di Mauro Baldrati
Qualcuno ha lasciato accesa la luna nel bagno soltanto a metà, di Fabio Morpurgo, Transeuropa 2017, pp 250 € 13,60
E’ opinione diffusa che i racconti, in Italia, abbiano vita difficile. In molti si sono chiesti perché, ma non esiste una risposta certa. I lettori preferiscono il romanzo, forse come investimento, chissà.
L’editore Transeuropa ha appena pubblicato una raccolta di racconti di Fabio Morpurgo, che è al suo primo libro. Ma l’editore non si è accontentato di andare in controtendenza con la formula editoriale, ha infranto anche un altro enunciato, il titolo breve. La raccolta infatti si intitola Qualcuno ha lasciato la luna accesa nel bagno soltanto a metà.
Si tratta di racconti ambientati in Australia, dove l’autore ha vissuto a lungo, sospesi in una dimensione di mezzo tra il fantastico e il reale. Pubblichiamo un estratto del primo testo, dal titolo La strega dell’Oak Tree (MB)
“La porta tintinnò. L’aria umida s’intrufolò con una ventata e il rumore della pioggia ruppe la quiete incolore del negozio. Bert Jansch fu trascinato via dai propri pensieri. Guardò: c’era una figura minuta sulla soglia, il cappuccio calato sugli occhi e un grosso zaino sulle spalle. Subito sentì la porta richiudersi, e vide la figura far scivolare a terra il proprio ingombrante bagaglio e togliersi il giubbotto grondante d’acqua. Era una ragazza, i tratti un po’ spigolosi delle adolescenti che nascondevano lineamenti delicati, quasi volpini. Vestiva con dei pantaloni troppo larghi per le sue forme magre e indossava un bizzarro maglione verde scuro. I capelli castano chiari sembravano
tagliati da una mano inesperta, tenuti corti, a caschetto, in una di quelle pettinature che sarebbero andate trent’anni prima. Bert fu colpito dalla brutta cicatrice scura che portava sul viso, una ferita
che dalla bocca le risaliva lungo lo zigomo per fermarsi vicino a due occhi che si guardavano attorno incuriositi. La ragazza era bagnata dalla testa ai piedi, e si affrettò a liberarsi anche delle scarpe di tela che portava. Sedendosi a terra, si asciugò i piedi con un asciugamano che tirò fuori dallo zaino; lo fece con grande attenzione, passandolo tra le dita senza alcun imbarazzo.
– Ce le hai delle scarpe? – chiese a bruciapelo, nel rivolgersi a Bert.
– Dietro, da quella parte, – rispose lui dopo un attimo, vincendo l’iniziale sorpresa.
La ragazza camminò a piccoli passi molleggiati verso la parte opposta del negozio. Si mise a guardare distrattamente tra gli scaffali ed esaminò le scarpe da ginnastica esposte. Erano scarpe senza troppe pretese, e non ne erano rimaste che quattro o cinque paia. Ne prese un paio di un rosso accesso e passò un dito sulla suola della gomma. Si sedette per terra e provò a infilarsele.
– Roba economica, eh? – disse lei, mentre tentava di far scivolare il tallone dentro.
Il vecchio, con uno sguardo torvo, parve accorgersi di lei per la prima volta.
– Non entreranno mai senza calzini, – borbottò. – E fuori si bagneranno in meno di cinque passi, – aggiunse.
La ragazza non lo badò e ed ebbe ragione delle scarpe solo dopo aver lottato contro i lacci che, fino all’ultimo, tentarono di intrappolarle le dita. Era rossa in volto, ma parve soddisfatta. Ne godette i
frutti con un momento di riposo, prima di immergersi in una lunga riflessione sulle proprie estremità vestite a nuovo. Prese lo slancio battendo le scarpe le une contro le altre, si alzò e, per testare la rigidità delle suole, camminò a grandi passi intorno alla sedia dove era seduto il vecchio, senza curarsi di staccare gli occhi dai propri piedi nemmeno per un istante. Il suo vagare la portò di nuovo di fronte a Bert, che omaggiò con una piroetta rivolta allo specchio vicino al bancone e un paio di occhiate di sottecchi che volevano simulare il distratto giudizio di uno sconosciuto incrociato per strada. Per ultimo, da ferma, insistette nel muovere l’alluce più volte e tastò se le desse fastidio sulla punta. C’era la giusta dose di civetteria in ciò che faceva.
– Me le vendi al prezzo che c’è scritto? – chiese lei. – Ad Albany
ne ho viste un paio di uguali e le vendevano a quaranta dollari. Qua tu le vendi a quarantacinque, o almeno, così c’è scritto, non si capisce se sono per queste scarpe.
– Qua siamo a Denmark, – replicò Bert con un sospiro.
– Ma le scarpe sono le stesse, – insistette lei.
– Va bene.
Il vecchio scoppiò in una risata secca: – Ti fai mettere i piedi in testa da un’adolescente?
Bert gli rivolse uno sguardo seccato. La ragazza, raggiante per il nuovo acquisto, prese le vecchie scarpe che erano vicino allo zaino e le abbandonò dentro il cestino di fianco all’ingresso. Poi frugò nella piccola borsa che portava a tracolla e lasciò i quaranta dollari sul bancone. Erano tutte monete e banconote di piccolo taglio, e così non dovette darle resto.
– Posso aspettare qua che smetta di piovere? Non mi va di bagnarle, le ho appena comprate.
Bert annuì: un po’ di compagnia non gli dava fastidio. La vide accomodarsi a gambe incrociate in un angolo, vicino alla porta. L’attesa non la lasciava a suo agio e, dopo pochi minuti, insofferente, tirò fuori dallo zaino un album e alcune matite che dispose in cerchio attorno a sé. Bert la guardò tracciare prima qualche linea colorata sul foglio e allontanarlo per meglio ponderare la resa cromatica; poi si concentrò in un certosino lavoro che non riuscì a cogliere, riprendendo
e abbandonando i pastelli e mordendosi le labbra. Disegnava sempre più irrequieta, passava il dito indice sulla carta, cancellava, piegava la testa per decidere come continuare; si perdeva a guardare
fuori, la matita a mezz’aria, pronta a rubare un ritratto ai pensieri che i rivoli d’acqua trasportavano fino alla grata del marciapiede davanti all’ingresso, come se cercasse di riappropriarsi di qualcosa andato smarrito attraverso segni scapigliati e nervosi. Bert la osservò a lungo, impegnata in quelle semplici azioni che si susseguivano le une dopo le altre, fluidamente, senza sforzo, fino a che un feroce colpo di vento fece vacillare la porta e s’intrufolò nel negozio con un cupo ululare.
La ragazza si alzò in piedi, si stiracchiò e camminò fino al bancone, dove si sedette con un agile balzo.
– Sai cosa dicono di Seattle, negli Stati Uniti? – chiese a Bert.
Non si fermò nemmeno ad aspettare la risposta.
– Be’, no che non puoi saperlo, – lo anticipò. – Comunque là piove molto, è sulla costa ovest. È una bella città. Dicono che viverci è come stare assieme alla più splendida delle ragazze, solo che ha sempre il raffreddore. Buffo, come modo di dire, non credi? Un giorno vorrei andarci.
– Per ora dovrai accontentarti della solita pioggia, – rispose lui.”