di Simone Scaffidi
L’Avana. Tassisti. Il primo è un uomo simpatico sulla sessantina che ci porta dal quartiere 10 de Octubre alla stazione degli autobus Via Azul. Durante la mia usuale contrattazione per il prezzo del passaggio sbotta: «Coño vamos! Me pagas quanto quieres! Coño vamos!». Ce la caviamo con poco. Il suo rimprovero me l’ha immediatamente reso simpatico. Ci consiglia alcuni luoghi dell’isola da visitare. Compriamo i biglietti per Viñales, partiremo domani alle nove del mattino. Il secondo ci porta dall’autostazione fino ad Habana Vieja e ci scarica nei pressi del Capitolio. Lui è quindici anni che lavora come tassista, ci racconta del Che e ci consiglia alcune librerie economiche del centro. Tiene la mano sinistra sul volante e allunga la destra, afferra un quadernetto, me lo poggia sulle gambe e mi ordina di aprirlo. «Guarda un po’ da chi è firmata quella banconota ragazzo?». Tre lettere che sembrano sporgersi sull’orlo di un precipizio. Ci, acca ed e. A formare un semplice intercalare argentino: “che”. Dal 26 novembre del 1959 al 23 febbraio del 1961 il comandante Ernesto Che Guevara in persone assunse la presidenza del Banco Central de Cuba. Immagino quanto lo incomodasse quel ruolo, e quanto quell’informalità della firma lo avvicinasse a un fumettista. Uno che dopotutto, nonostante la Rivoluzione, fosse capace a non prendersi troppo sul serio. Oggi questi dieci pesos che ho in mano grazie a un tassista gentile non hanno nessun valore come moneta corrente ma è roba da collezionisti. Vorrei averli, li bramo, cerco di contrastare il mio malvagio spirito colonial-capitalista trattenendo qualsiasi proposta d’acquisto. E lui non apre bocca, mi guarda negli occhi e la stende in un sorriso. La bocca e la banconota. Poi parliamo del Venezuela e dell’esatta pronuncia di Simón Bolívar. Dove va e dove non va l’accento. Ci scarica davanti a una libreria poco fornita, come la maggioranza delle librerie che abbiamo avuto modo di visitare a La Habana. Sono tentato di comprare l’opera completa di José Marti, cinque tomi a soli due euro. Qui il mio potere d’acquisto è enorme, ma l’idea di camallarmeli sulla schiena per trenta giorni mi fa desistere.
Cocchi e gas. Improvvisamente la giornata dei tassisti si trasforma nella giornata del cibo e dei grandi acquisti. A un baracchino compro in pesos una pizza piena di formaggio, un pan con tortilla e un succo fresco di tamarindo. Passeggiamo per Habana Vieja e ritorniamo in Plaza del Cristo, al nostro bar preferito: El Chanchullero. La mia compagna di viaggio vorrebbe il piatto coi calamari ma purtroppo è mancato il gas in tutto il quartiere. Ci consoliamo con uno dei succhi di mango più buoni che abbia mai assaggiato e ritorniamo al baracchino di fiducia della pizza. Niente, anche qui manca il gas. Qualche passo più a est e finalmente, insieme al ritorno del gas, troviamo il nostro pranzo in Calle do Obispo. Lei un riso fritto discutibile e io – alla faccia del gas – mi strafogo con uno squisito gelato al cocco. Ordiniamo altri due cocchi. Estasi dei sensi. Li mangiamo in piedi per la strada vicino a un carretto ricolmo di arance.
Acquisti. In Plaza de las Armas, dopo aver contrattato con ogni commerciante e averla tediata con la mia eterna indecisione mi decido finalmente a comprare la biografia di Camilo Cienfuegos, el senor de la vanguardia. In un’altra bancarella acquisto un opuscoletto fotografico sempre su Camilo e la pubblicazione che fin dal primo giorno mi aveva impressionato e avevo desiderato: l’album di figurine con la cronistoria illustrata del periodo della Revolución che va dal 1952 al triunfo. Sono molto rammaricato di non ritrovare la signora con la quale avevo fatto amicizia il primo giorno, mi avrebbe fatto piacere omaggiare la mia prima amica cubana, così gentile e premurosa nei miei confronti. Ma così è. La vita è ingiusta. Prima dei grandi colpi editoriali le regalo un paio di bei sandali in pelle e acquisto un porta sigari per un caro amico. Facile fare gli splendidi.
La moneta con la stella. La gentilezza di un signore che lavora come portinaio del Museo di Scienze Naturali ci svela i segreti dei telefoni pubblici cubani. Questi infatti funzionano sì con un peso cubano, ma solo con quelle monete da un peso che hanno raffigurata la stella, con le altre no. Proviamo a contattare lo storico Froilan Gonzalez e dopo alcuni tentativi ci risponde il figlio Levian. Ci informa che il padre attualmente si trova in Messico ma ci invita ugualmente a passare da casa sua in serata. Ceniamo a El Chanchullero, questa volta c’è il gas e ci sono anche i gamberi. Io mi do inspiegabilmente all’alcool, sopravvalutando il mio stomaco vuoto. Comincio con un Catarro – visto il nome non potevo non provarlo –, proseguo con un Daiquiri – il cocktail preferito da Heminguey, vuoi non provarlo? –, e chiudo in bellezza con una Piña Colada magnifica e irrinunciabile. Risultato: io sono sbronzo e lei prova a convincermi ad asciugare con un pezzo di pane che rifiuto categoricamente di comprare.
La Cabaña. Altro giro, altro taxi. Destinazione La Cabaña, il luogo dove Guevara installò la sua Comandancia e dove all’indomani del 1° gennaio 1959 vennero giudicati e condannati a morte molti batistiani. Ogni sera nella fortezza ha luogo la cerimonia del Cañonazo. Un rito dal forte richiamo turistico che mette in scena la parata che precedeva il colpo di cannone che dava l’ordine di chiudere le porte della città di La Habana. La tradizione vigente nel diciannovesimo secolo prevedeva l’esplosione di una cannonata alle nove di sera in punto ed era stata introdotta dai colonizzatori spagnoli. La fortezza de La Cabaña è stata considerata per secoli una delle più inespugnabili di tutte le Americhe e ha tenuto fede alla sua fama: nessuno ha mai provato neppure ad attaccarla. Ora le mura della città non esistono più e la cerimonia, infarcita di un forzato folklorismo, sembra avere meno valore storico e più valenza spenna-gringos! Ce lo meritiamo. Sapevamo che non saremmo dovuti venire. Ci consoliamo con la vista su La Habana di notte e il venticello caldo che soffia dalla baia, il prezzo del biglietto è ripagato.
Guevara ci osserva. Siamo in ritardo all’appuntamento con Levian, saltiamo ancora una volta su un taxi per raggiungere casa Gonzalez. Insieme a Levian ci accolgono una montagna di ritratti del Che. Roberto mi aveva preparato dicendomi che la loro era una casa-museo interamente dedicata al rivoluzionario argentino, ed è effettivamente così. Addirittura Levian ci mostra un sacchetto pieno di terra, terra boliviana, del luogo dove sono stati ritrovati i resti del Che. Dopo una piacevole conversazione con Levian ci fermiamo ad ammirare le opere dedicate a Guevara, ce n’è per tutti i gusti: di classiche, di ingessate, di pop, di astratte. Poi Levian ci propone di vedere due corto-documentari girati da lui: il primo sui passaggi a Roma del Che e il secondo su Camilo, con una sua interessante testimonianza radio. Ci spaparanziamo sulle sedie a dondolo in legno. I due corti a tratti ridondanti non scavano troppo in profondità e rimangono un po’ in superfice ma sono testimonianze video dell’epoca molto affascinanti che Levian condisce di aneddoti e storie. È una bella visita, Guevara ci osserva da ogni angolazione possibile e immaginabile.
Altro giro, altro taxi. Questa volta destinazione casa. I nostri compagni di viaggio sono due ragazzoni a bordo della solita auto anni cinquanta semi-scassata. La musica è al massimo e la guida alquanto sportiva. Ci sembra di essere capitati in uno di quei video musicali caraibici. Arriviamo sani e salvi a destinazione. Domani si parte per le campagne dell’est e le piantagioni di tabacco: Viñales ci aspetta o siamo noi che la inseguiamo.