di Diego Leandro Genna
Orazio rimase qualche secondo a guardare il suo dipendente scuotendo la testa. Si chiese se avesse mai trovato un valido collaboratore. Si sfilò la blusa da lavoro, prese il cappotto e uscì per strada, lasciando tutto com’era. Chiuse la porta a vetri della falegnameria e abbassò la saracinesca in modo che dalla strada non si potesse vedere nulla.
Licenziare un importato costava molto caro, bisognava sbrigare un mucchio di pratiche e pagare le spese del rimpatrio. Era stato così per il primo, Samir. Il secondo invece era scappato, acciuffato e rispedito da dove veniva.
A Khaled avrebbe pensato dopo pranzo.
Abitava a pochi isolati: il tempo di arrivare a casa, mangiare con calma, e poi avrebbe telefonato alla polizia. Nell’ascensore controllò accuratamente che non vi fossero tracce di quanto accaduto. Dalia non lo avrebbe sopportato.
Il profumo dello stufato lo accolse già sul pianerottolo. Gli venne l’acquolina alla bocca. Entrò in casa, posò le chiavi sul mobile dell’ingresso e si tolse il cappotto.
– Già qui? Sei proprio affamato allora – urlò la moglie dalla cucina.
Trovò Dalia di spalle, ricurva sull’affettatrice. Indossava il solito grembiule rosso ciliegia. La tavola era già apparecchiata, con i piatti, il pane tagliato a fette, l’acqua e il vino.
Orazio attese che Dalia ebbe finito, per baciarla.
– Ciao amore.
– Ciao, stavo giusto affettando un po’ di prosciutto crudo come antipasto- Tieni, mettilo a tavola – e gli porse il piatto sul quale aveva sistemato sei fette a raggiera.
– Vuoi anche una mozzarella?
– No, va bene così, voglio godermi lo stufato. Il profumo si sente da fuori.
– Allora siediti, un minuto e sono a tavola.
Orazio andò a lavarsi nuovamente le mani. Il bagno brillava di pulito. Ebbe quasi il desiderio di farsi una doccia ma lo stufato non poteva attendere. Dalia, oltre che un’ottima cuoca, era una donna molto meticolosa. Ci sarebbe rimasta male se lui avesse tardato facendo freddare la carne.
Orazio si sedette, prese un pezzo di pane, vi adagiò una fetta di prosciutto e l’addentò. Poi si versò il vino. In quel momento arrivò Dalia con lo stufato.
– Ecco qui! – Dalia posò la teglia fumante sulla tavola.
– Che meraviglia… – gli occhi di Orazio brillavano, però voleva liberarsi la coscienza, per godersi al meglio il pranzo.
– Amore, devo dirti una cosa.
– Dimmi, che c’è?
Orazio buttò giù il vino d’un sorso, poi la guardò e disse in tutta calma:
– Questa mattina ho fatto fuori Khaled, l’importato.
– Cosa?
– L’ho ucciso.
– No!?
– Giuro, non ne potevo più!
– Oddio, ma come hai fatto? – domandò la moglie, incredula, sfilandosi i guanti da cuoca.
– Era solo un importato, amore. Se ne ordinano a migliaia ogni giorno…
– E dov’è adesso? – Dalia non sapeva cosa dire.
– È ancora nella bottega, dopo pranzo chiamo la polizia e vedo di risolvere tutto.
– Ma tesoro… che bisogno c’era? – Abbassò lo sguardo.
– Non andavamo d’accordo, tutto qui.
– Che significa “non andavamo d’accordo”? – chiese scuotendo la testa.
– Era un buono a nulla, rispondeva male… questa mattina ha alzato troppo la voce, mi ha pure minacciato.
– Non posso crederci… – la sua voce si spezzò come una corda.
Aveva iniziato a riempire meccanicamente il piatto del marito, facendo attenzione a selezionare per lui i pezzi migliori. Gli occhi fissi sulla teglia di carne.
– E’ che questa storia della migrazione selettiva non funziona più. Con la chiusura totale delle frontiere e i programmi di importazione della forza lavoro avevano detto che ci sarebbero state dure selezioni, che sarebbe arrivata solo gente qualificata, con conoscenze e competenze…
Mentre Orazio continuava a parlare, Dalia si lasciò cadere lentamente sulla sedia, lo sguardo intrappolato in una bolla oscura. Davanti a lei, tra le due posate, il suo piatto rimasto vuoto.
Orazio assaggiò lo stufato. Si scioglieva in bocca. Proseguì con maggior carica:
– Poi, lo sai, le cose sono cambiate in fretta. Hanno cominciato a importare di tutto. Tu fai la richiesta di un falegname e ti arriva uno che non sa nemmeno come si usa una sgorbia. Ordini un muratore e ti ritrovi uno che ha sempre impastato mattoni con il fango…
Dalia vide emergere un muro dalla tavola, a separarla dal marito. Pensò al muro di una cella.
– Hanno fatto un sacco di propaganda, in nome della sicurezza e dell’abbattimento dei costi della manodopera. È questi sono i risultati.
Dalia era impietrita, non fiatava, sentiva il marito parlare a bocca piena, ormai dall’altra parte del muro.
Orazio sollevò gli occhi dallo stufato e si accorse di lei.
– Che ti succede? Perché non mangi?
La risposta di Dalia arrivò da una dimensione lontana nello spazio e nel tempo:
– Come puoi aver fatto questo? Ti ricordo che anch’io sono…
– Ma tesoro! – Orazio non le diede il tempo di finire la frase – Che c’entri tu? Per favore, come puoi pensare una cosa del genere?
Dalia non disse nulla, limitandosi ad osservare il vuoto nel suo piatto e il luccichio delle posate.
– Tu sei diversa.
Rimase in silenzio.
– Adesso sei mia moglie.
Ancora silenzio.
– Ti prego…
Assoluto silenzio.
– Guardami! – urlò infine Orazio.
Dalia alzò la testa e guardò il marito dritto negli occhi, con rabbia e paura:
– E se un giorno ti stancassi di me?
– Non dire sciocchezze, Dalia! Come potrei mai lasciarti? Per me sei tutto! – Orazio sorrise e allungò un braccio – Vieni qui, dammi un bacio!
Attese alcuni secondi però, Dalia, prima di sollevarsi dalla sedia, protendersi verso il marito e baciarlo freddamente sulle labbra. Nelle mani stringeva con forza le due posate. Forchetta e coltello.