, una sorta di vademecum fornito dall’Ira ai suoi volontari. Una volta divenuto volontario, le cose cambiano velocemente per Dixie.

La parte centrale del libro racconta la sua militanza nell’Ira alla quale porta in dote la sua conoscenza delle caserme inglesi in Germania. A questo punto nelle storie raccontate iniziano a comparire gli esplosivi e gli AK47, le pianificazioni e le sorveglianze, i botti in territorio tedesco ed il rientro rocambolesco in Irlanda. In men che non si dica Dixie si trova ad essere un latitante. «La cosa più bella della latitanza è che incontri persone semplici e coraggiose, persone fantastiche disposte ad accoglier dei perfetti sconosciuti nelle loro famiglie e prendersi cura di loro» (p. 53). L’Ira provvede a spostare Dixie in continuazione di casa in casa, di città in città fino ad offrirgli la possibilità di rifarsi una vita negli Stati Uniti. Dixie decide di restare e, stanco di starsene rintanato in qualche rifugio, si attiva per dare una mano come istruttore militare fino a quando non riesce ad ottenere la cittadinanza irlandese (grazie agli avi materni) che lo salva dalla possibilità di estradizione in Germania.

Fine anni ’90. Sinn Féin continua a lavorare per la pace. L’Ira mantiene, faticosamente, il cessate il fuoco e nasce la cosiddetta “Real Ira”. Prende il via il disarmo dell’Ira tra mille dubbi ed altrettante ritrosie.

Nuovo millennio. Il demone del calcio torna a farsi vivo. «Il percorso dei Celtic in Coppa Uefa nell’autunno 2002 prometteva bene, eravamo tra i favoriti e, a dicembre, avevo già in mano i biglietti per la partita con il Celta Vigo. Insieme a Patch avevamo deciso di prenderci un fine settimana di vacanza a Praga» (p. 91). La breve vacanza si sarebbe presto trasformata in un incubo carcerario lungo tre anni e tre mesi. Al termine della vacanza, nell’aeroporto praghese, a Dixie viene notificato un mandato dell’Interpol e la Repubblica Ceca è un paese che concede l’estradizione verso la Germania. Dopo qualche tempo nelle tremende carceri ceche Dixie è condotto nelle prigioni tedesche dalle quali riesce anche rocambolescamente a fuggire, seppure per poche ore. Durante la carcerazione Dixie riceve più volte la visita di tifosi tedeschi del St. Pauli con cui aveva organizzato insieme ai tifosi del Celtic iniziative antirazziste negli stadi. «Quando ho visto cosa avevano fatto per me dentro il Millerntor-Stadion di Amburgo mi è venuto da piangere: una coreografia di decine di striscioni bianchi con la scritta “Free Dixie” in verde. L’impatto visivo di tutte quelle persone che tenevano gli striscioni, riempiendo la curva per intero, era incredibile» (p. 124).

Torniamo allora da dove eravamo partiti. Torniamo a quel furgoncino di tifosi del St. Pauli che nel marzo del 2006 attende, all’uscita di una prigione tedesca, Dixie, l’ultimo prigioniero repubblicano ad abbandonare il carcere per fatti direttamente connessi ai troubles nordirlandesi. Forse ora è un po’ più chiaro cosa diavolo ha a che fare un manipolo di tifosi tedeschi antifascisti con un volontario dell’Ira di origini scozzesi, cresciuto in Germania, sfidante gli orangisti con una marchin band repubblicana, volontario dell’Ira e tifoso dei Celtic.

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A fare da ideale colonna sonora alla storia ribelle d’Iralanda, il cd allegato al libro propone alcune rebel song irlandesi:

01 – The Rising Of The Moon (Glasnevin)
02 – Fields Of Athenry (Glasnevin)
03 – Boys Of The Old Brigade (Glasnevin)
04 – Connolly Was There (Conor Kelly)
05 – Viva La Quinta Brigada (Conor Kelly)
06 – Minds Locked Shut (Glasnevin)
07 – Kevin Lynch Is My Name (Glasnevin)
08 – Willie & Danny (Gary Og)
09 – Scapegoats (Conor Kelly)
10 – Your Daughters And Your Sons (Conor Kelly)
11 – Something Inside So Strong (Gary Og)


Milieu edizioni ha dato alle stampe una particolare Trilogia Irish composta, oltre che da Bomber Renegade, da On the Brinks. Memorie di un irriducibile irlandese di Sam Millar [su Carmilla] e The General. Martin Chaill, storia e leggenda della malavita iralandese del giornalista irlandese Paul Williams [su Carmilla].

Per approfondire la particolare storia della tifoseria del St. Pauli si rimanda al libro di Marco Petroni, St. Pauli siamo noi. Pirati, punk e autonomi allo stadio e nelle strade di Amburgo (DeriveApprodi, 2015) [su Carmilla].