di Gioacchino Toni
Paul Williams, The General. Martin Cahill, storia e leggenda della malavita irlandese, Milieu edizioni, Milano, 2016, 326 pagine, € 15,90
«Erano le tre e venti del 18 agosto 1994: era appena stato ucciso Martin Cahill, il più famoso gangster d’Irlanda. Meno di sei minuti prima il gangster quarantacinquenne, Tango Uno per i Gardaí, era diventato l’ultima vittima del Provisional Ira, l’Esercito Repubblicano Irlandese» (p. 7).
Così, dalla fine, inizia il racconto che ha come protagonista Martin Cahill, detto The General, il bandito irlandese che, tra gli anni ’70 ed i ’90, tra una rapina e l’altra, si trovò a dover fuggire, di volta in volta, da polizia (la Garda), militanti dell’Ira e mercenari dell’Ulster. Troppi i piedi pestati per morire nel sonno. Troppa la testardaggine, troppa la tracotanza per sperare di poter davvero continuare a sfuggire a lungo al piombo promessogli da tutte le direzioni.
E così, in un assolato pomeriggio dublinese, tra Oxford Road e Charleston Road, nel quartiere periferico di Ranelagh, un tiratore dell’Ira pose definitivamente fine alla storia, non certo alla leggenda, del Generale, mentre questi si apprestava ad incontrare i suoi soci per pianificare un grosso colpo, l’ennesimo, non prima di aver riconsegnato in negozio la videocassetta di Bornx di Robert De Niro.
È dall’inevitabile epilogo che il giornalista e scrittore Paul Williams inizia il flashback che ripercorre la vita del più noto criminale irlandese con la passione per i piccioni, le moto ed il cibo al curry…
un uomo dalle mille contraddizioni: padre devoto, amico fedele, amante insaziabile, assurdo burlone, ma anche odiato fuorilegge, gangster temibile, mostro sadico, pianificatore meticoloso […] ossessivo, subdolo ed estremamente intelligente; a volte crudele, a volte compassionevole; riservato con una vena di malizia. Un personaggio complesso (p. 11)
Primi anni ’60. Quartiere periferico di Crumlin. In uno dei tanti complessi abitativi popolari di recente edificazione voluti dal governo per “ripulire” il centro cittadino, il piccolo Martin dovette imparare velocemente ad arrangiarsi per contribuire alle entrate della famiglia. Era la fame a dettare l’agenda della sua infanzia e qualcosa di quella fame gli resterà sempre addosso; anche quando i colpi avranno ben altri obiettivi e di certo non era il cibo a mancare, non era così raro vedere Cahill «darsela a gambe con oggetti preziosi del valore di cinquantamila sterline insieme a qualche chilo di bistecche da quattro soldi» (p. 16).
Nella grigia periferia dublinese Martin imparò presto a conoscere il tribunale minorile e la scuola industriale a cui venivano inviati i giovani delinquenti per dare loro una formazione e, se possibile, una raddrizzata. Se questi luoghi difficilmente riuscirono nel primo intento, probabilmente mai ebbero successo nel secondo.
Metà anni ’60. Prima dei botti su al Nord. Il giovane Martin raggiunse Belfast ove la Royal Navy di Sua Maestà Britannica stava arruolando decine e decine di giovani irlandesi squattrinati in cerca di uno stipendio. Ai candidati veniva consegnato un documento su cui indicare il mestiere in cui si sentivano più portati. Martin indicò bugler (trombettista) ma aveva letto male; riteneva di aver indicato burglar (scassinatore). Al colloquio gli venne chiesto di motivare la scelta e la risposta del giovane, evidentemente con qualche problema di lettura (senza scomodare Freud & C.), gli valse l’immediato viaggio di ritorno nella sua Dublino ove poté cimentarsi, al di là degli errori di lettura, nel lavoro per cui era effettivamente più portato.
Gli Hollyfield Buildings a Rathmines erano un complesso di appartamenti semi-abbandonati. Per gli inquilini delle case popolari che non riuscivano nemmeno a pagare l’affitto, o erano accusati di essere dei piantagrane, quello era l’ultimo stadio prima di rimanere davvero senza tetto. Le condizioni erano spaventose. […] Eppure, per Martin Cahill, quella era casa, il suo regno. Non avrebbe voluto stare in nessun altro posto […] “Quello che (le autorità) non si sarebbero mai aspettate era che ci piacesse quel posto. Ci conoscevamo tutti” ricordava con affetto Cahill dopo che il complesso venne raso al suolo […] Gli abitanti di Hollyfield erano legati tra loro da un senso di lealtà e da un totale disprezzo per l’autorità, ingredienti che modellarono la complessa personalità di Martin Cahill. Era felice in quello strano mondo sotterraneo e non sentiva alcun desiderio di conformarsi ai costumi della società che si trovava al di fuori delle mura che circondavano il suo regno. Si trovava spesso a consigliare alla sua gente di non dimenticarsi mai da dove veniva e di essere orgogliosa delle proprie radici (pp. 23-24)
È in questi bassifondi di Dublino che Cahill riuscì a scalare velocemente posizioni all’interno del milieu criminale irlandese arrivando ad incarnare «la figura dell’ultimo antieroe, quello che soddisfaceva la morbosa e ambivalente attrazione della gente per la malavita. Più di ogni altra icona criminale, Cahill aveva un profondo fascino sull’immaginario nazionale» (p. 12).
Primi anni ’70. Insieme al caos esploso in Irlanda del Nord mutò profondamente anche il panorama malavitoso irlandese che, almeno fino ad allora, non aveva creato grossi grattacapi alla polizia. L’onda d’urto generata dai fatti del Nord e dall’esplosione di un nuovo tipo di criminalità, trovò le forze dell’ordine totalmente impreparate e di ciò il Generale seppe trarre vantaggio. «A differenza di molti criminali che per quanto possibile tendono a evitare il conflitto con le autorità, Martin Cahill promosse la sua personale rivolta contro lo Stato. Condusse un’implacabile guerra di arguzia contro i Gardaí, che odiava ferocemente, un sentimento ricambiato dagli uomini e dalle donne in uniforme blu» (p. 13).
Metà anni ’70. Le fumose sale da biliardo diventarono il quartier generale della malavita dublinese e le auto parcheggiate davanti ad esse testimoniavano i colpi andati a segno. Martin vi parcheggiava la sua amata Harley.
Primi anni ’80. Il decennio si aprì con un botto capace di far saltare in aria non solo l’automobile con a bordo un funzionario del Ministero della Giustizia che aveva creato grattacapi a parecchia gente, ma anche di far balzare alle stelle la popolarità del Generale che da lì a poco avrebbe messo a segno una rapina entrata nella storia del crimine irlandese.
Obiettivo: la gioielleria O’Connor a Dublino. Bottino: oro, gemme e gioielli per un valore di oltre due milioni di sterline. Sarebbe stata la rapina più grande e più temeraria dall’istituzione dello Stato irlandese. Inoltre avrebbe fatto da catalizzatore e avrebbe portato Dublino sull’orlo di una guerra aperta tra la criminalità organizzata, l’Ira e la Garda (pp. 58-59)
Anche l’Ira aveva pianificato il colpo salvo poi abbandonare i piani perché ritenuto impossibile. Che un eccentrico sbruffone fosse riuscito in ciò che appariva impossibile all’Esercito Repubblicano Irlandese gli sarebbe costato caro.
Metà anni ’80. L’eroina aveva invaso i quartieri di Dublino e con essi aveva riscritto gerarchie e cancellato consuetudini e regole del gioco nel milieu malavitoso.
Nel maggio del 1986 il signore del crimine fece una passeggiata nella magnifica magione del signorotto e rubò undici dei dipinti di maggior valore della collezione Beit. Fu la seconda più grande rapina d’arte del mondo. La scomparsa dei dipinti Beit segnò l’inizio di un’affascinante e complessa storia di intrighi internazionali che coinvolsero le forze di polizia e le organizzazioni criminali di vari paesi (p. 93).
La banda del Generale era di gran lunga la più attiva del paese; rubavano a ritmi sostenuti in una situazione di apparente impunità, mettendo a segno a volte anche tre o più grandi rapine ogni settimana. I marchi di fabbrica della gang erano: terrore, minacce e sequestri di persona. Nelle lunghe notti buie d’inverno, il periodo dell’anno preferito di Cahill, i lavori tipici erano i legami, in cui i ricchi abitanti di grandi dimore sparse in tutto il paese venivano legati mentre la banda se la batteva con contanti e valori. I suoi vecchi avversari della Garda le avevano provate tutte per catturare Cahill ma non ci erano mai riusciti. Era impossibile ottenere informazioni dall’interno della banda, perché il livello di fedeltà tra gli uomini del Generale era altissimo (una cosa insolita per i gruppi criminali) e la possibilità di infiltrare un informatore era praticamente inesistente. Inoltre Cahill era un personaggio talmente imprevedibile e misterioso che i metodi tradizionali si rivelavano inutili (pp. 114-115).
Impossibile in queste poche righe ricostruire le mille avventure di Martin Cahill puntualmente riportate dal libro di Paul Williams. Forse però un paio di episodi bastano a dare un’idea del personaggio.
Una mattina, mentre si recava in tribunale a un’udienza per la custodia cautelare, Cahill rapinò la filiale esattamente alle dieci e cinquanta. Un complice lo aspettava per prendere i soldi e Cahill si presentò al suo appuntamento di fronte alla corte otto minuti più tardi, con un alibi di ferro (pp. 40-41).
The General percepiva il sussidio di disoccupazione da quando aveva lasciato il suo primo ed ultimo lavoro, nel 1969. Ogni settimana, a colpo sicuro, si recava all’ufficio di collocamento di Werburgh Street e firmava per il suo sussidio di disoccupazione per mantenere la moglie Frances e i loro cinque figli; faceva la coda allo sportello 10 e aspettava il suo turno. L’impiegato dall’altra parte dello sportello blindato formulava la sua domanda obbligatoria di rito: ha conseguito qualche impiego durante la settimana passata? Lui avrebbe firmato il modulo in cui dichiarava che non aveva conseguito nessun lavoro, avrebbe ricevuto un cedolino e con quello si sarebbe recato a un altro sportello a riscuotere i soldi. Gli impiegati che hanno avuto a che fare con lui ricordano che era cortese, simpatico e, a differenza di alcuni altri firmatari, di poche parole. Ogni volta che arrivava in Werburgh Street, Cahill indossava un casco da moto o un passamontagna o teneva una mano sul volto. Era risaputo che la polizia portava i testimoni all’ufficio di collocamento per una prima identificazione informale dei delinquenti. Ma Cahill mostrava il suo volto solo allo sportello. Una volta, a metà degli anni Settanta, si era presentato due volte nella stessa settimana, con il casco: la prima volta per incassare il sussidio di disoccupazione e al seconda per rubare centomila sterline in contanti (pp. 176-177).
Primi anni ’90. Come promessogli da tanti, il piombo arrivò anche per lui. La mano era quella dell’Ira ma poteva benissimo essere una mano diversa a freddarlo.
Come anticipato, troppi erano stati i piedi pestati per consentire al Generale di morire nel sonno. Troppa era stata la testardaggine e troppa la tracotanza per sperare di poter ancora a lungo evitare il piombo promessogli da tutte le direzioni.
Milieu edizioni ha dato alle stampe una particolare Trilogia Irish composta da: On the Brinks. Memorie di un irriducibile irlandese di Sam Millar – di cui ci siamo occupati su Carmilla -, The General. Martin Chaill, storia e leggenda della malavita iralandese del giornalista irlandese Paul Williams e Bomber Renegade. Un soldato di sua maestà al servizio dell’Ira (libro + cd) scritto da Michael “Dixie” Dickson, Federico De Ambrosis e Niccolò Garufi. Daremo presto conto anche di questo terzo libro che racconta la storia di un ex militare di sua maestà di ritorno dalla guerra nelle Falkland che scopre la causa repubblicana irlandese sugli spalti del Celtic Park.