di Diego Leandro Genna
– È un sistema destinato a fallire.
– È già fallito.
– Per questo siamo obbligati a inventare delle soluzioni.
– E dobbiamo farlo prima possibile, o sarò troppo tardi.
– Siamo qui, spetta a noi cominciare il cambiamento.
– Va prospettato un altro sistema di valori. Dobbiamo dismettere l’impalcatura della società capitalistica, abbandonare il concetto di sviluppo economico e di benessere legato al consumo di massa, sfrenato e compulsivo.
– Liberare la felicità dal denaro. Liberare il tempo dal lavoro. Liberare l’uomo da se stesso.
– E interrompere lo sfruttamento di risorse, di beni, di servizi, di cose, di esseri, di tutto… Crescere in altro modo.
– È questo il punto, la prospettiva di crescita.
– Occorre progettare piani di sviluppo solidale, sviluppo umano, culturale, emozionale… Cambiare completamente rotta. Disinnescare questa spirale di autodistruzione. Cambiare abiti e abitudini. Fermarsi, soffermarsi, meditare un’evoluzione che conduca verso altre realtà.
– Senza barriere, senza muri, senza disuguaglianze, senza competizione, senza interessi privati, senza confini territoriali, senza pregiudizi.
– Una nuova società, dove sia prediletta la concordia alla lotta, l’inclusione all’emarginazione, l’aiuto all’indifferenza, dove ciascun individuo collabori attivamente alla creazione di un mondo nuovo, nel pieno rispetto e in totale armonia con il pianeta che ci ospita.
– Cominciando da subito.
– Trovare il modo per far entrare in contatto l’umanità con se stessa e con la natura che ci circonda. Un legame intimo e profondo, un contatto animista, spirituale, un punto di unione onnicomprensivo.
– Che in fondo c’è già, perché siamo legati a livello biologico, genetico, da qualcosa d’innato.
– Giusto! E qual è l’istinto primordiale che ci accomuna tutti?
– La sopravvivenza.
– Esatto. Il cervello funziona con un meccanismo selettivo che filtra le informazioni privilegiando quelle utili alla nostra sopravvivenza. Il problema è che la realtà è influenzata dai pochi che hanno il potere di imporre la propria di visione del mondo e della vita agli altri, rendendo tutti ciechi. Basterebbe capire questo per dare inizio a un grande cambiamento.
– Pulire e purificare le porte della percezione, come ha già detto qualcuno…
– Spalancarle! Svelare che non c’è differenza tra dentro e fuori, e chiunque può percepire la natura esterna come interna, appartenente al proprio stesso essere.
– E tutto apparirebbe all’Uomo come è…
– Infinito! Proprio così… Si sprigionerebbe un inarrestabile sentimento di condivisione, di unione con la natura e con tutti gli esseri viventi in essa.
– A quel punto sarebbe inevitabile la comprensione dell’altro, a prescindere dalle attitudini di simpatia o antipatia e da ogni giudizio morale. Sarebbe una comprensione naturale, spontanea. Una comprensione simbiotica.
– Ecco! Bisogna costruire qualcosa su queste basi, investire su questi progetti…
– Un ponte empatico! Una grande opera d’interconnessione. Un tempio che sia anche il mezzo, la via stessa per oltrepassare la cortina d’individualismo che ci separa l’uno dall’altro.
– Bello! Un ponte empatico.
– Riscoprire la telepatia!
– Ottima idea! E in questo la tecnologia potrebbe venirci in aiuto. Immagina un mondo in connessione telepatica, qualcosa simile a internet, una rete con libero accesso, di condivisione dei contenuti a livello mentale, un sistema cognitivo aperto e universale, una grande mente collettiva dalla quale ognuno può attingere.
– E al contempo contribuirne alla crescita.
– La comunicazione sarebbe totale, poiché tutti sarebbero emittenti e destinatari.
– Le macchine stesse potrebbero funzionare in empatia con il nostro sistema nervoso. Tu pensi a una cosa e la macchina lo fa per te.
– Geniale!
– Sarebbe tutto più facile. La conoscenza collettiva favorirebbe l’immediata emancipazione, la povertà e l’ignoranza sarebbero spazzate via in un soffio.
Il mozzicone di candela si spense in quel momento. I due rimasero in silenzio. Un buio compatto sigillava la notte. Se fossero stati più giovani e con una bottiglia di whiskey a fargli compagnia, avrebbero continuato a sognare per tutta la notte, aspettando che le prime luci dell’alba estinguessero le loro fantasticherie. Ma erano anziani e, con l’artrosi che li intrappolava, non potevano permetterselo. Si alzarono dal bordo della banchina, a stento, mettendosi prima in ginocchio, poi, una volta in piedi, si voltarono e in pochi passi raggiunsero la loro nicchia di cartoni e pezzi di legno raccattati lungo il fiume. Si ficcarono dentro il sacco a pelo senza aggiungere nulla. Il fiume era quasi immobile. Un ratto risalì la sponda passando accanto al loro giaciglio. Non c’era luna. I due anziani si addormentarono cullati dal ritmico pulsare della notte, il gorgoglio di sottofondo della città, come un enorme gatto che faceva le fusa raggomitolato sopra le loro teste.
Erano convinti che soltanto con la loro immaginazione potessero cambiare le sorti del pianeta. Per questo ogni notte, prima di addormentarsi, inventavano mondi migliori.
Finché avrebbero avuto la forza di sognare si sarebbero sentiti vivi.