di Massimo Spiga
[È da pochi giorni in libreria la nuova opera di Massimo Spiga, Paradox, romanzo di “fantascienza anarchica”, che spazia tra viaggi nel tempo, guerriglia urbana e James Joyce. Ne proponiamo l’incipit].
1999. Stavano sulla strada tutto il tempo, come i cani. Talvolta, per noia o per fame o per rabbia, sbranavano il primo coglione di passaggio.
Il vagabondo sputò i denti e si aggrappò a una grondaia per rialzarsi dal suolo. Il giocattolo si era rotto, così i fasci lo congedarono con un calcio allo stomaco e si allontanarono. Il poveraccio si piegò, vomitò grumi di sangue, si risollevò a stento e scomparve tra le torme di indifferenti.
Perla odiava quel posto. Odiava la puzza, il chiasso, i morti senza nome che si radunavano negli appartamenti sfitti per sfondarsi di Roba. Odiava il mercato nero sulle strade, in cui le strette di mano avevano valore di contratti e l’anima degli uomini si pesava in grammi. Sui marciapiedi si poteva acquistare qualsiasi cosa: sesso, speranza, morte, lusso, rispetto, amore. Per qualche fuggevole momento, chiunque poteva scordare se stesso e perdersi nel proprio vizio preferito. La scoperta più spaventosa, per molti, era comprendere che null’altro era loro concesso in questa vita.
La città vecchia fu costruita alla fine dei ’60, in una devastante campagna di speculazione edilizia; il risultato fu un tappeto di cemento, intessuto per spazzarci sotto i detriti umani della metropoli. Non era così antica come implica il nome, ma nelle sue vene nere pompava un sangue così marcio da sembrare millenario. Entro i suoi confini, il fiume del tempo non scorreva in avanti, ma in circolo: le generazioni si succedevano compiendo sempre e comunque gli stessi errori; i ruoli chiave rimanevano costanti, sebbene interpretati da volti diversi. Un’intera comunità asservita alla santissima Trinità nella sua forma più quintessenziale, il Verbo. Nella fattispecie: bevi/fuma/fotti.
Perla strinse al petto la busta della spesa e varcò le soglie dell’affollatissimo bar di quartiere. Nonostante tutto, era un’istituzione locale che la bambina accettava in maniera quasi inconscia. All’Alacran Y Pistolero, le liti duravano il tempo di due pinte e tutti erano troppo storti per mentire in modo convincente o portare rancore. Nella sua immaginazione, il bar aveva la stessa funzione del confessionale, era illuminato dallo Spirito Santo: una terra in cui il leone e l’agnello potevano convivere in pace, zona neutra in un quartiere militarizzato dalle lame degli affamati e degli avidi. Il proprietario salutò Perla con un cenno, per poi servire l’ennesima birra annacquata a un muratore. Il barista era un eroe locale; la strada lo chiamava Enzo, Delinquenzo o Mister Spazzaneve, a seconda dell’occasione. Dopo la galera, aveva cominciato a spaccarsi il culo al bancone, in attesa del momento in cui avrebbe gustato il frutto di quegli onesti anni di sobrietà e disciplina. Al momento, però, la sua attenzione era calamitata dal padre di Perla: si era pisciato addosso di nuovo, svenuto sotto un tavolo. Vestito, come tutti i giorni, con una giacchetta smanicata in jeans, Zappa (perché nessuno ricordava il suo nome di battesimo) viveva il sogno del rocker, e quest’attività consumava ogni sua energia. Born to be wild, incespicava attraverso i giorni tra trucchetti, da lui sempre definiti «imprese» o «avventure», per scroccare soldi ai gonzi. I suoi amici, seduti al tavolo, continuavano a giocare a carte come nulla fosse. Zappa sbronzo sotto il tavolo aveva, per loro, la rasserenante costanza di un quadro, remoto e senza tempo, mentre il mondo circostante ribolliva.
La bambina salutò i giocatori e posò sul tavolo la busta della spesa. Si avvicinò al padre, gli infilò una mano in tasca, aprì il portafogli, sfilò le poche banconote presenti. Non lo considerava un furto, ma un mero rimborso per i generi alimentari che si trascinava dietro. Mentre usciva dal locale, incrociò lo sguardo mortificato di Enzo. La piccola fece un’alzata di spalle. Si soffermò a fantasticare sull’arredamento pacchiano simil western dell’Alacran Y Pistolero. La TV appesa al muro trasmetteva un vecchio film. Un generale dei tempi andati, in punto di morte, chiedeva a due cowboy di far saltare un ponte per fermare un massacro insensato. Perla concordò con il generale. L’unico modo per salvare la città vecchia è il tritolo.
Varcata la soglia, quasi fu stirata da due fessi in scooter. Le sfrecciarono davanti, eseguendo una goffa impennata. Erano compari di suo fratello. Si schiantarono su un cassonetto poco dopo, ridendo per tutto il tempo; pupille gonfie di bamba e neanche un pensiero al mondo.
Perla attraversò la strada ed entrò nel suo palazzaccio. Salì le scale, tenendo gli occhi sui gradini; era sua consuetudine evitare di incrociare lo sguardo dei magri notturni di passaggio. Sapevano essere imprevedibili, specie se a secco di contante o Roba, cioè quasi sempre. Arrivata al secondo piano, salutò ad alta voce la zia Lili. La porta di casa della donna era sempre aperta. Stravaccata su un divano, Lili steccava fumo e lo depositava su un tavolino di vetro dall’aspetto orientale. Chiacchierava di calcio con un adolescente pallido. Perla sentì la voce ovattata dello zio levarsi dalle interiora dell’appartamento: cantava sotto la doccia, e quel rantolo neomelodico riecheggiava debolmente per la tromba delle scale.
Lili le fece cenno di avvicinarsi e le allungò cinquantamila lire. L’adolescente, seduto di fianco, salutò Perla alla maniera dei surfer e si congratulò con lei per la grana, sottolineando il concetto con una pacca sulla schiena.
«Quanti anni hai, per guadagnare così tanta pilla?» disse il secco.
«Undici,» rispose lei.
«Vedrai da grande, allora…»
Lili gettò uno sguardo complice all’adolescente e sorrise. Tutti e tre sapevano che, da grande, Perla non avrebbe guadagnato o fatto proprio nulla. Nella migliore delle ipotesi, avrebbe cagato una nidiata di balordi pronti a consumarle le ossa e spezzarle il cuore. Fin dalla prima infanzia, la sua vita non era stata segnata dalle sirene delle favole, ma da quelle per la casanza. La bambina ringraziò la zia con un piccolo inchino e continuò la scalata fino al quinto piano.
Massimo Spiga, Paradox, Acheronbooks 2016, pp.307, € 13,75 (€ 4,50 eBook)