di Simone Scaffidi

p1110036-copiaL’Avana. Museo de la Revolución. Svegliati da un’acquazzone tropicale facciamo colazione con uova, latte, caffè e toast. Eloy ha un vassoio in mano, un buongiorno tra i denti e un sorriso stampato poco sopra. Piove a dirotto, è il giorno giusto per visitare il Museo de la Revolución. Un amico di Eloy che fa il tassista ci accompagna fino in centro. Si chiama Juanito e ci fidiamo subito di lui e dei suoi consigli. Il museo è tradizionale e celebrativo e ha sede nell’antico Palacio Presidencial. Ripercorre la storia di Cuba e de la Revolución dal 1953 ai giorni nostri attraverso una quantità innumerevole di foto affascinanti e vari cimeli, tra i quali spiccano le divise con le toppe cucite del 26 de Julio, storici articoli di giornale e documenti originali scritti di pugno da Fidel, dal Che, da Camilo Cienfuegos, da Frank Pais e da molti altri. Fu Celia Sanchez che raccolse i primi materiali che diedero vita al museo. L’area all’aperto ospita il carro armato utilizzato da Fidel durante l’offensiva controrivoluzionaria della Baia dei Porci e il celebre Granma, lo yatch con il quale 78 esuli cubani, accompagnati da un illustre argentino, un italiano (Gino Donè Paro) , un domenicano e un messicano sbarcarono sulle coste della Provincia d’oriente e diedero fuoco alle polveri della Rivoluzione. Altri reperti bellici circondano il Granma: un cingolato con disegnata una stella rossonera con la scritta “26 Julio” in bianco e un aereo pilotato da un militare statunitense durante l’invasione della Baia dei Porci (1961). Nella didascalia esplicativa leggiamo che il governo degli Stati Uniti per ben 19 anni non ha richiesto il corpo del militare caduto per non ammettere la propria implicazione nel tentativo di colpo di stato contro Cuba.

p1110081Gelato. Finita la visita camminiamo verso l’università e ci dirigiamo senza esitazione a Copelia, la gelateria più popolare di L’Avana. Prima di partire per Cuba ci siamo visti Fresa y Chocolate, il bel film di Tomás Guitiérrez Alea, nel quale i due protagonisti, in una celebre scena, mangiano il gelato seduti nel patio della gelateria. Per arrivarci penetriamo nel cuore di L’Avana percorrendo il Centro: davanti a noi si aprono scenari di guerra, case sventrate e strade divelte, ma anche colori e musica di tamburi dalle finestre. Le strade sono piene di gente. L’Avana va scoperta a passo lento, ogni angolo sembra parlarti e obbligarti a riflettere. Non smettiamo di stupirci per le automobili “d’epoca” che sfrecciano per le vie polverose, comete tossiche che si si lasciano alle spalle una scia di tuoni e nuvole nere. I polmoni tremano al rombo dei motori. Copelia è un posto magnifico e incredibilmente accogliente. La fila è lunghissima, ci sorprendiamo quando ci accorgiamo di essere gli unici stranieri e ce ne rallegriamo. Il gelato costa all’incirca 20 centesimi di euro al piatto. Un piatto di gelato è composto da quattro palle di gelato. Non c’è cubano che ne prenda uno soltanto, minimo due a testa. I tavoli sono coperti di piatti e contenitori di plastica. Noi facciamo lo stesso: ne prendiamo rispettivamente tre e due. Non riusciamo a capire l’utilità dei contenitori di plastica ma poi osserviamo e comprendiamo. I cubani si portano da casa i contenitori, poi ordinano cinque o sei piatti a persona, che moltiplicato per quattro palle di gelato, fa tra le 20/25 palle, si mangiano due o tre patti e i restanti li rovesciano nei contenitori, se li portano a casa e li conservano per i giorni successivi. Insomma come fosse gelato d’asporto. Da Copelia il gelato è “statale” e molto economico. Come ci spiegherà Eloy la sera l’80% dei gelati in circolazione sono vendibili soltanto in CUC e sono quindi molto più cari di quello di Copelia. Il restante 20% invece è venduto in peso cubano (moneda nacional). E di quel 20% Coppelia è di gran lunga il maggior azionista.

p1110138Gelato sociale. Discutiamo di giustizia sociale, fanno bene a inculare i turisti con la storia dei CUC pensiamo, chi può permettersi di pagare il gelato di più dovrebbe pagarlo di più. Le belle parole rimangono belle parole, noi la fila l’abbiamo fatta coi cubani e il gelato lo paghiamo in pesos come loro. Solo dopo ci siamo accorti che c’era una corsia preferenziale per gli stranieri, meglio così, se vuoi mangiare il gelato subito, non fai la fila e lo paghi come in Europa. Noi non ci sentiamo turisti, non vogliamo esserlo, nel bene e nel male.

Tramonto. Sta per tramontare il sole, siamo nel quartiere del Vedado, non lontani dal Malecon, il lungomare di otto chilometri che abbraccia e protegge l’Avana. Lo raggiungiamo. Fra noi e il mare soltanto rocce, la spiaggia non c’è. Sono le sette e mezza, il tramonto è immenso. Ci convinciamo che lo sia davvero. Le tinte arancioni, blu e gialle sembrano non volerne sapere di lasciare il campo al nero della notte. Ma poi accade l’inevitabile e l’oscurità ha la meglio. Dall’altro lato della strada si apre Plaza Tribuna Anti-Imperialista che sfida con la sua toponomastica il palazzo di vetro della Unites States Section, la non-ambasciata degli Stati Uniti in terra cubana, che però, in pratica, ricopre le medesime funzioni di un’ambasciata. Anche a Washington c’è una roba del genere cubana. È presidiata tutta intorno dai militari, disposti a pochi metri di distanza l’uno dall’altro lungo il perimetro. Voglio vederla da vicino la Us Section e allora senza esitazioni mi butto in mezzo alla strada sfidando il grande stradone a quattro corsie che separa il mare dal palazzo di vetro. I militari cominciano a fischiare con insistenza e mi intimano con ampi gesti di tornare indietro. Mi fermo in mezzo alla strada, tentenno e poi rapidamente ritorno sul lato del mare ancora senza capire. Pensavo di poter attraversare quella strada e camminare sul marciapiede opposto ma non è così. Riprendiamo la passeggiata sul Malecon con un po’ di spavento. Ci chiediamo se abbiamo rischiato la vita. E ci rispondiamo che con ogni probabilità non è successo. Dopo una cinquantina di metri mi siedo sul muretto che dà sul mare nero, ormai fusosi col cielo. Ma il fischietto attraversa inesorabile la strada e ci invita a continuare a camminare e non fermarci.

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Rum per ragazze. Torniamo a casa stravolti. Ci accoglie Eloy con un bicchiere di rum. «È un nuovo tipo – dice – un rum dolce, un rum per le ragazze, meno forte». Ci racconta che in Spagna hanno iniziato ad importarlo, che hanno comprato l’intera produzione della ex fabbrica Bacardi che ora si chiama Santiago. Ci racconta che Bacardi era cubano e la fabbrica pure, ma dopo il ’59 si è “trasferito” negli Stati Uniti e il marchio in seguito è stato comprato da statunitensi. Ma la vera fabbrica Bacardi, assicura Eloy, è rimasta a L’Avana.

Sistema politico VS sistema economico. Eloy ha diversi lavori, tra cui uno in questa fabbrica e un altro come installatore di para fulmini. Si è occupato anche di turismo. Deve arrangiarsi e saper fare un po’ tutto, non per sopravvivere, sottolinea, questo è già garantito a chiunque dallo Stato, ma per vivere meglio. Il sistema politico funziona, dice, è quello economico che non va. Con Raul sono cambiate delle cose, Fidel si è incaponito sul politico tralasciando l’economico. Ma di politica non si campa senza un buon sistema economico, ripete. Chiacchieriamo a lungo tra un cicchetto di rum “da ragazze” e un sorriso di Olguita, sua figlia. Ha quattro anni e mi racconta dei suoi amiguitos de la escuela e di come sa fare bene il verso del gatto. Non finisce di dirmelo e già miagola un sorriso furbo.

Acqua. Oggi l’acqua per lavarsi non c’è. Eloy dice che ha piovuto troppo e la gente non è andata a lavorare e per questo non è stata garantita l’acqua. Ma ora, continua, le cose vanno molto meglio, negli anni novanta durante il Periodo Especial l’elettricità era razionata: quattro ore di elettricità e quattro ore no.

Spazi bianchi. Quante cose non sto scrivendo di questa bellissima conversazione. I sigari cubani Cohiba costano un sacco di soldi, il rum ce lo procura lui in fabbrica e i sigari pure se li vogliamo. L’Avana ci piace sempre di più. Proxima estación: Plaza de la Revolucion.