di Fiorenzo Angoscini
Pasquale Abatangelo, Correvo pensando ad Anna. Una storia degli anni settanta, Edizioni Dea, Firenze 2017, pag. 325, € 16,00
Parafrasando Bertolt Brecht, e forse forzandone un po’ l’interpretazione, risalta evidente come ‘il comunismo sia una cosa semplice, difficile a farsi’,1 considerazione adatta al racconto dell’esperienza di vita di Pasquale Abatangelo che finisce anche col coincidere con la storia della nascita, della breve durata e parabola discendente dei Nuclei Armati Proletari.
La storia di un ‘migrante di ritorno’, i cui nonni erano stati costretti ad espatriare in Grecia dalla miseria dispensata a piene mani dalla monarchia sabauda, mentre i genitori (nati a Patrasso) sono stati tra le innumerevoli vittime di un regime criminale, colonialista ma straccione, con ambizioni imperiali frustrate.
Così, gli italiani di Grecia, gli skylofraghi : ‘cani italiani’, dovettero abbandonare la penisola ellenica, poiché “Vent’anni di politica aggressiva del fascismo, l’occupazione del paese e l’alleanza con i nazisti, non lasciava spazio a molti distinguo…La colpa della patria di origine macchiava ogni uomo e ogni donna di provenienza italiana. A causa del fascismo, questa gente perdette la dignità di cittadino, e ben presto anche le case e ogni bene posseduto”.
E’ impressionante constatare, ancor più nell’Italia immemore di oggi che ricopre di epiteti offensivi gli immigrati, come il disprezzo, la xenofobia e il razzismo nei confronti degli emigranti italiani siano stati comuni anche ad altri paesi occidentali: in Grecia erano ‘cani italiani’, in Belgio, quando i nostri connazionali andavano a farsi ‘gasare’ nelle miniere della Vallonia, sulle vetrine di bar, negozi ed esercizi pubblici, campeggiavano cartelli sui quali c’era scritto: ‘vietato l’ingresso ai cani e agli italiani’. Sempre nello stato artificiale belga, ma anche nella civilissima Svizzera, venivano apostrofati con un offensivo ‘italiani, cìngali’ (zingari). Aggiungendo, in questo caso, la discriminazione razziale a quella etnica .
La famiglia Abatangelo, di origini pugliesi, è così costretta a rientrare in Italia.
Sbarcati a Bari, sono trasferiti a Bologna “su un treno merci utilizzato per il trasporto degli animali…furono alloggiati come bestie nelle stalle per cavalli di una caserma militare…dopo sei mesi di permanenza a Bologna in quelle condizioni, intervenne un nuovo trasferimento…la destinazione risultò Firenze, in una vecchia caserma in disuso adibita a centro profughi”.
La famiglia Abatangelo, composta inizialmente da otto persone, cui si aggiungono Nicola e Pasquale (nati rispettivamente nel 1947 e nel 1950, a Firenze), è costretta a vivere per ben dieci anni (1946-1956) dentro un camerone “in coabitazione con altre sei famiglie, per un totale di una cinquantina di persone”.
Finalmente gli Abatangelo, nel 1956, si trasferiscono “nelle nuove case popolari appositamente costruite per i profughi…erano appartamenti di quarantacinque metri quadrati suddivisi in tre vani, più il bagno…a noi che eravamo in dieci, toccarono due appartamenti sullo stesso pianerottolo, comunicanti attraverso un terrazzino”. Delle vere e proprie ‘case minime’, anche se non più un acquartieramento militare. L’indigenza, costringe nell’estate del 1957 la famiglia italo-greca ad inviare Pasquale in collegio, nella Pia Casa del Lavoro di via Montedomini, dove raggiunge Nicola.
“Lo stabile era molto grande e accoglieva, se così si può dire, bambini, ragazzi, giovani adulti, anziani e vecchi piuttosto malandati, spesso ammalati e in punto di morte. In quel triste recipiente coabitavano figli di nessuno provenienti dagli orfanatrofi, figli di gente che viveva in povertà, e rottami alla fine della corsa, abbandonati semplicemente a se stessi. Insomma, tutti scarti”. Anticamera del carcere per i giovani, del cimitero per gli anziani. Questa la drammatica, impotente ma realistica testimonianza dell’autore che, in tale ‘limbo terreno’, ci rimane fino al conseguimento della licenza media, ormai quasi sedicenne.
E, non ancora sedicenne, Pasquale, subisce il primo arresto (insieme a Nicola e un cugino) con detenzione in carcere minorile. L’arresto, che ritiene ingiusto, immotivato, conseguenza di verbali manipolati, lo convince sempre più che non vuole inserirsi ‘nel ciclo della fatica e della disciplina sociale’.
In mezzo a tutti questi repentini sconvolgimenti incontra Anna, il suo amore. E racconta lo svolgersi del loro complesso e complicato (fughe, arresti, evasioni, latitanza, militanza politica, carceri speciali con rivolte, pestaggi, isolamento, mancati colloqui dopo giorni di viaggio e chilometri percorsi, oppure solo attraverso un citofono, separati, lei e spesso anche i bambini, da un muro di vetro), ma solido rapporto, che ha attraversato quasi mezzo secolo. Descrive i loro sentimenti, gli affetti, la rabbia e il dolore.
Fuori dai confini del recinto perbenista compie i primi furti e rapine, a beneficio ed ‘uso personale’. Arrestato, incontra in carcere un militante della sinistra rivoluzionaria, Luca Mantini, esponente fiorentino di Lotta Continua, che lo ‘aiuta’ ad andare ancora oltre, a coniugare la ribellione con la lotta e condividere gli ideali autentici di solidarietà, uguaglianza e giustizia.
Con Mantini che, abbandonata LC costituisce il Comitato George Jackson, organizzando iniziative di sostegno ai carcerati, inizia ad individuare come ‘complice’ quella consistente parte di proletariato marginale che popola le galere e che ha promosso e sviluppato il movimento di lotta nelle carceri di fine anni sessanta, inizio settanta, nel quale affondano le proprie radici e prendono le mosse i Nuclei Armati Proletari. Proprio in un periodo in cui anche soggetti diversi dagli extra-legali, iniziano a conoscere personalmente la durezza del carcere, conseguenza del ciclo di lotte del ’68-’69. Studenti, operai, insegnanti varcano i cancelli dei vari penitenziari a seguito di scontri con la polizia durante manifestazioni di piazza, occupazioni di scuole ed università, azioni di antifascismo militante e solidarietà internazionalista.
Molte organizzazioni della sinistra extraparlamentare costituiscono sezioni specifiche che si occupano della questione carceraria. La più attiva e conosciuta è senz’altro quella di LC, che dedica sulla sua stampa periodica una rubrica fissa: ‘I dannati della terra’ . Nel giugno 1972 pubblica un libro, Liberare tutti i dannati della terra, che “raccoglie documenti, lettere, cronache scritte da detenuti che hanno mantenuto un collegamento politico costante con i nuclei esterni di intervento nelle carceri di Lotta Continua”. Un anno più tardi diffonde Ci siamo presi la libertà di lottare. Il movimento di massa dei detenuti da gennaio a settembre ‘73.2
Sempre in quegli inizi di anni settanta, riferendoci solo ad autori italiani, sono pubblicati lavori specifici e mirati, realizzati da un giornalista autore indipendente, da un sociologo ex carcerato ed ex fascista3 ‘riconvertito’ in carcere alla militanza di sinistra e da una militante politica attiva. L’ “Inchiesta sulle carceri” di Emilio Sanna, trasposizione scritta di una trasmissione televisiva, Dentro il carcere, sul sistema carcerario italiano, trasmessa in tre puntate dal secondo canale Rai4 . Giulio Salierno, con Aldo Ricci, realizza poi un’inchiesta sulle carceri italiane, riconosciuta come punto di riferimento nella sociologia della pena in Italia5 . Il solo Salierno realizza infine uno studio sul sottoproletariato “per un approccio politico e metodologico al problema dell’alleanza tra classe operaia e ‘Lumpenproletariat’” e si premura di specificare: “Questo lavoro non è e non vuole avere alcuna pretesa esaustiva, né rappresentare un’ analisi conclusiva sul problema del sottoproletariato-la cui stessa definizione è tutta da valutare e verificare-ma semplicemente costituire un apporto , uno stimolo, un contributo alla discussione e allo studio dello stesso”.6
Chiudiamo questa finestra editoriale con la ricerca di Irene Invernizzi, Il carcere come scuola di rivoluzione, significativamente dedicata ‘Ai martiri di Attica’,7 che precisa: “Se l’organizzazione e la stesura di questo libro sono mie, la sua elaborazione è frutto del lavoro collettivo di un gruppo di militanti di Lotta Continua che, a partire dalla primavera 1971, si sono posti il problema del carcere come oggetto d’intervento politico, e naturalmente di molti detenuti coi quali siamo entrati in contatto”. 8
Abatangelo, entrato in galera ‘delinquente’, ne esce con una coscienza politica grazie al movimento che si è sviluppato dentro ed intorno ad essa. Ed è così che nell’estate del 1974 decide, insieme ad alcuni compagni fiorentini del ‘George Jackson’ di aderire ai NAP. Un’organizzazione ancora embrionale ma già presente a Napoli e Roma. Al 2 ottobre data la prima azione pubblica dei neo costituiti ‘Nuclei’: un’automobile, munita di altoparlante, diffonde un audio-messaggio davanti, rispettivamente, le carceri di Napoli, Milano e Roma-Rebibbia. Al termine della registrazione le automobili si distruggono esplodendo. Qualche giorno dopo si tenta la stessa azione alle Murate di Firenze. Per un guasto tecnico non va a buon fine.
Ma è il 29 ottobre che si registra il vero e proprio ‘battesimo del fuoco’. Per reperire il denaro necessario ad acquistare una grossa partita di armi si decide di praticare un ‘esproprio proletario’ ad una banca. Vari motivi e situazioni imprevedibili costringono i nappisti a dirottare l’azione su un istituto di credito diverso da quello individuato e studiato. La scelta cade sulla Cassa di Risparmio di Firenze, agenzia di Piazza Leon Battista Alberti, conosciuta proprio da Pasquale Abatangelo perché rapinata qualche anno prima.
Nel suo libro, Abatangelo, si sofferma sul tragico epilogo del tentato esproprio: “La rapina di Piazza Alberti e la morte di Luca Mantini e di Sergio Romeo destarono una enorme sensazione tra l’opinione pubblica e nel movimento rivoluzionario. Erano i primi morti della guerriglia italiana dopo Giangiacomo Feltrinelli, e la dinamica dei fatti indusse molti ad ipotizzare un agguato dei carabinieri nei nostri confronti. Ma è chiaro che non si verificò niente del genere. La verità è che molto dipese dal caso e dalla nostra cocciutaggine…Ma bisogna avere il coraggio di riconoscere gli errori e di guardare in faccia le cose. Peccammo di frettolosità sia nella riunione plenaria, sia sul terreno di azione. La partita di armi era sicuramente importante, ma non abbastanza da autorizzare una rapina priva di inchiesta seria ed approfondita…E non cademmo in un agguato”.
Rosso, giornale dentro il movimento, nel suo speciale ‘Contro la repressione’, del marzo-aprile 75, aveva dedicato una ricostruzione (pagg. 68-73) ricca di fotografie, disegni, schizzi ed ipotesi ‘fantasiose’ forzando molto anche il titolo: “L’agguato di Firenze”. Adesso, Pasquale Abatangelo, sgombra il campo da equivoci ed immaginazioni, ristabilendo una volta per tutte la verità dei fatti.
I NAP sono stati un’organizzazione armata originale e particolare, una miscela interessante di militanti politici ed ex ‘delinquenti’-proletari prigionieri-emarginati, con due (principalmente) centri logistico-operativi: quello di Firenze, al centro nord, e quello di Napoli, al sud. La durata della loro attività, relativamente breve, inizia nell’ottobre ’74 e termina, approssimativamente, nel luglio ’77 con l’uccisione di Antonino Lo Muscio a Roma, ex proletario prigioniero e figlio di una famiglia comunista del Pci. La loro azione politico-militare è costellata, come testimonia e chiarisce Abatangelo, da volontarismo, pressapochismo, improvvisazione e disorganizzazione. Ciò è confermato dalle numerose azioni fallite, oppure finite tragicamente, nonché l’elevato tributo di sangue in termini di vite umane sacrificate: Luca e Annamaria Mantini, Sergio Romeo, Giovanni Taras, Martino Zicchitella,9 Vito Principe, Tonino Lo Muscio, Alberto Buonoconto .
Pasquale Abatangelo ha sperimentato, suo malgrado, tutti i vari gradi di reclusione: dal collegio al super carcere con contorno di articolo 90 e ‘braccetti della morte’. In prigione, dove è rimasto rinchiuso continuativamente per più di 20 anni, è diventato comunista, ha patito il dolore delle separazioni politiche dai suoi compagni.
Sarà tra i tre militanti dei NAP, che considerata esaurita l’esperienza nappista, aderiranno inizialmente alle Brigate Rosse: oltre a lui, Domenico Delli Veneri e Giorgio Panizzari. Poi, anche altri militanti, attueranno la stessa scelta. In carcere ha studiato. Testi ideologici e di teoria politica, ma anche letteratura e poesia. Ha maturato la capacità critica e la più difficile pratica dell’autocritica. Quando le BR si ‘spaccano’, come quasi tutti i militanti detenuti (tranne poche eccezioni: Gallinari, Piccioni, Seghetti e alcuni altri del Partito Comunista Combattente) aderisce al Partito Guerriglia, ma è in grado di capire, dopo alcune azioni ed iniziative ‘esagerate’ compiute dai suoi compagni di ‘corrente’, che “il partito della guerra sociale totale” non fa per lui : “… il caso di Giorgio Soldati, ucciso a Cuneo nel dicembre del 1981, e quello di Ennio Di Rocco, strangolato a Trani nel luglio del 1982, erano roba nostra, e sembravano fatti apposta per generare dubbi e repulsione tra gli stessi fautori del rigore rivoluzionario… 10 Quanto ai deboli, le punizioni erano un dovere, avevo condannato tante volte, ma volevo continuare a giudicare con equilibrio, e anche con quello spicchio di umanità…E poi un avvenimento incredibile, il 21 ottobre a Torino venne eseguita una rapina in banca, nel corso della quale il nucleo operativo del Partito Guerriglia uccise a freddo due agenti della Mondialpol in servizio di guardia alla filiale, al solo scopo di dare risalto a un comunicato in cui si accusava infondatamente di tradimento Natalia Ligas…i nuovi metodi della ‘comunicazione sociale trasgressiva’…Cosa c’entrava tutto questo con l’obbrobrio di Torino?” 11
Abatangelo, quando necessario, ha saputo essere duro, ma non ha mai perso la tenerezza. ‘Proletario semplice’, in carcere ha incontrato i comunisti ed ha abbracciato il comunismo, si è ‘alfabetizzato’ teoricamente ed ideologicamente, ma non ha mai sopportato i “preti rossi e i professorini saccenti”. Con un’istantanea nitida, non mossa, e senza bisogno di didascalia, individua con precisione le ‘mosche cocchiere’ o, se preferite, i ‘grilli parlanti’ di una certa intellighenzia presuntuosa: i sofistici teorici. “Ma le ’moltitudini’ e l’ ‘impero’ erano parole troppo fragili e acquose per sostenere l’urto della risposta del potere”. Per contro, ha espresso affetto, stima umana e politica nei confronti del comunista di Reggio Emilia: Prospero Gallinari, ed ha apprezzato “la sua umanità, la sua umiltà, e soprattutto lo spessore della sua incrollabile identità comunista”.
Nelle ultime pagine della sua testimonianza ricorda chi gli è sempre stato vicino, i ‘complici’ dei primi furti e rapine, i componenti delle bande di ‘malavitosi’ che già combattevano il potere costituito ed arrogante. Ci sono ‘i dannati della terra’, i primi compagni che ha incontrato, quelli con cui ha iniziato a pensare come distruggere il mostro, con i quali ha costituito i NAP. E ci sono anche i compagni con cui ha condiviso la militanza nelle Brigate Rosse, dalle ‘prime’, monolitiche ed autorevoli, ai mille rivoli in cui si sono divise e dissolte. C’è il ricordo dei ‘suoi’ morti. Ancora una volta senza separare il rapporto politico da quello personale. Soprattutto c’è l’attaccamento e l’amore, oltre che per i figli, per le sue donne, Anna “che c’è sempre stata e che ha cresciuto i nostri figli” e per sua madre, “la profuga greca che ci ha partorito nella caserma di via della Scala”. E in questa definizione non c’è razzismo linguistico, né differenziazione, distacco o superiorità, bensì il riconoscimento delle maggiori umiliazioni e discriminazioni subite proprio per la sua condizione di ‘migrante di ritorno’. La propria forza e dignità.
NAP: bibliografia essenziale
Per la storia politica dei Nap: origini, sviluppo, attività e processi, sono molto interessanti e ben documentate due pubblicazioni, entrambe riconducibili alla rivista CONTROinformazione. La prima, anche in termini cronologici (anno 1976) di pubblicazione, realizzata dalla redazione della rivista (il contributo maggiore è stato fornito da uno dei componenti, Ermanno Gallo) si intitola semplicemente NUCLEI ARMATI PROLETARI, Quaderno n. 1 di CONTROinformazione. Nella prima parte si mettono a confronto le opinioni (Marxismo e marginalità) diverse e divergenti dei principali ideologi marxisti-leninisti, da Marx ed Engels che stigmatizzano e disprezzano politicamente “Il sottoproletariato, un’accozzaglia di istinti senza storia”, al possibilista Lenin “Il sottoproletariato, un possibile soldato della insurrezione proletaria”, fino al pragmatico-realista Mao Tse Tung “Il sottoproletariato, una componente di classe che esige una rigorosa direzione strategica”, per arrivare agli studiosi moderni del sottoproletariato: Frantz Fanon de I dannati della terra 12 e George Jackson13 e dello ‘Schiavo nero: una bomba innescata contro il fascismo imperialista’. La seconda parte contempla l’ ‘Intervista ai compagni dei Nap’, la cronistoria dell’attività, le azioni, le morti, gli arresti, le biografie di alcuni militanti ‘caduti’. Il ‘quaderno’ si conclude con la proposizione del ‘Comunicato N° 1 nel processo ai NAP iniziato a Napoli il 22 novembre 1976’. L’Unità, nella sua edizione del 30 maggio 1977 (pag. 3) gli ‘dedicò’ una velenosa recensione a firma Duccio Trombadori: “L’arsenale ‘teorico’ dei NAP”, con un occhiello esagerato: ‘Dietro le imprese criminali che hanno colpito il nostro paese’, ed un sommario improbabile, ma di stupefacente fantasia: “Una delirante prospettiva che affida ruoli di avanguardia rivoluzionaria a figure sociali di emarginati, di ‘non garantiti’, di detenuti – Il carcere come luogo privilegiato di formazione e di lotta per ‘portare l’attacco al cuore dello stato’ – I punti di contatto con l’area dell’ ‘autonomia’“. L’altra pubblicazione, edita come supplemento della rivista, è un giornale formato lenzuolo che titola “Sud, proletari in rivolta. Facciamo diventare il processo ai compagni dei N.A.P. base di partenza di un dibattito sulla lotta armata”, realizzato in concomitanza con l’apertura del processo di Napoli.
Così come il ciclo di lotte dentro/contro il carcere di inizio anni settanta aveva stimolato la strutturazione di apposite commissioni in seno alla sinistra ‘estrema’, con conseguente produzione di opuscoli, libri, rubriche giornalistiche attinenti la situazione carceraria; gli arresti di massa conseguenti allo svilupparsi e radicarsi di organizzazioni combattenti verso la metà degli stessi anni, e l’istituzione delle carceri speciali, hanno determinato la realizzazione e diffusione di numerosi ciclostilati, bollettini, riviste, numeri monografici contro l’istituzione totale per antonomasia. Ne ricordiamo alcune. Già nell’estate del 1975 a Milano viene dato alle stampe un bollettino con periodicità incostante: ‘Solidarietà Militante’. Informazioni del Comitato Internazionale di Difesa dei Detenuti Politici in Europa. Nell’inverno 1976 iniziano le pubblicazioni ‘Carcere Informazione’- a cura del Centro di Documentazione di Pistoia fino al n. 16; i nn. 17 e 18 appaiono come supplemento a Stampa Alternativa, così come il n. 19-20 (feb.-mar. ’79) in coedizione con ‘Senza Galere’- nonché ‘Carcere Oggi…e per conoscenza al Ministro di Grazia e Giustizia’ del Soccorso Rosso Milanese. A Livorno, il Collettivo Anarchico ‘Niente più sbarre’ edita il ciclostilato omonimo che, nell’ ultimo numero rintracciato (gennaio 1979) si trasforma in Bollettino del collettivo Anarchico di Livorno. A Torino, il comitato ‘Controsbarre’ diffonde il ‘Bollettino di informazione carceraria’, che poi (nov.-dic. 1977) pubblicherà ‘chiamiamo comunista…una società Senza Galere’, giornale del proletariato comunista detenuto. Numero monografico è ‘Carcere e lotta di classe’, del maggio 1976, ciclostilato in collaborazione tra la sezione torinese del Comitato Internazionale Difesa Detenuti Politici in Europa, Soccorso Rosso Milanese e ‘Solidarietà Militante’ di Trento. Ultimi due riferimenti: nel novembre 1976, a cura del Soccorso Rosso Milanese, viene stampato, per le Edizioni Ghisoni, “non bastano le galere per tenerci chiusi…” e, nell’ottobre 1978, Speciale Asinara. La settimana rossa. 19-26 agosto, 21-23 settembre 1978, Edizioni Anarchismo, Catania. Agli inizi degli anni ottanta iniziano, a Milano, le pubblicazioni de “Il Bollettino” del Coordinamento dei Comitati contro la Repressione.
I NAP. Storia politica dei Nuclei Armati Proletari e requisitoria del Tribunale di Napoli, a cura del Soccorso Rosso Napoletano, Collettivo Editoriale Libri Rossi, Milano, 1976
CHI PROCESSA CHI! Non si può processare la rivoluzione, Collettivo di Controinformazione Napoletano, Napoli, s.i.d.
Criminalizzazione e lotta armata, Quaderni d’informazione politica 1, Collettivo Editoriale Libri Rossi, Milano, s.i.d.
Processo allo stato, Quaderni d’informazione politica 2. Collettivo Editoriale Libri Rossi, Milano, 1977
Processo alla rivoluzione. La parola ai NAP, Quaderni d’informazione politica 3, Collettivo Editoriale Libri Rossi, Milano, 1978
Alessandro Silj, “Mai più senza fucile!”, Alle origini dei NAP e delle BR, Vallecchi, Firenze, 1977
Franca Rame, Non parlarmi degli archi, parlami delle tue galere, Alberto Buonoconto 7.8.1953/20.12.1980, F.R. Edizioni, Milano, 1984
Rossella Ferrigno, Nuclei Armati Proletari. Carceri, protesta, lotta armata, La Città del Sole, Napoli, 2008
Roberto Silvi, La memoria e l’oblio, Colibrì edizioni, Milano, 2009
Valerio Lucarelli, Vorrei che il futuro fosse oggi. Nuclei Armati Proletari. Ribellione, rivolta e lotta armata, Ancora del Mediterraneo, s.i.l., 2010
Bertolt Brecht, “Lode del comunismo” (1933) in “Poesie e canzoni”, Einaudi, Torino, 1975 ↩
a cura della Commissione carceri di Lotta Continua, Edizioni Lotta Continua, novembre 1973 ↩
Giulio Salierno, Autobiografia di un picchiatore fascista, Einaudi,Torino, 1976 ↩
Emilio Sanna, Inchiesta sulle carceri, De Donato, Bari, luglio 1970 ↩
Aldo Ricci, Giulio Salierno, Il carcere in Italia, Einaudi, Torino, 1971 ↩
Giulio Salierno, Il sottoproletariato in Italia. Per un approccio politico e metodologico al problema dell’alleanza tra classe operaia e ‘Lumpenproletariat’, Edizioni Samonà e Savelli, Roma, 1972 ↩
Carcere dello Stato di New York dove a seguito dell’assassinio, avvenuto il 21 agosto nel carcere di San Quintino, di George Jackson militante del Black Panther Party, il 9 settembre 1971 scoppiò una rivolta che fu per sedata con l’intervento di 500 militi delle varie polizie USA, che causarono 40 vittime e 200 feriti. Mentre molti dei rivoltosi sopravvissuti vennero picchiati e torturati ↩
Irene Invernizzi, Il carcere come scuola di rivoluzione, Einaudi, Torino, 1973 ↩
Memoriale redatto da Martino Zicchitella, Anarchismo, Anno II- n. 10/11, Edizioni La Fiaccola, 1976 ↩
Soldati e Di Rocco, torturati selvaggiamente avevano ‘parlato’ ma poi ritrattato. Erano in ‘sezione’ con i non pentiti, né dissociati, nda ↩
Sulla costituzione del Partito Guerriglia, sul suo manifesto di fondazione, sugli altri elaborati prodotti in carcere: ‘Il documentone’, ‘L’ape e il comunista’, ’Forzare l’orizzonte’, ‘La volpe e l’uva’, ‘Gocce di sole nella città degli spettri’, ‘Wkhy’, ‘Politica e rivoluzione’, torneremo più diffusamente nel prossimo articolo, quello che prende le mosse dalla riproposizione, ampliata e riveduta da Giorgio Panizzari, di ‘L’albero del peccato’ ↩
Franzt Fanon, I dannati della terra, Einaudi, Torino, 1962 ↩
I fratelli di Soledad. Lettere dal carcere di George Jackson, Einaudi, Torino, 1971; G. Jackson, Col sangue agli occhi. Il ‘fascismo americano’ e altri scritti, Einaudi, Torino, 1972. Il libro porta questa significativa dedica: “Ai giovani comunisti. Ai loro padri. D’ora in poi criticheremo l’ingiustizia con le armi” ↩