di Sandro Moiso
Leon Trotsky, La vita è bella, Chiarelettere 2015, pp. 74, € 7,90
Nella sua elegante e sintetica Premessa alla raccolta di testi di Leon Trotsky pubblicata da Chiarelettere, David Bidussa afferma che la perseveranza può essere definita come una virtù quando riguarda coloro che non cedono alla sconfitta e che non si adeguano al dettato dei vincitori. Mentre il contrario di tale perseveranza non può essere altro che l’indifferenza.
Nel leggere i testi riproposti nell’antologia, che coprono l’arco di una vita dal 1901 al 1940, ci si accorge che il leader bolscevico, fatto assassinare da Stalin nel 1940, perseverò sempre nel suo ideale di giustizia e nella speranza che un giorno l’umanità intera uscisse dallo stato di barbarie in cui i rapporti di produzione di stampo capitalistico e la tirannia tanto dello zar che del capitale (prima) e del partito stalinizzato e burocratizzato (dopo) sembravano relegarla quasi senza soluzione di continuità.
Ma era ferma convinzione di Trotsky che, per giungere a ciò, non sarebbe bastata soltanto una rivoluzione politica che coinvolgesse principalmente soltanto le sovrastrutture amministrative e di governo. Occorreva una rivoluzione profonda delle coscienze, dello stile di vita e della cultura. Dei singoli individui e della società nel suo insieme. Non ci si deve quindi stupire se all’interno dell’opera di Trotsky si possono individuare tanto testi riguardanti l’azione militare della rivoluzione quanto altri che si occupano dello stretto legame che intercorre tra arte, linguaggio e società.
Nel caso della presente antologia i testi spaziano dai consigli utili a raggiungere una maggiore dignità e a mantenerla attraverso l’osservanza di norme utili a tenere pulite le persone, gli oggetti e l’ambiente circostante (Attenzione alle inezie) a quelli che si occupano dei corretti rapporti tra le strutture amministrative del nuovo stato sovietico e i cittadini (Educazione e cortesia) o, più direttamente, di arte e letteratura (Per un’arte libera, scritto con André Breton nel luglio del 1938, oppure Il suicidio di Majakovskij, del 1930, o la lettera scritta alla figlia di Jack London nell’ottobre del 1937).
Proprio dal Marx più giovane viene tratta una citazione utilizzata nel testo scritto con Breton: “Lo scrittore deve certamente lavorare per poter esistere e scrivere, ma non deve scrivere per poter lavorare […] Lo scrittore non considera affatto i suoi lavori come mezzi […] Essi sono fini a se stessi, ma non per lui e per gli altri, tanto che egli sacrificherebbe alla loro la propria esistenza, se fosse necessario […]. La prima libertà della stampa consiste nel non essere un mestiere” .1
Una citazione che da sola basterebbe a riassumere la perseveranza di Trotsky, che caratterizzò tutta la sua vita, nel suo lavoro per una rivoluzione che fosse autenticamente socialista ed internazionale; sia quando sia era trovato in esilio a causa delle persecuzioni zariste sia durante gli anni gloriosi della lotta per l’affermazione rivoluzionaria nella guerra civile scatenata dalle armate bianche e dai paesi imperialisti contro la neonata Repubblica dei Soviet, sia ancora negli anni (i più duri) del suo esilio e della sua persecuzione voluti dal suo avversario ed ideatore della menzogna del Socialismo in un solo paese: Stalin.
Persecuzione che arriverà fino al suo assassinio, tentato più volte e concretizzatosi soltanto nell’agosto del 1940 in Messico, dove aveva trovato rifugio, ad opera di Ramón Mercader, un sicario ingaggiato ed addestrato dall’NKVD.
Ed è proprio pochi mesi prima della morte, nel febbraio di 1940, il testamento del grande rivoluzionario, nato nel 1879, da cui è stato tratto il titolo del libro qui recensito.
Respingendo ancora una volta le accuse infamanti e false con cui Stalin e i suoi servizi segreti avevano perseguitato ed eliminato gli oppositori del regime definiti come trotskisti, l’ex-artefice insieme a Lenin della Rivoluzione d’Ottobre afferma: “Per qurantatré anni della mia vita cosciente sono rimasto un rivoluzionario; per quarantadue ho lottato sotto la bandiera del marxismo. Se dovessi ricominciare tutto dapprincipio, cercherei naturalmente di evitare questo o quell’errore, ma il corso della mia vita resterebbe sostanzialmente immutato. Morirò da rivoluzionario proletario, da marxista, da materialista dialettico e quindi da ateo inconciliabile. La mia fede nell’avvenire comunista del genere umano non è meno ardente che nei giorni della mia giovinezza, anzi è ancora più salda”.2
Sopravvissuto a tutti i suoi quattro figli (di cui due assassinati da Stalin, una morta di tubercolosi e un’altra suicida), nello stesso testo ricorda l’amore e i quarant’anni di vita in comune con la sua compagna Natalia Ivanovna Sedova; così mentre scrive il testamento egli può chiudere con la seguente annotazione: “Natascia si è appena avvicinata alla finestra che dà sul cortile e l’ha aperta in modo che l’aria entri più liberamente nella mia stanza. Posso vedere la lucida striscia verde dell’erba ai piedi del muro, e il limpido cielo azzurro al di sopra del muro, e sole dappertutto.
La vita è bella. Possano le generazioni future liberarla da ogni male, oppressione e violenza, e goderla in tutto il suo splendore”.3
Si sintetizza in queste ultime, commoventi parole tutta la perseveranza di un rivoluzionario che ancora adesso le giovani generazioni dovrebbero conoscere di più. Benissimo hanno quindi fatto le edizioni Chiarelettere a ricordarlo con i dodici testi contenuti in questa breve, ma intensissima antologia.