di Domenico Gallo
Il bar che era sull’angolo di Piazza Farini, a Carrara, aveva una sala sotterranea in cui i vecchi giocavano a carte. D’estate era fresca, almeno prima che i giocatori iniziassero a fumare, e io bambino trascorrevo in quella sala alcune ore delle mie lunghe vacanze degli anni Sessanta, con mio nonno e i suoi amici: dei vecchi che giocavano a carte, bestemmiavano e parlavano solo in dialetto. Il carrarino, il cararìn, è molto diverso dal toscano, elimina molte doppie, spesso elide la vocale in fondo alle parole, sostituisce le z alle c, insomma è un dialetto antico, aspro come le montagne mangiate dalle cave di marmo che distingue quella popolazione dalle confinanti, che ne esalta la diversità, l’autonomia, la durezza del lavoro. Briscola e scopa; mi sedevo dietro a mio nonno e guardavo. Sapevo giocare e seguivo i giri delle carte, a volte marcavo i punti, senza sbagliare, e ogni tanto mio nonno Gino mi rimproverava per qualche commento o espressione di troppo che avrebbe fatto intuire agli altri qualcosa dei suoi punti. Se non guardavo giocare, leggevo i miei primi libri e attendevo che la partita si concludesse. Erano tre amici. Mio nonno, Sandrino e Scolieri: gli Spagnoli.
Il fumetto più famoso dedicato alla Guerra di Spagna è stato Le falangi dell’Ordine Nero, disegnato da Enki Bilal sulla sceneggiatura di Pierre Christin. Pubblicato nel 1979 in Francia, esce a puntate sulla versione italiana di Pilot. La storia è ambientata alla fine degli anni Settanta quando un gruppo di volontari antifascisti che avevano militato nelle Brigate Internazionali si riunisce per combattere contro un’organizzazione di vecchi fascisti che sta compiendo stragi e attentati per tutta l’Europa. Il tema del ritorno alle armi è molto frequente nel periodo in cui il fumetto è stato concepito e ha animato tutta la cultura successiva alla Resistenza italiana ed europea, ma, nel caso della guerra civile spagnola, si carica di particolari valori di solidarietà tra gli uomini e le donne di diverse nazioni che avevano raggiunto volontariamente la Spagna per iniziare la lotta al fascismo. Il tono, spesso grottesco, di Christin e Bilal tende ad allontanarsi dalla realtà storica per descrivere il dramma di una generazione che ha trovato un senso solo nella guerra, anche se perduta. Inevitabilmente, la sconfitta di Spagna è la madre di ogni sconfitta, e la vittoria della Seconda guerra mondiale si è subito manifestata come parziale. Le falangi dell’Ordine Nero, tuttavia, hanno il valore storico importante di leggere l’ondata reazionaria e terrorista degli anni Settanta all’interno di una continuità che, a partire dalle esperienze fasciste europee antecedenti la Guerra mondiale, con molte trasformazioni, esiste politicamente ancora oggi. Inoltre presenta un modello di incontro tra culture diverse in cui, su entrambi i fronti, hanno cercato di costruire uno spazio di condivisione.
Li chiamava Spagnoli il cognato di mio nonno, il Comandante Ovidio Cupini, quando scendeva le scale e salutava i presenti. Tutti rispondevano al saluto chiamandolo Colonnello. Lo zio Ovidio mi intimidiva un po’, indossava sempre un completo elegante con il primo bottone della camicia aperto e fumava le sigarette infilate in un lungo bocchino. Mi dava una lieve carezza sulla testa e mi diceva “lezi”, “leggi”, e io continuavo a leggere i miei Salgari. Poi lo zio Ovidio si rivolgeva ai suoi compagni di carte e iniziavano a giocare a ramino. Era come se in quel fondo del bar ci fosse una differenza sociale che si esprimeva con il numero delle carte che tenevano in mano. Lo zio Ovidio era un benestante, laureato, e viveva in una bella casa a Monterosso, mio nonno aveva fatto cento lavori e viveva con una modesta pensione. Ramino contro briscola.
Vittorio Giardino ambienta le storie di Max Fridman nell’Europa del 1938 e descrive un continente che precipita verso la catastrofe, dove il conflitto di Spagna è solo una delle aree in cui si giocano gli equilibri che sfoceranno nella Guerra mondiale. Nella vicenda a fumetti Fridman viene descritto come ex agente dei Servizi Segreti francesi e combattente della XII Brigata Internazionale, la formazione che nel 1936 era costituita dal Battaglione Thälmann (tedesco), dal Garibaldi (italiano) e dal André Marty (franco-belga), che ha abbandonato nel giugno del 1937, a causa di una ferita. La storia prende avvio nel febbraio del 1938 a Budapest, in Rapsodia Ungherese, dove Fridman incontra Simon Roth, un compagno di battaglione che ha abbandonato la Spagna dopo di lui, e che gli racconta della fine di alcuni amici. “[Berlier] l’hanno fucilato (…) L’ha fatto fucilare Marty. Wollmauer c’è rimasto davanti a Huesca, Lentini a Madrid. Orwell s’è preso una pallottola nel collo”. Fridman, a proposito di Orwell, gli risponde: “So che se l’è cavata e sta scrivendo un libro. Ho letto che il POUM è stato liquidato e Nin è scomparso” (pag. 42). Roth è un membro del Partito Comunista, seppure in rotta di collisione con il dogmatismo e la violenza della stalinismo, mentre Fridman conferma la sua opposizione a Stalin e ai suoi metodi. Nel successivo, La porta d’oriente, Fridman ha una discussione in cui viene citato come amico di Arthur Koestler, e alla domanda “ha combattuto per i ‘rossi’?”, risponde “No, per la Repubblica” (pag. 17). Il protagonista è quindi descritto come un uomo che si dibatte tra l’espansione del fascismo che sembra inarrestabile e il cinismo delle potenze europee che lo tollerano, mentre l’Unione Sovietica di Stalin è solamente impegnata a ottenere l’egemonia sul movimento operaio europeo. L’avventura continua con il ritorno in Spagna nell’autunno del 1938, in un paese dove la situazione militare è compromessa proprio grazie al massiccio intervento del fascismo italiano. “Desaparecido”, “Río de Sangre” e “Sin Ilusión”, raccolti sotto il titolo di No Pasarán, sono i tre racconti che si svolgono durante la Battaglia dell’Ebro quando, nel tentativo di ottenere un intervento della Società delle Nazioni che imponga il ritiro delle truppe italiane dalla Spagna, il governo repubblicano annuncia lo scioglimento delle Brigate Internazionali e il rimpatrio dei volontari antifascisti. Dopo le giornate rivoluzionarie del maggio del 1937, la componente filo sovietica ha preso il sopravvento ed è in corso la repressione contro i combattenti libertari e trotzkisti. Fridman torna a Barcellona a cercare un amico scomparso, Guido Treves, un comandante vicino a Giustizia e Libertà. La ricerca si svolge mentre la pressione dell’esercito fascista è sempre più forte, la linea dell’Ebro è l’ultimo confine naturale che difende la Catalogna e a Barcellona si affollano i profughi, mentre le spie e i traditori della Repubblica si fanno più arditi. La ricerca di Treves si attorciglia all’indagine per individuare una spia che fornisce ai fascisti informazioni militari decisive ed eliminare un gruppo di terroristi che compie attentati e omicidi. Fridman si muove in un clima di sospetto dove i commissari politici e la Seguritad sono più importanti dei volontari che combattono al fronte. No Pasarán si sviluppa nel segno dell’ambiguità e di una verità che fugge e si maschera continuamente. Fridman percepisce su di sé la pressione della polizia stalinista, il sospetto e la diffidenza delle persone, lo scoramento del combattente che vede profilarsi la sconfitta.
Lo scontro è tra idealisti europei, che hanno visto nella Guerra Civile l’inizio di una “Lunga Resistenza” al fascismo che si concluderà nel 1945, e che aveva riunito sotto un unico fronte comunisti, socialisti, libertari, liberali e repubblicani, contro la concretezza dell’idea del partito guida, della proletarizzazione di ogni individualità, delle semplificazione di ogni idea, finalizzati a creare quel monolite politico che si identifica con il leader e che aveva in Unione Sovietica il riferimento naturale. La lotta tra queste due interpretazioni dell’antifascismo proseguirà lungo tutto il Novecento, ma nella guerra di Spagna ha trovato uno dei suoi più tragici momenti. La visione di Vittorio Giardino risente sia del resoconto personale raccontato da George Orwell in Omaggio alla Catalogna sia delle denunce allo stalinismo di Arthur Koestler, ma, nella conclusione, mette in gioco decenni di storia e storiografia spagnola estraendo la sua vicenda dalle forzature del mito dello stalinismo per scrivere in fumetti quello che la guerra è stata: un rapporto personale intenso, emotivo e violento tra le persone. Non deve quindi stupire questo orizzonte mobile che troviamo in tutte le storie in cui Max Fridman è protagonista, dove la grande Storia è sullo sfondo (come aveva magistralmente insegnato Hugo Pratt) e crea le condizioni in cui le individualità riescono a esprimere un’identità profonda che la vita borghese ha necessariamente soffocato.
Erano gli “Spagnoli” perché avevano combattuto per la Repubblica durante la Guerra di Spagna e, durante le carte, se i tre avevano trovato un quarto, spesso parlavano di quello che gli era accaduto solo trent’anni prima. Ascoltavo con interesse, come poteva farlo un bambino affezionato delle elementari, avendo un’idea vaga delle guerre che veniva dai rettangoli dei fumetti bianchi e neri della Super Eroica, e ignorando totalmente della guerra civile in Spagna. Un “lizatore”, un cavatore e un operaio di una segheria erano diventati all’improvviso soldati in terra straniera.
Il mito della Guerra di Spagna, dell’idealismo e dei tradimenti è alla base di una lunga storia di Mister No che comprende Vent’anni dopo, Terra e Libertà e Il traditore. Il personaggio era stato ideato nel 1975 da Sergio Bonelli (sotto lo pseudonimo di Guido Nolitta) e frequentemente sceneggiato da Alfredo Castelli, il creatore di Martin Mystère. Mister No è un giovane soldato segnato dagli orrori della Seconda guerra mondiale che abbandona la periferia di New York per trasferirsi in Amazzonia, dove vive una serie di avventure che lo oppongono al mondo criminale. Tipico eroe introverso dell’immaginario bonelliano, generoso e coraggioso, Mister No incarna un senso di giustizia profondo e, al contempo, anti istituzionale che è tipico dell’etica del fumetto di ogni epoca. Nella storia sceneggiata da Luigi Mignacco, dopo vent’anni di carcere per omicidio esce dal carcere suo padre, Jerome Drake. Il rapporto tra padre è figlio è decisamente complesso e segnato da due decenni di lontananza e dal peso inspiegabile dell’omicidio di un amico, un crimine che Mister No non può perdonare. Ma la vicenda storia riaffiora progressivamente con tutte le sue contraddizioni e dispiega le sue radici fino alle lotte sindacali statunitensi e la proliferazione dei comitati di sostegno alla Spagna repubblicana dell’epoca della prima rielezione di F. D. Roosevelt. Il padre di Mister No, un insegnante impegnato tra le classi più povere della metropoli, decide di affidare il figlio adolescente alla sorella per arruolarsi tra i combattenti antifascisti in Spagna. Storicamente statunitensi e canadesi si raccolsero nel Battaglione Abraham Lincoln e nel Battaglione George Washington della XV Brigata Internazionale, e la passione per la tragica repubblica spagnola, anche grazie alle pagine di Ernst Hemingway e John Dos Passos, era stato un sentimento popolare realmente diffuso e correttamente riportato in questo fumetto di creazione italiana. Seppure la vicenda eviti connotazioni politiche troppo evidenti, riducendo al minimo l’uso di termini del vocabolario comunista e antifascista, nella sostanza sono presenti tutti gli slanci ideali della visione alla Hemingway, il senso dell’onore e del sacrificio che caratterizza i volontari e che si amplifica e si esalta nel confronto con i traditori. Jerome Drake è il comandante dell’immaginaria Brigata Navajo e si fa coinvolgere nel piano per recuperare una parte dell’oro trafugato dalla Banca di Spagna. Il suo scopo è usarlo per finanziare l’acquisto di armi e rifornimenti per la sua formazione, particolarmente sofferente a causa delle scelte strategiche del comando repubblicano. Il gruppo si infiltra oltre le linee e finisce nella zona controllata dall’esercito italiano dove sono accennate le esecuzioni e le torture compiute da un inquietante religioso, Padre Agulia. Giunti nel nascondiglio dell’oro si scoprono le carte, un amico giornalista di Drake è in realtà un traditore che si è alleato ai fascisti italiani per impossessarsi del tesoro. Una serie di agguati e scontri a fuoco si concludono con la fuga del giornalista e dei fascisti, mentre Drake e alcuni sopravvissuti rientrano sconfitti nelle linee repubblicane. Al ritorno a New York si compie la tragedia, Drake, il traditore e una miliziana repubblicana della Brigata Navajo si incontrano. La donna uccide il traditore, ma Drake, l’idealista, se ne assume la colpa e sconta la condanna al posto di lei. Dopo vent’anni, sul modello de Le falangi dell’Ordine Nero di Bilal, la storia di Luigi Mignacco ripercorre il tema dei reduci e dell’ineluttabile destino dei combattenti di Spagna, della loro carica ideale e del cameratismo. Nella logica tipica delle storie della Sergio Bonelli Editore, in cui vengono rielaborati gli oggetti della cultura popolare, giocando con il lettore tra conoscenze preesistenti, didascalia, variazione e rideterminazione del senso, la storia di Mister No si caratterizza per una ulteriore rielaborazione di un immaginario spagnolo. Il gruppo di antifascisti che si ricostituisce alla ricerca dell’oro si arricchisce del capitano italiano che era stato loro nemico in Spagna. “Ma tu in Spagna non c’eri andato volontario, Marcovaldi?” chiede un personaggio all’ex fascista, “Soltanto per motivi di carriera. Dopo tre anni di quell’inferno, avrei gettato volentieri la divisa alle ortiche…” (pag. 59).
Nonno Gino, nel 1935, non aveva lavoro. Suo fratello Loris era morto; aveva avuto una lezione dei fascisti di Carrara per aver protestato in cava per la paga troppo bassa e per le ingiustizie nelle chiamate. Li avevano aspettati alla sera vicino al ponte del Carrione all’altezza di piazza Alberica e Loris non si era più ripreso. Gino non era iscritto al Partito Fascista e otteneva solo impieghi saltuari e malpagati. Vivevano di solidarietà, ma erano in troppi a Carrara ad aver bisogno della comunità. Un amico lo chiamò in Francia, a Perpignano, dove gli trovò un lavoro. Qualche soldo comincia ad arrivare a casa, ma, nel 1936, con i documenti francesi, Gino raggiunge Barcellona, “va a vedere cosa succede”; ci resterà per due anni.
Paco Roca, valenciano, è uno dei più importanti autori spagnoli di graphic novel. I solchi del destino inizia il racconto dalla grande tragedia di Alicante quando, alla fine di marzo del 1939, migliaia di profughi, soldati e antifascisti sono ammassati sulle banchine del porto in attesa di una nave per sfuggire alla cattura da parte delle camice nere italiane che avevano accerchiato la città. Molti di loro scelsero il suicidio per sfuggire alle torture e alle esecuzioni di massa, e solo pochi riuscirono a imbarcarsi e abbandonare Alicante, anche se nessuna nazione europea intendeva accoglierli e la marina militare italiana incombeva su di loro per affondarli. Nel fumetto, un giovane Paco incontra un veterano spagnolo della Guerra civile e della Resistenza francese, e ripercorre con lui tutta una vita a partire dall’episodio storico del viaggio della carboniera Stanbrook da Alicante verso Orano. Gli episodi successivi al termine della Guerra civile sono stati spesso sottostimati e distorti, letti e riletti attraverso le necessità immediate della politica, filtrate da strategie riguardanti la propaganda anticomunista, la necessità di attenuare le responsabilità italiane riguardo ai crimini del fascismo perpetrati in Italia, in Spagna e in ogni nazione europea e africana, l’opportunismo e le indecisioni della Francia e della Gran Bretagna, i crimini compiuti dalla Germania nella sua campagna di sradicamento di ogni forma di marxismo. In questo senso I solchi del destino svolge anche un’operazione di ricerca storica e riemersione della verità riguardo al dramma spagnolo che riguardò oltre un milione di persone, oltre alla sorte dei combattenti antifascisti italiani e tedeschi che non potevano ritornare in patria. Miguel Ruiz, il protagonista, diventa così il paradigma di una storia sommersa, negata, di cui non si occuparono né Hemingway né Holliwood e che si svolge tra il Nord Africa e i campi di prigionia francesi.
Come molti suoi compagni repubblicani, Ruiz, giunto a Orano, è costretto a rimanere sulla Stanbrook alcuni mesi; gli uomini vengono separati dalle donne e dai bambini, e alla fine sono costretti a scegliere tra essere rimpatriati, arruolati nella Legione Straniera o avviati ai campi di lavoro. La maggioranza scelsero i campi di lavoro dove, a un regime già molto duro, dopo la sconfitta francese e il l’instaurarsi del governo collaborazionista del Maresciallo Petain, si sostituisce la logica dell’eliminazione fisica dei prigionieri. La conquista alleata dell’Algeria offre ai prigionieri spagnoli la possibilità di riprendere a combattere; arruolati per nell’esercito francese per loro è l’occasione di riprendere concretamente la lotta al fascismo. I quadri militari francesi sono anticomunisti se non filo-fascisti, e il fumetto dedica molto spazio alle umiliazioni che i soldati spagnoli e gli antifascisti di altre nazioni europee dovettero subire. Come racconta il fumetto di Paco Roca, fu “La Nueve”, appartenente alla Seconda Divisione blindata comandata dal Generale Leclerc, la prima a entrare in Parigi, il 25 agosto del 1944. Era composta principalmente da repubblicani spagnoli, per lo più anarchici, e sulla carrozzeria dei loro blindati erano scritti i nomi “Madrid”, “Guadalajara”, “Brunete” e “Guernica”. Avevano deciso di combattere il fascismo ovunque si trovasse e lo fecero lungo tutta la Francia. Nella storia de I solchi del destino, liberata Parigi, Miguel Ruiz propone il problema fondamentale della liberazione della Spagna dal fascismo e della ripresa della guerra. Storicamente, il 19 ottobre 1944, antifascisti spagnoli e partigiani francesi penetrano nella Valle d’Aran, nei Pirenei spagnoli, e iniziano a combattere una breve guerra contro le truppe franchiste. Solo 18 giorni dopo sono costretti a ritirarsi. Nessuna nazione alleata li ha aiutati.
Sandrino e Scolieri raggiunsero il loro amico a Barcellona. Uno dei due era già in Francia a lavorare, l’altro riescì ad arrivare clandestinamente, dopo qualche mese. Nessuno aveva fatto il servizio militare, ma, consigliati da dei tranvieri, si arruolarono nella milizia della CNT. Niente nei loro discorsi, interrotti dall’astuzia delle carte o dall’arrivo dei bicchieri di vino, aveva una prospettiva politica o di critica a quegli avvenimenti, non parlavano di storia, erano solo racconti di episodi quotidiani che avevano vissuto assieme, ricordi. Parlavano solo delle cose che avevano visto. Nomi di luoghi che, più avanti negli anni, mi suonarono familiari studiando la storia e la geografia, come Madrid, Toledo, Saragozza, l’Ebro, i Pirenei, il Fronte d’Aragona.
Verdad di Lorena Canottiere è una storia disegnata in maniera molto personale, con colori essenziali e tratti decisi. Scorrendo avanti e indietro nel tempo racconta la storia di una ragazza, Verdad. Con questo nome la madre ha voluto ricordare la comune anarchica e naturista di Monte Verità, in Svizzera, in cui aveva vissuto. Coerente con il suo nome, Verdad raggiunge nel 1936 gli anarchici a Barcellona e si arruola nella Colonna Durruti. Mentre tenta di collocare un ordigno in una fortificazione fascista, rimane ferita e perde un braccio. Nel momento della dissoluzione dell’esercito repubblicano, decide di non fuggire in Francia e si nasconde in montagna, in una grotta. Vive con un animale selvaggio per diverso tempo, nascosta, rubando poche cose che le servono per sopravvivere, fino a quando non prende la strada dei Pirenei sperando di trovare ancora i propri compagni a Tolouse.
Lo zio Ovidio era stato anche lui in Spagna, con l’esercito fascista pur dichiarandosi antifascista, poi, in qualche modo, era risultato disperso e aveva passato il fronte, ritrovando i suoi cararrini. Ma lo zio Ovidio aveva uno stile tutto suo di vivere la storia; verso la fine della guerra civile aveva ripassato il fronte e, in qualche modo, non fu fucilato. In compenso si fece la guerra in Africa, Grecia, Yugoslavia e Unione Sovietica. Raccontava, sogghignando,che speravano che qualcuno lo uccidesse.
Negras tormentas e altre storie raccoglie tre fumetti in bianco e nero del catalano Alfonso Font con testi di Juan Antonio de Blas e Victorio Mora. Font è un disegnatore importante che in Italia ha pubblicato su L’Eternauta, Lancio Story, Skorpio, Totem e Comic Art. Il titolo della raccolta richiama le prime parole dell’inno scritto nel 1933 da Valeriano Orobón Fernández per il sindacato libertario Confederación Nacional del Trabajo, la CNT. La prima storia è ambientata nel 1923, a Barcellona, e costituisce una precisa quanto avventurosa ricostruzione delle tensioni sociali che precedono la Guerra civile. Un giornalista indaga su un traffico d’armi che dalla Spagna dovrebbe trasferire delle mitragliatrici al Partito Nazional Socialista dei Lavoratori Tedeschi, la formazione di estrema destra diretta da Hitler che sta preparando un golpe in Baviera. Ma le armi interessano anche agli anarchici di Buenaventura Durruti, che stanno combattendo una lotta molto violenta contro i pistoleros della Patronal, i mercenari pagati dagli industriali per eliminare i sindacalisti e i lavoratori più combattivi. Queste tensioni che conducono a una prima reazione della destra spagnola con l’imposizione del generale Miguel Primo de Rivera come primo ministro. La Spagna si avvia così a una crisi economica sempre più dura, che vede aumentare la differenza tra ricchi e poveri. “La Broma”, invece, è ambientato durante la Guerra civile. Un gruppo di repubblicani al fronte si imbatte nella sconcertante miseria del popolo e la guerra assume una forte immagine antiretorica. “E tu cosa hai fatto per la vittoria?” è una frammentaria storia d’amore tra un graduato dell’esercito fascista e una donna della milizia repubblicana. Si conoscevano da bambini, ma non erano mai riusciti a esprimere la reciproca tenerezza. La guerra li fa incontrare, prima lei prigioniera umiliata dai falangisti, denudata e rasata a zero, poi lui, catturato sul fronte dell’Ebro come spia. Nonostante il loro amore, la donna non esiterà a sparargli per impedirgli portare a termine la sua missione.
I tre “spagnoli” passarono il confine dei Pirenei prima dell’esodo di massa della Retirada; grazie ai documenti francesi evitarono il campo di prigionia e tornarono a lavorare tra Perpignano e Montpellier, almeno fino alla caduta della Francia. Da mio nonno sentivo parlare del Nord Africa, del Portogallo e di un mercantile verso gli Stati Uniti su cui non si imbarcò, un mercantile che sarebbe affondato nell’Atlantico. Di quegli anni di guerra spagnola ricordavano il caldo e il freddo, la fame, la mancanza delle munizioni che gli impediva persino di sparare a un coniglio. Sandrino, comunque, era sempre allegro e parlava più degli altri, sempre rosso in volto; era lui che tirava sempre fuori i fascisti e raccontava delle battaglie. Io, per anni, ho pensato che parlassero della Resistenza, e Spagna e Italia mi si erano confuse in testa. La Resistenza la conoscevo sin dalla prima elementare, il maestro Fazio ne parlava spesso e in palestra, ogni anno in primavera, proiettavano Achtung, banditi!.
All’interno del difficile dibattito che la società spagnola ha affrontato sul tema della memoria della Guerra Civile e della dittatura franchista, e a cui hanno partecipato sul fronte della narrativa scrittori molto importanti, il fumetto sta dimostrando oggi un impegno sempre maggiore attraverso storie che mescolano l’esperienza personale al grande quadro politico e purtroppo ancora inedite in Italia. Un volume molto interessante è la versione a fumetti dello storico saggio di Paul Preston, La Guerra Civile Spagnola. Il volume illustrato da José Pablo García, La Guerra civil española e pubblicato nel 2016, è già arrivato alla quarta edizione. La versione a fumetti è un’opera divulgativa e didattica molto riuscita che parte dalla descrizione dell’eccezionale ingiustizia sociale della Spagna antecedente al 1931, per arrivare a descrivere nel capitolo finale “La paz di Franco” il colossale apparato repressivo e di annientamento dei repubblicani che si dispiega a partire dal 1939 e che agirà indisturbato fino alla morte del dittatore.
Di quei discorsi che ascoltai distratto per anni, tra giornalini e romanzi d’avventure, dapprima sfocati e poi, grazie alla storia che studiavo a scuola, sempre più nitidi, non ricordo che si fossero mai definiti esplicitamente anarchici, si dichiaravano socialisti. Il loro però era un socialismo anacronistico, libertario e utopistico, antico, come se a Carrara qualcuno avesse rifiutato la scissione del 1921 e la storia si fosse fermata al Biennio rosso o alla fine dell’Ottocento. I tre Spagnoli erano senza rancore, non si portavano dietro le divisioni tra stalinisti e anarchici. Un loro amico che faceva il quarto alle carte si chiamava Menconi ed era comunista del PCI.
El ángel de la Retirada, di Serguei Dounovetz e Paolo Roca, e pubblicato nel 2010, si pone come I solchi del destino all’interno della ricerca storica e del problema del ricordo. Una ragazza francese di Béziers, figlia di emigrati spagnoli, ricerca le proprie origini e scopre le vicende della Retirada e del campo di prigionia di Argèles sur Mer dove oltre 100.000 profughi spagnoli furono reclusi nella spiaggia cintata da filo spinato (Si veda il libro fotografico Augustí Centelles, La maleta del fotógrafo e il saggio Pietro Ramella, La Retirada). Anche Le Convoi del belga Denis Lapière e del catalano Eduard Torrents, pubblicato nel 2013, è una storia di riscoperta delle origini, a dimostrare quanto l’inumana lunghezza della dittatura ha represso soprattutto l’identità culturale e storica della Spagna. Una donna, ancora una volta residente in Francia, a Montpellier, è costretta viaggiare all’indietro, attraverso le confessioni della generazione che ha vissuto la guerra, per sapere la verità della propria identità. Il ricordo della traversata invernale dei Pirenei, dalla strada de La Jonquera fino a Le Perthus, dove i soldati francesi impedirono il libero accesso alla popolazione braccata dai fascisti spagnoli e italiani, poi del campo di Argèles, l’infierno, riaffiorano uno dopo l’altro. Ma la storia della famiglia si estende fino a Mauthausen, in Austria. Con la sconfitta della Francia, nel 1940, il milione di spagnoli prigionieri e affamati diventa ostaggio dei collaborazionisti francesi e dei loro padroni nazisti. Molti fuggono dai campi, andando a costituire, con gli italiani, i primi gruppi della Resistenza francese, altri saranno deportati nei campi di sterminio. Lager come quello di Gours, nei Paesi Baschi francesi, fu svuotato dagli spagnoli e dai combattenti antifascisti per diventare un campo di transito per gli ebrei. La storia di Le Convoi si chiude sabato 20 novembre 1975; “Franco ha mort” scandiscono increduli quei passanti di Barcellona che si sentono finalmente liberati.
“Dei sanguinari”, così una volta si espressero riguardo a certi loro compagni spagnoli, un discorso oscuro, forse censurato a causa della mia presenza; e poi parlavano di francesi e inglesi che erano stati loro commilitoni. Nonno Gino mi parlò più volte dell’esperanto e di come aveva imparato un po’ di parole di tutte le lingue, e poi concludeva che gli uomini sono tutti uguali, che non erano le nazioni a renderli differenti; la lingua era il vero problema.
Los fantasmas di Ermo di Bruno Loth è probabilmente la serie che meglio descrive la situazione popolare del 1936. Loth è un autore francese che predilige le storie molto lunghe, seguendo i suoi personaggi nella vita quotidiana e tessendo un reticolo di rapporti molto complesso. La serie è dedicata a Ermo, un bambino orfano che vive in strada e che segue una compagnia di girovaghi catalani, e ai suoi fantasmi, straordinarie entità che lui è in grado di vedere e che in molte occasioni aiuteranno lui e la lotta antifascista. La storia fantastica ha momenti grotteschi, paradossali e, contemporaneamente, di grande tragicità e realismo. Le vignette sono basate su un numero ridotto di colori (bianco, nero, i grigi e i rossi) e i tratti dei personaggi sono caricaturati e descrittivi del ruolo che i personaggi hanno nella storia, buoni o cattivi, fascisti, comunisti o libertari. Ermo segue tutte le vicende dei girovaghi che, nell’atmosfera rivoluzionaria di Barcellona, diventano un teatro autogestito dedicato a Michail Bakunin, in cui la vocazione dell’artista è trascinata a fondersi con quella del guerrigliero. La storia inizia descrivendo lo stato di prostrazione dei contadini sottomessi al potere dei ricchi e del clero, alle violenze delle squadracce fasciste chiamate alla difesa dei privilegi, per passare alla descrizione del colpo di stato del 18 luglio e alla reazione popolare che, in molte città, è riuscita a sconfiggere l’esercito. La storia di Ermo si incrocia con i grandi temi della guerra, come il tentativo di militarizzazione delle milizie popolari e la volontà di Durruti e dei libertari di mantenere viva questa esperienza di progresso che ha visto le donne assumere un ruolo determinante. La storia si chiude il 23 novembre con i funerali del comandante Durruti, “la última esperanza” scrive Loth, dedicando vignette molto belle alla fine di una persona il cui mito è, ancora oggi, così forte.
Lo zio Ovidio finì la sua lunga guerra come comandante della formazione Ceci, sui monti apuani dietro a Carrara. Il nonno Gino era stato con lui d’inverno, sull’Appennino Tosco-Emiliano, a Rigoso, poi era sceso a Carrara e si era unito alla S.a.p. Renato Macchiarini della F.A.I. Nell’aprile del 1945 anche i suoi viaggi erano finiti.
Alfonso Zapico è un autore spagnolo molto conosciuto all’estero, soprattutto per i fumetti dedicati a James Joyce. La balada del norte, di cui è uscito solo il primo volume, inizia nel 1933 e segue l’evoluzione rivoluzionaria di una comunità di minatori delle Asturie. Il fumetto è in bianco e nero, e offre toni molto drammatici descrivendo sia la vita misera e faticosa delle famiglie operaie sia quella degli opulenta imprenditori. Entrambi vivono sulla stessa terra, apparentemente vicini, ma ciò che li lega è solo lo sfruttamento. Zapico descrive l’evolversi della coscienza dei minatori fino all’esplosione sindacale che richiede le armi per non essere schiacciati dalla repressione padronale. Storicamente nel 1934, le forze unite di anarchici, comunisti e socialisti asturiani avevano dato vita alla Uníos Hermanos Proletarios e, con una rivolta armata, avevano sconfitto l’esercito e proclamato la Repubblica Socialista. La repressione fu affidata al Tercio des Extranjeros, le truppe marocchine comandate da Franco. L’esperienza asturiana si chiude in un bagno di sangue, le milizie padronali che avevano affiancato l’esercito, sul modello fascista, si accanirono contro la popolazione distinguendosi per la violenza e le esecuzioni sommarie.
Crescendo, le mie discese nella sala del carte di piazza Farini si fecero più rare. Mio nonno mi aveva regalato la bicicletta e io lo raggiungevo a partita finita. Trascorrevo da solo la mia vacanza a Carrara, un po’ pedalando sui monti, in giro per la Versilia in cerca di vecchi Urania o con il mio amico Bruno Baccelli, che condivideva con me la passione per la fantascienza. A fine pomeriggio trovavo mio nonno davanti al bar, da solo o con gli altri due Spagnoli, vicino alla statua di marmo del cinghiale. Procedevamo assieme verso casa, in salita per Monterosso, e io spingevo la bicicletta; ci fermavamo da un vinaio, dove beveva un bicchiere di bianco delle Colline del Candia prima di cena. Mi chiedeva fin dove ero arrivato con la bici, e mi prendeva in giro se arretravo davanti alla salita di Castelpoggio.
Las damas de la peste è un fumetto di Javier Cosnava e Rubén del Rincón del 2014 che si presenta con una grafica molto dinamica in bianco, nero e giallo, e alcuni spunti grafici della scuola dei manga. È la storia di tre donne che attraverso la rivolta delle Asturie, la Guerra civile, la Seconda guerra mondiale e il ’68 francese concepiscono e praticano la propria emancipazione. Fe è una giovane che segue il fratello nella rivoluzione asturiana e sceglie la strada ideale della giustizia e della solidarietà, Speranza è una giovane suora rinchiusa in convento dalla famiglia benestante per piegare la sua identità omosessuale, Caridad è un’insegnante, una donna colta e sensibile che lotta contro i ruoli a cui la società tradizionalista prova a costringerla. Per tutte e tre le lotte sociali e la guerra sono l’occasione per esprimere se stesse in libertà
Mio Nonno morì alla fine degli anni Settanta, qualche mese prima mi aveva consegnato la sua eredità. Una baionetta ossidata e una mostrina metallica scheggiata rossa e nera con la scritta in oro “BATALLON DURRUTI”. Scolieri e Sandrino erano al suo funerale; silenziosi mi diedero una carezza sulla testa. Lo zio Ovidio morì pochi anni dopo.
Bibliografia
- Enki Bilal e Pierre Christin, Le falangi dell’Ordine Nero (Les Phalanges de l’ordre noir, 1979), Fabbri-Daugard, Milano, 1983.
- Lorena Canottiere, Verdad, Cocconico Press, Roma, 2016.
- Augustí Centelles, La maleta del fotógrafo, Península, Barcelona, 2009
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Il testo è stato precedentemente pubblicato su Studi Interculturali 3/2016. Dipartimento di Studi Umanistici, Università di Trieste, www.interculturalita.it