di Carmelo Barbaro

– Lei sa che costerà parecchio… –

Il cielo di gennaio era grigio e pesante, una cappa che metteva malinconia. Somigliava a una coltre per mantenere tiepidi i ricordi lontani e sbiaditi.

L’umidità iniziava ad addensarsi sulle vetrine della caffetteria e nei polmoni.

Gli piaceva abbastanza la Terra del XXI secolo: passeggiare sul cemento e sull’asfalto, fumare tranquillo nelle piazze e nei luoghi pubblici, la facilità di recupero di droghe e sesso a buon mercato.

Pronunciò quella frase con un certa freddezza, osservando un pigro rigagnolo d’acqua condensata scivolare verso il suo destino lungo la vetrina che li separava dal mondo esterno, con il suo viavai, i suoi amori, la sua inutilità. Scorse persone muoversi allegre e spensierate e pensò che non erano altro che morti che camminavano. Le labbra si modificarono in una specie di sorriso.

La donna che gli stava di fronte, all’altro lato del tavolino, armeggiava con una tazza di tè, mescolandolo con insistenza nonostante fosse già freddo. Aveva il naso un po’ storto, i capelli biondo cenere e un tailleur grigio con camicia azzurra. Dimostrava quarant’anni più o meno.

Più avvocato di così…

– Il cliente che rappresento è più che disposto a pagare. Qualunque sia il prezzo. – rispose la donna.

Mentre parlava, cercava di misurare lo strano profilo dell’uomo: a una prima occhiata, sembrava che le ossa del volto fossero state rotte e spostate, anche più di una volta. Una lunga cicatrice segnava la mandibola dalla parte destra. Un accenno di barba grigia, la pelle rugosa simile a cuoio. Restò impressionata dagli occhi: privi di luce, senza colore, svuotati da ogni segno di emozione.

– La società per cui lavora ci è sta caldamente raccomandata da… –

La signora che rappresentava “la legge” si bloccò, lasciando la frase priva di conclusione, ipnotizzata dagli occhi freddi e smorti che la fissavano bui.

– …da una moltitudine di clienti soddisfatti. – aggiunse nel tentativo di rimediare alla gaffe.

L’uomo annuì con una smorfia di sufficienza, forse un lieve sorriso. Indossava un’improbabile camicia a mezze maniche viola, con una fantasia di ananas rosa, pantaloni kaki e un borsalino marrone. Si era presentato con un trench autunnale beige sotto il braccio, a dispetto delle temperature invernali.

L’avvocato De Giorgi tentava di dissimulare la sua inquietudine e il suo scetticismo con un atteggiamento professionale e distaccato ma il linguaggio del corpo la tradiva. Gambe accavallate, movimenti continui sebbene brevi e rapidi delle dita, sistemare continuamente una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Un clacson suonò per la strada e le sue pupille si spalancarono terrorizzate. Era chiaro, in modo imbarazzante, che non sapeva con chi aveva a che fare però lo intuiva a livello inconscio. Se la Vedder, Volchek & Valiant riusciva davvero a fare quello che si diceva in giro, allora quello “studio” era assimilabile a una potenza nucleare.

– Riassuma brevemente la situazione, avvocato. – disse l’uomo, mentre si faceva roteare una sigaretta tra le dita.

Luana De Giorgi si schiarì la voce e si riassettò la giacca quindi iniziò.

– Molto bene signor…? – aggrottò la fronte: non conosceva nemmeno il nome del suo interlocutore.

– Sono il Ragioniere. Solo il Ragioniere. –

L’avvocato fece segno di aver capito e proseguì senza troppa convinzione.

– D’accordo… Ragioniere. Ecco i fatti. Circa dodici ore fa è stato commesso un omicidio. Un infanticidio, per la precisione. –

L’avvocato, per deformazione professionale, si arrestò un secondo convinta che quella puntualizzazione necessitasse di una pausa per essere realmente compresa.

Il Ragioniere la incalzò con un gesto del mento a non indugiare.

“Non gli frega niente. Cosa avrà mai visto quest’uomo?” pensò cupa la De Giorgi. Continuò.

– La donna, in preda a raptus, ha ucciso il figlioletto di due anni con una serie di colpi alla testa. Il fatto si è consumato in una paesino, un villaggio se vogliamo, in Val d’Aosta. Attraverso le nostre conoscenze e i nostri agganci siamo riusciti a depistare le indagini e rallentare l’emersione della verità, almeno per il momento. Purtroppo, non ci vorrà molto prima che gli inquirenti mangino la foglia e inchiodino la nostra assistita. Ci siamo rivolti alla Vedder, Volchek & Valiant per risolvere definitivamente la questione. –

Il Ragioniere scrutò l’avvocato con le palpebre socchiuse: la De Giorgi aveva sussurrato eppure adesso aveva la bocca asciutta, la salivazione azzerata come avesse tenuto un comizio di un’ora.

– Siamo a corto di tempo, deduco. E voi a corto di opzioni. – disse l’uomo calcandosi il cappello sui capelli della consistenza del fil di ferro.

– Solo una domanda: perché noi? Le vostre risorse non sono in grado di far sparire un’arma? – chiese  curioso incastrandosi la sigaretta tra i denti.

– Una suppellettile. Un cristallo di quarzo con striature di rame. – chiarì la donna.

Il Ragioniere si strinse nelle spalle e attese che lei concludesse.

Alcuni ragazzi al bancone discorrevano a voce alta di come svoltare la serata e della necessità di scegliere la festa giusta se ci si voleva devastare a dovere.

– La signora – riprese la De Giorgi – è la nipote prediletta di un importante politico. Egli ha usufruito in passato dei vostri servigi ed è stato lui a fornirci i vostri contatti in questo spettro. –

Luana rimase a fissare il Ragioniere con gli occhi sbarrati, bava secca agli angoli delle labbra.

L’uomo rifletté per pochi istanti, osservando un imprecisato punto nel basso angolo destro della propria visuale, facendo mente locale. Fece sì con la testa, mordicchiandosi l’interno della guancia: aveva capito chi era il politico, quello che aveva consigliato di consultarli. Sinonimo di ottimi affari.

“Ha paura.” bisbigliò la sua voce interiore “E anche l’ulcera, per quanto riesco a vedere.”

– Questo pezzo di roccia deve scomparire, non deve più essere presente in questa realtà. È già stato estratto dalla luogo del reato. La donna aveva un custode, per così dire: le sue labili condizioni mentali sono ben note tra i parenti. La dottoressa è stata la prima ad accorrere sulla scena e ha fatto quanto ha potuto. L’oggetto è sotto la sua responsabilità mentre parliamo. Deve solo recuperarlo e portarlo via. Deve solo fare il suo lavoro. –

Il Ragioniere lasciò correre il commento riguardo al fare il proprio lavoro, si concesse di arricciare per un attimo il labbro superiore. Avrebbe benissimo potuto intavolare una discussione basata sulla deontologia professionale e sulla scarsa capacità inventiva degli avvocati ma non era il tipo da accendere polemiche e soprattutto era annoiato. Molto annoiato dalla vita. Da tutte le sue vite…

Si concentrò sulle assi di legno che formavano il piano del tavolinetto, invecchiate ad arte anche se in maniera dozzinale e un poco rozza. Dava in questo modo l’impressione di studiare un piano d’azione, di gestire una complicata serie d’imperscrutabili strategie per risolvere il problema, l’immagine del consumato professionista brillava nello scorrere della gente e le becere ipocrisie degli esseri umani. In buona sostanza, invece, era sempre lo stesso metodo: prendere, saltare, sparire. Nulla di più semplice, se si possedevano le nozioni di base del salto dimensionale e le relativa tecnologia bio-cromoquantica.

Questo pensava la De Giorgi mentre si tormentava un anello all’anulare sinistro.

“Non è sposata. Non più. Te la vorresti sbattere, vero?” gracchiò la vocina nella nuca dell’uomo.

“Muto.” intimò il Ragioniere.

Coloro i quali incontravano per la prima volta gli emissari della Vedder, Volchek & Valiant avevano dei giustificati ma romanzeschi preconcetti. La tendenza generale rifletteva una visione forzatamente romantica dello spostamento interdimensionale: caleidoscopici tunnel, marchingegni delle più svariate fogge e grandezze, strane e oscure parole d’ordine all’interno di complotti mondiali.

La realtà era tutta un’altra storia: il Dispositivo trovava il punto di salto (o la finestra), consentiva il passaggio e l’agente svaniva.

Il Ragioniere si grattò un orecchio con cura, si alzò, si coprì con l’impermeabile e fece per andarsene. Da una tasca interna, estrasse un sottile scheda arancione dotata di banda magnetica, senza alcun segno o dicitura: la accompagnò sul tavolo con due dita.

– La inserisca in un qualunque telefono pubblico domani alle 13:00 –

“Ed ecco spiegata la sopravvivenza delle cabine telefoniche…” considerò la donna, visibilmente colpita. Luana De Giorgi deglutì a vuoto e annuì con fermezza.

L’uomo noto solo come “Il Ragioniere” si allontanò con passo tranquillo e non si videro mai più.

 

Immerso nella folla pomeridiana della città universitaria, finse di essere un normale passante intento a parlare al cellulare, a consultare l’ultima stronzata dei suoi amici su Facebook, a farsi un selfie. Per un solo istante e si sentì a disagio.

– Non ti piacerebbe e lo sai. – seguì una risatina canzonatoria. Il parassita che risiedeva nel suo braccio sinistro lo prendeva in giro. Il Ragioniere sbuffò dalle narici e si accese la sigaretta. Camminava su una marciapiedi più alto della strada che costeggiava un’antica chiesa con degli archi sul lato opposto, alla sua destra.

Era una città fatta di portici, piena di viltà e futilità. Da molto tempo, ormai, era cosciente della sua natura apolide. Troppi posti, tanti da non potersi contare. Troppa gente, troppe epoche: a buon titolo, lui non apparteneva a nessun luogo. E aveva anche smesso di preoccuparsi, di ragionare sull’insensatezza della vita. Procedeva, tanto per fare qualcosa.

Lo smartphone trillò e vibrò, interrompendo il suoi pensieri. La sede locale della Vedder, Volchek & Valiant gli stava inviando tutti i dettagli dell’operazione. Il suo compenso era maggiorato per via dell’urgenza e sicuramente lo studio avrebbe avuto non solo una contropartita materiale ma qualcosa di ben più prezioso: qualcuno della classe dirigente di quel paese in quello spettro era in debito.

Una macchina lo stava già aspettando al parcheggio sotterraneo dell’VIII Agosto e la partenza era prevista entro novanta minuti.

– La finestra a nord è già chiusa, cazzo! – esclamo l’ospite simbiotico – Ne sto cercando un’altra. –

– Fa’ con calma. – rispose il Ragioniere.

La comunicazione tra i due organismi avveniva attraverso il sistema nervoso, una specie di telepatia anche se a volte il parassita riusciva a manifestarsi. Da quando aveva assunto un intelletto superiore, si era rivelato scurrile e molto indisponente. Il Ragioniere si era comunque abituato, come a qualunque altra cosa gli era capitata, anche se doveva ammettere che rompeva sul serio le palle.

L’agente scelto di primo livello (in maniera informale, uno Stealthy) della Vedder, Volchek & Valiant era stato infettato durante una missione esplorativa ad alto rischio quasi dieci anni prima.

La convivenza, forzata, non aveva avuto il migliore degli inizi, sfociando nella quasi morte della componente umana. Un’inaspettata interazione aveva prodotto risultati altrettanto inaspettati.

– Ci stanno mandando in una fottuta valle in mezzo alle Alpi! Non ci sono finestre lì, di nessun tipo. – brontolò la creatura.

Il Ragioniere colse l’ironia del viaggio nello stesso spettro: poteva saltare da un mondo all’altro ma era obbligato a usare i mezzi di locomozione che la dimensione forniva. Per spostarsi all’interno di essa. Misteri della schiuma quantica. Tirò fuori la mano sinistra dalla tasca dei pantaloni e guardò il palmo segnato e calloso. I lineamenti di un piccolo viso arcigno si palesarono deformando tendini e muscoli. Con un certo dolore ma non ci badò.

– Nelle vicinanze? – domandò lo Stealthy.

– Un cazzo di niente, ripeto! – rispose l’altro con tono di voce roco. Quel giorno era veramente di cattivo umore.

– Tranquillo. Torniamo qui, se è possibile. – lo rassicurò il Ragioniere.

Un ragazzone con corti dreadlocks biondi gli passò accanto e rimase a fissare stonato quella sorta di opera macabra di pelle e cartilagine.

– C’hai mica un euro? Magari mille lire? – domandò trascinando ogni singola lettera. Stava in piedi per miracolo ma avrebbe da lì a poco perso la battaglia con la forza di gravità.

– Sento la puzza da qui! Mollagli il telefono e mandalo affanculo. Ho registrato tutto. – abbaiò il parassita. Non si poteva certo definire un ospite politicamente corretto.

Il fattone incrinò un sopracciglio e ridacchiò, convinto che fosse una magnifico delirio.

Il Ragioniere, al netto dell’acidità del mostro cellulare, convenne che era un’ottima idea: avrebbe dovuto eliminare il cellulare in ogni caso.

Si frugò addosso e dopo qualche secondo comparve il costoso gadget.

– Davvero? – chiese il ragazzo barcollando.

– Ma sì! Goditelo. O vendilo e goditi le anfetamine. – disse l’uomo dalla camicia viola, misurandolo con disinteresse.

– Grazie amico. Fossi in te mi farei controllare la mano… – concluse dando al Ragioniere una pacca sulla spalla. Il Ragioniere si toccò la tesa del cappello e il ragazzo se ne andò per la sua strada, inciampando nei lacci sciolti.

– Tua sorella! Tanto l’epatite se lo mangia entro l’anno. – commentò velenoso il parassita.

– Merda se sei intollerabile oggi. Concentrato. – lo riprese l’uomo, infilandosi in tasca mano e volto.

– Va bene va bene. La finestra che sto monitorando in città resterà utilizzabile per altre diciotto ore e spiccioli. Non dovremmo avere problemi, salvo complicazioni. –

– Visto? Tutto sotto controllo. – trasmise il Ragioniere, iniziando a godersi il piattume morale e materiale dello spettro di realtà 114 – W, conosciuto come pianeta Terra, intervallo cronale 2002 d.C.

 

Si attardò a vagabondare per il centro; si infilò in una via laterale a breve distanza dalle Torri dove si trovava una libreria che vendeva volumi usati. Il parassita protestò animosamente, ribadendo il concetto che acquistare libri in ogni spettro che visitavano senza leggerli non faceva di lui un intellettuale. Inoltre, aveva voglia di bere. Lo minacciò d’incasinargli il sistema linfatico e il Ragioniere si premette l’accendino arroventato sull’avambraccio sinistro: pace fatta.

Gironzolò tra gli scaffali e i libri a peso, soffermandosi alla sezione fantascienza senza un particolare motivo. Selezionò un romanzo, Cieli qualcosa, di una autore italiano perché gli piaceva la copertina e prese a sfogliare un’altra opera che trattava di viaggi nel tempo.

Chi incrociava la sua espressione poteva definirla interessata. In un certo modo lo divertiva la fantasia con cui lo spostamento tra le ere veniva reso possibile: le improbabili teorie, le automobili a ottantotto miglia orarie, i paradossi temporali.

– Non fare il ganzo. È tutto merito mio. – lo riprese il parassita in vena di litigare.

– Stronzate. Senza di me non potresti nemmeno parlare. O scopare. – ribatté il Ragioniere.

– Ringraziami che ancora ti diventa duro. –

– Non eri altro che un filamento di RNA mutato. –

– Esatto! Leviamoci da qui che tutta ‘sta cultura mi ha messo ancora più sete… –

Avevano ragione entrambi. All’incirca.

Il Ragioniere pagò il romanzo e uscì nel pomeriggio uggioso.

 

Si lasciò confondere e inghiottire dalla marea di corpi che s’ingrossava all’ora dell’aperitivo.

Lanciò occhiate tutt’intorno: bancomat, bus, pivelli vestiti male, informazione confezionata, interventi estetici da due soldi, bastioni medievali e una cattedrale incompleta da secoli affacciata su un’ampia piazza.

Alla sinistra, Due Torri: una dritta e l’altra sbilenca.

In un battito di ciglia, le vide rase al suolo, sostituite da altre strutture per la contraerea. I palazzi signorili e i portici erano diroccati e anneriti, attraversati da tubature di plastica verde. L’imponente chiesa era stata rimpiazzata da una gigantesca sinagoga. Uomini armati e senza volto, protetti da giubbotti di Kevlar e maschere anti-radiazioni, una stella a sei punte blu in campo bianco.

Spettro 318 – K: gli ebrei governavano quasi tutto il mondo con pugno di ferro e mentalità kosher.

In quella dimensione, gli israeliani avevano deciso di non attendere il Messia ma di andarlo a cercare, verosimilmente per fargli la festa. Nella loro marcia trionfale avevano conquistato con facilità il Medio Oriente, passando in seguito all’Eurasia e costruendo una roccaforte negli Stati Uniti. Le ultime sacche di resistenza sopravvivevano in Estremo Oriente e in Oceania e solo perché lo shabbat veniva ancora rispettato. Non per molto ancora: fior di rabbini consultavano da decenni i Testi Sacri per trovare una scappatoia e raggiungere la vittoria totale.

– La pianti? – grugnì il Ragioniere.

Il parassita sghignazzò: di tanto in tanto, gli piaceva giocare quei tiri mancini al suo ospite.

– Gira a destra, a fianco del negozio con la mela morsa. –

Era una viuzza tutta pietre grosse e sconnesse, incastrata tra i palazzi e a metà c’era un pub a due piani, con la sala fumatori a quello superiore. Pannelli di legno, sgabelli alti e boccali di vetro. Ordinò una pinta di scura per lui e una mezza bionda per il parassita che s’era convito a rendergliela difficile. Il barista lo guardò con un filo di sospetto e poi con atteggiamento complice gli fece un cenno d’intesa. Si accomodò su una panca imbottita verso il fondo del locale, attraversando una confortevole nebbia azzurrina. Trangugiò un buon sorso della sua nera e si accese un’altra sigaretta. Era in quel campo da così tanto tempo che frammenti delle realtà iniziavano a sovrapporsi a prescindere dalla sua volontà: imperi nazisti, anarchie socialiste, deserti radioattivi, dittature di computer intelligenti, pianeti d’acqua, barbarie steampunk. S’interrogò senza troppa persuasione se fosse giunto il momento di cambiare mestiere o smettere per sempre ma si ricordò che, alla fine dei conti, non sapeva fare molto altro. Non aveva amici tranne il piccolo bastardo impudente con cui condivideva il braccio. Non aveva hobby né passioni. Niente famiglia o tanto meno amori. Si sentiva come polvere addensata e non riuscì a esserne deluso. Un crampo al bicipite lo avvertì che il parassita aveva atteso abbastanza e si costrinse a consumare un boccata della birra chiara. Mentre fissava la superficie ondeggiante e screziata di bollicine, la mente del Ragioniere tornò indietro, molto indietro, all’inizio della sua collaborazione con lo studio Vedder, Volchek & Valiant.

Il Ragioniere era veramente un ragioniere, il suo unico titolo di studio valido. Per quanto concerneva il suo nome originale e la sua età, li aveva dimenticati e non gl’interessava ricordarli.

Per il resto non era mai stato nulla. Non possedeva alte qualità o doti artistiche. Non era portato per lo sport né per la musica. Non era colto men che meno affascinante, una personalità piatta. Intelligenza nella media, nessuna propensione all’astrazione. Era un semplice, anonimo masticanumeri in colonna dello spettro 113 – W, proprio a una lunghezza di Planck dalla realtà dove si trovava in quel momento. Le due dimensioni erano molto simili tra di loro eccetto alcune e fondamentali differenze: in 113 – W, per esempio, il muro di Berlino non era mai crollato e i due Blocchi continuavano a fronteggiarsi e a minacciarsi, in un escalation di ordigni atomici tattici. All’età di diciannove anni, il futuro agente scelto di primo livello fu coinvolto in un gravissimo incidente stradale. Durante il ricovero e la degenza, emerse la sua unica caratteristica peculiare: il suo codice genetico.

Lo studio d’intermediazione finanziaria transdimensionale Vedder, Volchek & Valiant teneva sotto stretto controllo cliniche e ambulatori in quasi tutti gli spettri alla continua ricerca delle basi azotate adatte ad accogliere il Dispositivo, il congegno in parte organico e in parte macchina necessario per effettuare i salti dimensionali. Il genoma del Ragioniere era così perfettamente compatibile con il Dispositivo che il vecchio Valiant in persona si presentò per reclutarlo.

Burtram Valiant, socio anziano e fondatore di Vedder, Volchek & Valiant. Un signore solido e in là con gli anni, impeccabile nel vestire, ricco da far schifo, di un potere impossibile da descrivere, capelli radi e grigi, occhi freddi come la neve di marzo tenne un breve colloquio con i medici prima di rivolgere al ragazzo la sua offerta. I dottori erano stati molto chiari: ammesso e non concesso che sopravvivesse, avrebbe avuto problemi di deambulazione e di vista per sempre.

Il vecchio Valiant giunse al capezzale del Ragioniere con una proposta che era impossibile rifiutare, spiegando brevemente e per sommi capi ciò a cui andava incontro se avesse accettato.

– È invisibile. – disse con voce calda e profonda eppure ambigua. Vide ai lati del letto una sinfonia di respiratori, fleboclisi e cateteri. Valiant si convinse che tutto stava diventando troppo facile.

– Si aggancia, si sovrappone e si sincronizza al sistema nervoso centrale. Si nutre di una parte infinitesimale dell’elettricità che produci e di qualche caloria. Ti permetterà di viaggiare oltre ogni limite conosciuto. –

Il Ragioniere, all’epoca poco più di un bambino, percepiva distintamente le costole rotte premere sui lobi dei polmoni, i ferri a tibia e perone esercitare trazione sulla frattura scomposta, l’occhio destro bendato e inutilizzabile azzerava la visione della profondità. Il tubo di gomma giù per la gola gli impediva di parlare e con immenso sforzo usò la mano destra steccata per indicare la sua condizione.

Uno scintillio di denti perfetti, come le mascelle di uno squalo, fece capolino tra le labbra di Valiant.

– Ti rimetteremo in sesto. Garantito. – disse il vecchio sicuro e considerando chiusa la discussione.

In qualità di nuovo membro operativo di Vedder, Volchek & Valiant venne prelevato e spostato nello spettro della sede centrale dello studio, 000 – O.

Una sorta di utopia illuministica generata dall’assenza del cristianesimo e perciò priva dell’Inquisizione, del Medio Evo e dell’oscurantismo intellettuale: era la dimensione natale di tutti e tre i soci fondatori.

Il nuovo elemento dello studio fu trasferito in una clinica privata, nemmeno troppo d’eccellenza per gli standard di 000 – O, di proprietà (occulta) dello studio e come da impegni presi fu rimesso in sesto. Il necessario, niente di più. Ossa, tessuti e organi furono riparati da tecniche ritenute fantascientifiche nella maggioranza delle altre realtà, tralasciando la parte estetica. Nello stesso tempo, al Ragioniere impiantarono un esemplare del Dispositivo in forma embrionale. La bontà della simbiosi fu confermata dal dimezzamento del tempo standard di maturazione del meccanismo: nel giro di sei mesi il novello Stealthy era pronto all’addestramento pratico.

Valiant lo convocò nel suo ufficio, al 124mo piano di una torre arcologica di ambra senziente e bio-acciaio alta un chilometro e mezzo.

– Per fortuna il tuo alter-ego in questa dimensione è già morto. – esordì l’anziano socio, seduto su una poltrona fluttuante. Il Ragioniere stava abituandosi alle meraviglie di quella dimensione.

La scrivania che li divideva era composta da acqua cristallina con carpe dorate che vi nuotavano dentro, sagomata e mantenuta nella forma da efficienti e impercettibili campi magnetici.

– Domani inizierai il training sul campo. – continuò Valiant non badando ai convenevoli – Il tuo istruttore sarà Dikembe N’dougioury. Ti aspetterà nello spettro 020 – P per un trasporto di libri. –

L’espressione interrogativa del Ragioniere fu più che eloquente e con un sospirò Valiant decise di spiegare; era nuovo dell’ambiente, doveva ancora assumere la prospettiva del lavoro.

– Una particolare serie di volumi, stampati in certo intervallo di tempo, da una specifica casa editrice in quello spettro utilizza la stessa carta che in un altro spettro viene usata dalla Corte Suprema. Le pagine intonse alla fine di ogni tomo valgono come acqua su 123 – A. –

Si dedicò quindi a esaminare un rapporto olografico molto promettente su certe congetture politiche di una decina di spettri. La ricchezza della società era tale e il ventaglio degli investimenti così variegato che alcune branche della compagnia avevano ormai raggiunto l’autocoscienza e l’indipendenza: Vedder, Volchek & Valiant si riproduceva per partenogenesi.

Il Ragioniere colse l’allusione: in 123 – A, la Terra e la Luna avevano masse comparabili e il sistema binario orbitava più vicino al Sole con conseguente desertificazione dell’ecosistema.

Era già stato ampiamente chiarito che lavorare per Vedder, Volchek & Valiant non significava essere dei ladri, che sarebbe stato un spreco diventarlo e un’eccessiva semplificazione affermarlo.

Lo studio Vedder, Volchek & Valiant era un’entità affaristica multidimensionale con sedi, agenti, corrieri, spedizionieri, contabili, partecipazioni pubbliche e private in una miriadi di realtà alternative.

– Bene Signor Valiant. Come raggiungo 020 – P? – chiese il giovane Stealthy agitandosi eccitato sulla sua poltrona a levitazione.

– Hai un giorno per scoprirlo. –

– Sveglia! È ora di muoversi! – gli ricordò d’un tratto il parassita.

Il Ragioniere vide che aveva ragione e non ribatté. Abbandonò il locale, lasciando credere a tutti i presenti che le loro azioni avessero un qualche peso nel tessuto dello spazio-tempo e che le loro decisioni influissero in qualche misura sul loro fato.

 

Il traffico congestionato di 114 – W era un aspetto che il Ragioniere digeriva ancora con difficoltà. Altri spettri avevano risolto il problema della mobilità e della viabilità con veicoli privati automatizzati o con trasporti pubblici capillari ed efficacissimi. Oppure, in altri casi, la civiltà era implosa e gli spostamenti avvenivano con mezzi diversi, tipo il dorso di mulo.

Ci mise un po’ a uscire dalla tangenziale e immettersi in autostrada.

– Fa’ guidare un po’ me. – propose il parassita mentre si lasciavano alle spalle Piacenza.

– Non ci pensare nemmeno. Sei spericolato e saresti capace di attirare l’attenzione degli sbirri. Non ho intenzione di perdere tempo. – rispose seccato il Ragioniere.

Mancavano solo poche ore alla conclusione di quell’incarico e tutto doveva andare liscio come l’olio. Il parassita avrebbe dovuto farsene una ragione. Valiant era in fin di vita e aveva espresso il desiderio di vederlo: cosa gli avrebbe detto lo sospettava, il motivo lo conosceva benissimo.

– Non ti sapevo così ligio al dovere. – commentò caustica l’infestazione, intercettando i pensieri dell’uomo.

– Fottiti. – replicò il Ragioniere.

– Sempre, comunque e in qualunque modo. – concluse sarcastico il simbionte.

La strada era masticata con lentezza tra le ombre dell’ora solare benché fosse ancora primo pomeriggio. Vecchi fari ai vapori di sodio iniziavano a sbocciare come fiori fluorescenti ai bordi della carreggiata, illuminando tamponamenti, rallentamenti, incolonnamenti.

Gli altri veicoli gli sembravano bare di metallo, colme di miseria e cinismo. A pensarci bene, anche la sua vettura non faceva eccezione e traboccava di vacuità. Come al solito, non se ne curò.

Il parassita pareva essersi placato, i documenti falsi che lo identificavano come Gerardo Greco nato a Catania erano al sicuro nel portafogli, l’automobile era revisionata e in ottime condizioni: bastava rimanere nei limiti di velocità.

Al procedere dell’oscurità, la strada mutò in una deforme lingua nera con una stomatite bianca al centro. I chilometri scorrevano sotto gli pneumatici, le dimensioni limitrofe slittavano a non più di qualche atomo di distanza, riusciva a distinguerle con precisione.

Grazie soprattutto al suo ospite. Aveva cominciato a sognare.

“Maledetto mostro…” ringhiò con dolcezza nella sua mente.

– Ti sento… – ripose il parassita con voce assonnata.

Il sodalizio che li vedeva protagonisti era nato come una semplice infezione letale, una malattia, parecchi anni prima, durante la ricognizione nello spettro 616 – Z, al tempo sconosciuto e rivelatosi poi terribile, pianificata e portata avanti per la ricerca di miniere di cadmio.

Il Ragioniere era stato selezionato per quel raid non solo per la sua esperienza ma per la sua estrema confidenza con il Dispositivo che, almeno nei piani teorici, gli avrebbe permesso una rapida fuga qualora la realtà si fosse scoperta ostile o, peggio ancora, inutile.

Si era invece ritrovato nel mezzo di un’invasione aliena di simbionti provenienti da un’altra galassia alla spasmodica ricerca di sali minerali, biossido di carbonio e lipidi. Non fece in tempo a sottrarsi al contagio ma riuscì a scappare e tornò alla base in 000 – O.

Isolato e messo in quarantena, attendeva di morire come aveva visto e raccontato: prosciugato di tutti i fluidi vitali e ridotto a mera cavalcatura di un essere microscopio e sostanzialmente stupido.

I valori erano fuori norma, era vero: metaboliti sballati, eccesso di piastrine, febbre e vertigini. Eppure il Ragioniere insisteva a non spegnersi e il motivo venne presto a galla: il parassita non era riuscito ad attaccarsi al sistema nervoso periferico né all’endotelio dell’ospite. Quelle strutture erano già occupate dal Dispositivo e le presidiava con ferocia. Uno scontro tra simbionti.

Il parassita tentò allora l’ultima carta: decise di provare ad attecchire direttamente sul Dispositivo ed ebbe successo in quanto il meccanismo era in parte organico. Gli esiti furono imprevedibili.

Il parassita subì un’evoluzione esponenziale, sviluppando alla fine una sua personalità (piuttosto sarcastica e irritante) e raggiungendo un compromesso con il Ragioniere.

Il parassita si sarebbe limitato a dimorare nel braccio sinistro dell’ospite umano e s’impegnò a portare aiuto quando necessario, mettendo a disposizione le sue nuove capacità: memorizzazione di immense quantità di dati in bolle molecolari, percezione nell’UV e nell’IR e altre chicche.

In breve, il parassita ebbe accesso a tutti i protocolli del Dispositivo, anche a quelli di sicurezza e delle impostazioni spaziali.

Il Ragioniere, dal canto suo, avrebbe seguito una dieta ricca di minerali e non avrebbe mai tentato di rimuoverlo, pena il decesso di entrambi.

Piotr Volchek, dopo aver appreso la conclusione della vicenda, fu costretto a definire il Ragioniere “resiliente, nel senso meccanico del termine“.

Lo Stealthy non era contento e nemmeno infelice: non provava nulla. Nel corso dei suoi viaggi interdimensionali, aveva assistito a un numero tale di nefandezze, follie e crudeltà da aver sviluppato un’aridità autodifensiva: agiva per inerzia, non si chiedeva più il perché di ciò che faceva, eseguiva e non gli interessava altro.

Milano emanava un fioco bagliore in lontananza, appoggiata come un giocattolo sporco e rotto su una pianura alluvionale e vuota. La circumnavigò distrattamente, scorgendola in 130 differenti sfumature spettrali, grazie al vaneggiamento onirico-spaziale del parassita: moresca, subacquea, sotterranea, arborea, irredentista, calvinista…

Sentiva l’infezione agitarsi nel sonno proprio nel cervelletto, si accese l’ennesima sigaretta.

Le tenebre si erano fatte scure e protettive, vedeva solo i pochi metri al di là del cofano illuminati dalle luci anteriori; la considerò come una metafora della sua vita.

La sua mente, forse per distrarlo, virò verso Valiant e la ragione per la quale era stato convocato.

Il viaggio tra le dimensione era intrinsecamente pericoloso e spossante, materialmente ed esclusivamente possibile grazie al Dispositivo. La natura di quell’apparecchio, una macchina con frazioni organiche, al Ragioniere non era mai stata spiegata con chiarezza e semplicità e lui non aveva approfondito. Sapeva che il marchingegno poteva rintracciare e seguire le finestre di salto, punti morbidi utilizzati come passaggio, riallineando la struttura a livello sub-atomico entro un certo raggio e quindi spostarla in un altro spettro.

Le varie realtà mostravano spesso sfasamenti in termini geografici e temporali: non era raro passare da una metropoli a una foresta oppure da un XXII secolo a un’epoca pre-industriale. La sicurezza del viaggio dipendeva in larghissima parte dall’esperienza dello Stealthy, dalla sua conoscenza delle realtà e dello spostamento ciclico o browniano delle finestre, dalla sua affinità con il Dispositivo.

Ciò che era ritenuto impossibile concerneva lo spostamento nel tempo, avanti o indietro, nel medesimo spettro. Un altro mistero del multiverso. Il Dispositivo non accettava la richiesta, le sue misure di sicurezza bloccavano qualsiasi tentativo di muoversi negli anni. Una parvenza di dislocamento cronale, uno pseudo-scivolamento temporale si poteva verificare saltando in spettri molto fuori fase e cambiare epoca anche di millenni. Fino ad ora.

Il parassita, con pazienza certosina, aveva scavato in profondità nei protocolli biologici del Dispositivo e forzando un blocco alla volta aveva avuto accesso ai moduli di viaggio temporale.

Alla fine, il parassita domandò al Dispositivo se, facendo i calcoli esatti al miliardesimo e prestando le necessarie cautele, fosse possibile uno spostamento in avanti di un giorno.

Il Dispositivo rispose che con le dovute prudenze e la certezza dei calcoli al milionesimo di miliardesimo era fattibile viaggiare nel tempo. Il Ragioniere aveva a tutti gli effetti infranto le regole del multiverso, l’unico essere senziente con la capacità di spostarsi nel tempo.

 

Notte inoltrata. Residui di nevischio sui tetti e sui marciapiedi. La macchina si muoveva discreta per la stradina che si arrampicava fino al borgo. Era un tipico paese di montagna, incastonato tra i monti, placido e sereno. Uno squallore da primato. Il posto ideale per commettere un omicidio e sperare di sfangarla. Il Ragioniere si domandò come credevano di farla fare franca alla madre psicotica: gli era stata sufficiente un’occhiata, per di più nell’oscurità più fitta, al villaggio per capire che era un posto dove tutti si conoscevano e che i segreti avevano una vita brevissima. Tralasciò quegli argomenti quasi subito, non erano fatti che lo riguardavano. Prese una stradina che si allontanava dall’abitato sulla sua sinistra e si dirigeva alle radici delle montagne. Maestose, ammise. Le punte innevate e qualche stella che s’intrometteva nell’inchiostro della notte: un’immagine da cartolina quasi cinematografica.

L’appuntamento era per l’una e mezzo, in una vecchia stalla abbandonata. Il parassita aveva registrato il percorso ed era meglio di un GPS. Dopo un paio di chilometri e qualche svolta sul fianco della montagna, il luogo dell’incontro comparve dritto davanti al parabrezza. Parcheggiò a una cinquantina di metri, su un largo spiazzo di terra battuta dove forse si eseguiva ancora la trebbiatura. Il termometro segnava sotto zero ma il Ragioniere non aveva freddo, non aveva mai freddo perché il parassita lo soffriva. Di comune accordo, era stato stabilito di far crescere un denso e sottile strato di grasso sottocutaneo e speciali enzimi avevano reso la pelle dell’uomo isolante.

Il Ragioniere scese, si tirò su il bavero, si calò il cappello sin quasi sugli occhi e si avviò a passo lento verso la catapecchia luogo dell’incontro.

– Occhi aperti. – raccomandò al parassita.

– Primo: occhi non ne ho, ogni tanto uso i tuoi. Secondo: ma che cazzo dici? Nemmeno le capre ci stanno qua vicino. Terzo: … Beh, non ce l’ho il terzo! Vediamo di sbrigarci! – ruggì l’ospite.

Il Ragioniere sorrise con moderata soddisfazione.

Spinse la porta di legno grigiastro con attenzione, i cardini cigolarono, un odore di muffa stantio lo accolse. Si mosse sul terreno compattato da innumerevoli piedi, aguzzando l’udito. All’interno s’intuivano spigoli, putrescenza, rimasugli di formaggio, grosse travi nude e stoiche.

– È nascosta lì dietro. – avvisò il parassita, attirando l’attenzione del Ragioniere su un muro di balle di fieno. L’uomo guardò di sottecchi in quella direzione e scelse di annunciarsi con una sigaretta.

– Sono il corriere, sono venuto a ritirare il pacco regalo. Non c’è bisogno che si faccia vedere. – disse a voce appena udibile, soffiando fuori il fumo dalle narici.

Qualche istante dopo, una donna coperta da un giacca a vento rosa si mostrò dal suo riparo improvvisato. Le forme del corpo non erano comprensibili sotto strati di abiti. Non era troppo alta né troppo bassa. Una cinquantina d’anni, forse. Occhiali con la montatura di metallo sulla punta del naso, una ciocca di capelli neri sfuggiva dallo zuccotto di lana.

Tenendo lo sguardo sui piedi, la dottoressa (il Ragioniere supponeva con buona approssimazione che fosse lei) si avvicinò e gli porse qualcosa avvolto in carta da imballaggio fermato da lunghi giri di spago. Lo Stealthy lo prese e lo sentì pesante: un colpo con quell’affare avrebbe spaccato il cranio di un uomo adulto. Ammazzare un bambino con una decina di colpi lo reputò esibizionismo.

– Se la sta facendo sotto… – avvisò il parassita con un tremito nella voce.

– Buono. Non la farai spaventare. – lo ammonì il Ragioniere.

– Che palle! Sei diventato noioso! – borbottò a sua volta il simbionte.

Il Ragioniere non lo degnò di risposta, si toccò il cappello e uscì. Ebbe la strana impressione che quella donna gli ricordasse qualcuno e ci arrivò quando afferrò la maniglia della portiera. Era anonima come lui: con tutta plausibilità, essere complice di quel giochetto sarebbe stato l’apice della sua vita.

– Da manuale. – disse il parassita mentre si allontanavano.

– Senza complicazioni. A parte il tuo atteggiamento negativo. – lo canzonò il Ragioniere.

– Spiritoso… C’è una buona notizia, comunque. Possiamo risparmiarci il tragitto fino a Bologna. Ho eseguito una scansione a lungo raggio e ho trovato una finestra dalle parti di Torino sud. È vicino a un autogrill. – disse il parassita.

Il Ragioniere fu soddisfatto anche se una bella sbronza a Piazza Verdi se la sarebbe presa volentieri.

– Coglione. Non ti ricordi che il tuo fegato è stato ristrutturato e che per ubriacarti ti servirebbe una cisterna di whiskey? – lo riprese il simbionte.

Il Ragioniere si strinse nelle spalle e pigiò sull’acceleratore.

 

A quell’ora tarda, il traffico era contenuto e il viaggio fu quasi noioso. Il parassita era intento a elaborare i dati fondamentali per il salto temporale, il Ragioniere non riusciva a fissarsi su un pensiero definito. Gli parve che viaggiare nel tempo fosse molto importante per l’ospite mentre a lui non interessava granché. Ripensò alla De Giorgi. Nel giro di qualche ora, l’avvocato avrebbe usato la scheda arancione per contattare la sede della Vedder, Volchek & Valiant per sincerarsi della riuscita dell’operazione. Le avrebbero comunicato il costo complessivo a cui il suo cliente andava incontro. Cercò d’immaginare la faccia che avrebbe fatto.

– È il prossimo. – disse il parassita riferendosi al loro avvicinamento alla finestra – E smettila di pensare alla De Giorgi. È andata ed è pure un mezzo cesso. – aggiunse.

– I cazzi tuoi mai, vero? – rispose l’uomo, stringendo il volante.

– Sono cazzi miei. Ti pare che mi rovino la media con una come l’avvocato De Giorgi? – replicò il parassita in modo altezzoso.

– Ah sì?! E il mondo di Barnard? – gli ricordò il Ragioniere.

– Che c’entra? Ci stavamo lasciando la pelle ed eravamo su una colonia penale orbitale! – si giustificò il parassita.

Il Ragioniere fece un cenno di disgusto con la mano e si focalizzò sulla guida.

Il panorama era deprimente. Prevalenza di marrone e verde marcio, alti tralicci dell’alta tensione, cascine sperdute nella bruma. Il sole cerva di alzarsi per illuminare quel triste giorno e il Ragioniere pensò che avrebbe miseramente fallito.

Parcheggiò nella classica spina di pesce, di fronte all’entrata del bar. Il Ragioniere aveva il desiderio di un pessimo caffè. Dentro la stazione di servizio, nonostante l’ora antelucana, si trovava un esempio della fauna da viaggio. Una madre per zittire il figlio che piangeva gli assestò uno schiaffone, facendolo urlare più forte. Un mezzo depravato si aggirava nel reparto riviste, cercando bizzarro materiale pornografico. Un autotrasportatore aveva terminato la telefonata con la moglie e con un altro cellulare parlava con l’amante bulgara. Le stazioni di sosta erano permeate dalla disperazione in qualunque luogo del multiverso. Normalissimi biscotti e snack al costo di diamanti. Il lavoratore brufoloso poco più che ventenne servì al Ragioniere uno dei peggiori caffè mai bevuti, in qualunque spettro.

– Tu lo fai apposta… – si lamentò il parassita.

Il Ragioniere pagò, ringraziò e uscì.

Non si preoccupò della macchina: aveva acceso il transponder e gli addetti dello studio l’avrebbero recuperata in un secondo momento. Prese il pacco e se lo mise sotto l’ascella.

La finestra era comparsa nel campo incolto dietro l’autogrill, a circa trecento metri dal basso edificio di cemento che ospitava i bagni. Scavalcò il guardrail e camminò tra le sterpaglie, in mezzo a beige e colori spenti. Localizzò con precisione la fenditura dimensionale nei pressi di un solitario albero. Era vecchio e scheletrico, spoglio e tarlato. Le radici immerse nella nebbia.

– Poetico. – pensò il Ragioniere, sollevando il borsalino.

– Logico. – intervenne il parassita – Sono ottime antenne. –

L’uomo strinse le palpebre e visualizzò la finestra.

– Pronto? – chiese al parassita.

– Ci puoi scommettere le chiappe! –

 

Il salto dimensionale lo portò direttamente in 000 – O.

Fece un rapido passaggio a casa sua, un lussuoso appartamento situato nell’arcologia marina di Tokyo. Trovò un posto nella libreria per il nuovo acquisto e se dimenticò. Valiant lo stava aspettando e decise di cambiarsi i vestiti. Si mise dei pantaloni kaki, una camicia hawaiana blu con grossi fiori bianchi e un borsalino abbinato.

Si affacciò al balcone; il cielo era terso a metà mattina, solo qualche cirro all’orizzonte. Il controllo atmosferico planetario garantiva un’altra settimana di clima mite e temperature gradevoli, seguito da un mese di monsoni. Il parassita compensava il jet lag in maniera sorprendente. Si accese una sigaretta, ricordandosi che lì non esistevano e che solo grazie alla sua ricchezza si poteva permettere quel lusso. Guardò le piante rigogliose gestite da un sistema idroponico automatico, i mobili da giardino che non si sporcavano mai. L’oggetto che aveva trasportato era un cristallo di quarzo rosa pallido chiazzato di bruno, molto simile a un obelisco con una base cilindrica di ottone. Lo poggiò pesantemente sul rotondo tavolo di cristallo e ferro battuto, crepandolo. La superficie di vetro iniziò a ripararsi sotto i suoi occhi.

Sospirò ed emise un lungo fischio. Il parassita non si faceva sentire: buon segno.

Qualche secondo dopo, la sua capsula personale, un fuso di titanio e plexiglas a propulsione magnetica, attraccò al parapetto salutandolo con calore.

– Burtram Valiant. Abitazione privata. – impartì mentre si sedeva sul sofà rosso imbottito.

Il vecchio e potente Valiant non era facile da trovare, a meno che non si sapesse come fare.

La sua residenza si trovava su una nuvola solidificata, dotata di propri generatori di campo: uno sfarzo eccessivo anche per 000 – O.

Sta di fatto che la villa di Valiant percorreva i cieli, protetta da tutti i governi e schermata dalle ultime tecnologie disponibili. 000 – O poteva anche essere un sogno utopistico ma non era immune dalla corruzione: cambiava solo il prezzo e Burt Valiant aveva soldi da buttare e debiti da riscuotere.

La capsula del Ragioniere, in quanto Stealthy di primo livello, possedeva un algoritmo in base esadecimale a gel neurale per rintracciare all’occorrenza l’indirizzo del suo capo.

In quel momento, l’abitazione si trovava sull’Europa centrale, circa sula verticale di Amsterdam.

Viaggiando a più di Mach 3, il Ragioniere ebbe giusto il tempo di leggere il giornale su uno schermo organico ripiegabile. La capsula optò per un tragitto suborbitale, riducendo ulteriormente la distanza. Atterrò sul retro della magione, dove si trovava il prato con una grande X disegnata.

Era una casa signorile inglese di fine Ottocento, non ricordava di quale spettro, portata mattone su mattone sul cumulonembo reso massiccio come il calcestruzzo.

– Non ho mai capito che cazzo ci faccia il vecchio con duecento stanze… – disse all’improvviso il parassita.

– Buongiorno. Ci campa. E pure bene. – rispose il Ragioniere.

– Andiamo a vedere che vuole prima che tiri le cuoia. –

– Già. Andiamo. –

La casa era interamente automatizzata, tenuta come un gioiello, lustra e lucida. Mini-robot si occupavano di tenere in ordine lo smisurato giardino, automi domestici preparavano i pasti, rassettavano e pulivano. Gli elettrodomestici erano collegati tramite Hypernet alla rete globale, ordinando da soli gli approvvigionamenti per la dispensa, facevano il bucato.

Il Ragioniere seguì un piccolo robot a forma di colibrì dai colori sgargianti che lo guidò tra corridoi, ascensori e saloni fino alla camera da letto padronale.

La stanza era delle dimensioni dell’appartamento del Ragioniere: ospitava un grande letto a baldacchino, uno scrittoio di mogano finemente intarsiato, poltrone provenienti da chissà quale collezione. Sbirciò con la coda dell’occhio dentro una porta socchiusa e notò piastrelle bianche e blu. Valiant era sdraiato su molti cuscini che sembravano soffici come lo zucchero a velo, coperto con un leggero plaid e lenzuola di un bianco immacolato. Era anche collegato a un’infinità di macchinari che servivano a tenerlo in vita: il Ragioniere riconobbe un’unità per dialisi, vari respiratori e almeno cinque flebo.

Le parti s’invertivano a distanza di anni, onorata carriera e contrabbandi redditizi.

Il vecchio si stava avvicinando ai duecento anni e qualunque tipo di tecnologia era inutile. L’unico aspetto comune a tutti gli spettri era la morte e Valiant poteva lottare quanto voleva: alla fine, anche lui avrebbe dovuto rendere l’anima. Sempre che ne avesse una.

– Sei arrivato… – disse in soffio, spalancando gli occhi.

Il Ragioniere annuì.

Burt Valiant fece cenno a una poltrona di spostarsi e quella si mosse accostandosi al letto: la indicò, intendendo che la occupasse. Il gesto lo fece stancare ancor di più. Lo Stealthy si sedette con le gambe accavallate e attese.

Valiant si succhiava i denti e respirava a fatica.

“Il cazzo. Rantola, mica respira.” precisò il parassita.

Il Ragioniere non ci fece caso.

– Ho provveduto a cedere tutte le mie partecipazione all’interno dello studio. A tuo nome. – disse il vecchio come fosse la notizia più normale del mondo.

Il Ragioniere restò interdetto e lo dimostrò tirando indietro la testa, nell’atto di schivare un immaginario montante.

Valiant cercò di ridere ma un eccesso di tosse quasi lo uccise, piegandolo a metà.

Un tentacolo metallico si staccò da una consolle argentata che sembrava il comodino e gli pulì il mento.

“Ci sono tracce di sangue tra la morfina, le benzodiazepine, gli antispastici e la seleparina.” annunciò il parassita. Il Ragioniere cercò di non dar retta al parassita.

– Perché Burt? Perché io? – domandò il Ragioniere chinandosi verso il vecchio. Gli occhi erano sempre freddi, la pelle era quasi trasparente.

Valiant si toccò il petto con un dito. Le braccia sottili erano aggrovigliate nei tubicini.

– Perché io so. –

– Mi faranno la guerra. – replicò il Ragioniere – Gli altri soci non accetteranno mai uno Stealthy nel consiglio direttivo. –

Il mucchietto d’ossa che un tempo era stato il vigoroso socio fondatore di Vedder, Volchek & Valiant cercò di sorridere, sprezzante dei dolori lancinanti.

– Non mi rimane molto tempo perciò ascolta bene. – disse, richiamando le ultime forze.

“Il tempo l’ha finito una settimana fa.” commentò il parassita.

Il Ragioniere stava per ridere ma si contenne.

– Ti ascolto. –

La luce del sole entrava di traverso dalle grandi finestre, facendo brillare le vene rosse del pavimento di marmo. C’era solo cielo azzurro intorno a loro e un microclima tropicale in una semisfera magnetica.

– Me lo hai detto tu. Giusto ieri. – iniziò Valiant, cercando una posizione che alleviasse l’agonia.

Il Ragioniere lo aiutò a sistemarsi e pensò che avesse perso completamente la ragione.

– Stavi proprio lì. – indicò un punto alla sua sinistra, vicino a una specchiera alta tre metri..

– Eri in giacca e cravatta. Sembravi addirittura più giovane. Mi guardavi e sorridevi. Mi hai detto che eri venuto per farmi un’ultima visita. Mi hai detto che avevi risolto l’enigma e che tutto era scritto. Mi hai detto che venivi dal futuro per annunciare una grande rivoluzione. –

Il Ragioniere esitò, solo per un momento.

“Cazzo!” esclamò il parassita.

– Sei sicuro che fossi io? – domandò l’uomo.

– Sto morendo, non sono rincoglionito. – ribatté Valiant – Sei arrivato fin qui, ai piedi del letto e mi hai poggiato una mano sulla fronte. Ti ho visto… realizzato. Mi hai detto che ci avresti pensato tu e che non mi dovevo preoccupare. –

Il Ragioniere si passò una mano sul mento crespo di barba e si lasciò andare contro lo schienale.

Il petto di Valiant si sollevava e si abbassava sempre più lentamente: non ne aveva per molto.

Lo Stealthy serrò i denti e osservò il vecchio: i loro sguardi s’incrociarono e vide che Valiant aveva paura, una paura fottuta.

– Potrebbe avere ragione. I miei calcoli sono completi al 98%. Tra qualche giorno potremmo anche azzardare un salto. – disse il parassita, corroborando la tesi del moribondo.

– Quindi? – replicò il Ragioniere.

– Ma sei scemo? In questa storia il libero arbitrio è un’illusione. Lo hai già fatto, lo abbiamo già fatto. Hai già accettato, solo che ancora non lo sai. –

Aveva ragione il parassita: scegliere era solo un’allucinazione.

– Va bene. Accetto. – annunciò il Ragioniere.

Valiant parve sgravarsi di un peso immane. Il suo ritmo respiratorio sembrò tornare nella norma.

– Con te al comando, lo studio farà il salto di qualità. E ricordati: il male vince sempre. – sospirò l’anziano prossimo al decesso.

Il Ragioniere si alzò e andò a stringere una mano leggera come una foglia secca.

– Il male vince sempre… – ribadì il vecchio – Lascia subito l’edificio: è programmato per schiantarsi nell’oceano Pacifico quando il mio cuore smetterà di battere.

Il Ragioniere si toccò il cappello e se andò. Attraversando a ritroso tutte le sale, le scalinate e i tappeti pregiati saccheggiate in molteplici spettri, si sforzò di provare qualche sentimento: pietà per Valiant che moriva, soddisfazione per aver raggiunto il traguardo del viaggio nel tempo, eccitazione per il suo nuovo ruolo nella società ma non sentì nulla. Niente di niente.

– Non fare così! Ci divertiremo! – lo incoraggiò il parassita che in ultima analisi doveva considerare il suo unico amico.

– È molto probabile. – rispose.

Lasciò la nube e non la vide precipitare tra le acque blu dell’oceano.