di Marilù Oliva
Luca Ricci, I difetti fondamentali, Rizzoli 2017, pp.352, € 20
Il racconto, questo negletto ritenuto incautamente – e solo dai profani – meno impegnativo del romanzo, come se davvero si potesse fare una classifica delle forme letterarie. In un periodo in cui in pochissimi editori investono sul racconto, l’editore Rizzoli è andato controcorrente puntando su un libro composto da quattordici racconti.
I difetti fondamentali di Luca Ricci ha un epicentro, quello della scrittura, con tutti gli attori – attivi e passivi – che ne partecipano: autori, agenti, critici, e anche coloro che vivono dietro le quinte dell’industria editoriale: editor e redattori. I titoli dei racconti sono quasi tutti aggettivi o participi passati che alludono a qualche condizione fondante di un protagonista o di chi gli sta accanto: da Il rifiutato a L’invidioso, da Il manierista a Il folle, i difetti non sono altro che l’imperfezione, l’ossessione, il sogno inseguito e mai compiuto che si declinano a una dimensione, quella della scrittura e dell’editoria, che per sua stessa natura poggia su un basamento che ha la sostanza impalpabile dei sogni. Normale, dunque, che la figura dell’autore e di chi gli sta attorno venga restituita al lettore più nelle ombre che nelle glorie, ma senza dimenticare mai il compito nobilissimo che gli compete. Così, infatti, Luca Ricci ha dichiarato in un’intervista rilasciata a Vanni Santoni su Minima & Moralia:
«I difetti fondamentali è il tentativo di restituire un poco d’importanza, di preminenza, perfino di autorialità agli autori. M’interessava parlare di scrittori, sì, ma attingendo alla mia forza creativa primordiale, e a quasi null’altro. Ogni scrittore ha il diritto e il dovere di ricreare il mondo dal principio».
E dal momento che questo atto (ri)creativo permette di estendere i mondi, l’autore ne tratteggia diversi. Ne Il rothiano, ad esempio, un ambiente universitario vecchio stampo si erge quasi a personaggio petulante che non esita a fare mobbing, ne L’adultero, invece, il matrimonio viene scandagliato nelle sue prosaicità e nei suoi slanci poetici – ma le due polarità sono indissolubilmente connesse. Ne L’affittacamere – dove il protagonista è un aspirante scrittore che ha già accatastato bizzeffe di rifiuti editoriali – è stato scelto come scenografia un appartamento crocevia di turisti che non si accorgono dell’intrinseca decadenza delle stanze in cui soggiornano. E quando, tra questi, compare in maniera assolutamente casuale un potente agente letterario, lo scrittore-affittuario pensa di essere baciato dal destino e ardisce proporre il suo manoscritto. Anche se hanno un ruolo rilevantissimo, i desideri non sono l’unico motore di quest’opera. A volte si intersecano, come accade a chiunque lavori nel settore librario, con rabbie, frustrazioni, obiezioni, rifiuti. Come nel caso dell’editor che procrastina all’infinito la lettura di un manoscritto, mentre l’aspirante si ostina a sollecitarlo, ogni lunedì, creando un appuntamento che finisce col diventare prezioso per entrambi. La realtà della scrittura viene resa in maniera non esaustiva, ma senza dubbio completa e non manca l’allusione misogina. Infatti l’unica scrittrice che compare è La canonizzata, specchio veritiero di come viene percepita, da alcuni, l’immagine della donna-artista. Questa scrittrice scala le classifiche di vendita non in virtù della sua bravura (infatti non ha talento), bensì solo perché si fidanza con un potentissimo critico letterario, uno di quelli determinanti per il successo di un’opera. Ma la gloria avrà breve durata e per fortuna, pensa il lettore, amareggiato per le ingiustizie che aleggiano anche quando vanno a coprire un’altra ingiustizia.
Luca Ricci, autore pisano classe 1974, insegnante alla Scuola Holden e alla Scuola del Libro, ha ricreato – con una prosa originale ma che risente della lezione di Čechov e Murakami – un universo fittizio molto simile alla realtà, una parodia dove il fiele del mestiere, la ferocia delle ossessioni e il cinismo di alcune acutizzazioni vengono mitigati dalla passione sincera, profonda e dolcissima per la letteratura. Ma soprattutto per la vita e l’umanità che da quella si dispiegano, anche quando si crede che tutto sia perduto.