di Sandro Moiso
Si erano giocati tutto, convinti di vincere.
Hanno stravolto i vertici delle TV di Stato per impedire qualsiasi infiltrazione di dubbi sulla bontà della loro proposta politica ed economica. Hanno contribuito a cambiare anche i direttori di testate giornalistiche della Destra per accaparrarsene i favori. Hanno mentito, falsificato i dati economici e della Storia. Hanno portato in palma di mano camorristi e mafiosi e i progetti delle grandi opere inutili che più stavano loro a cuore.
Hanno insultato, denunciato, perseguitato, minacciato, coperto di infamia chiunque manifestasse il desiderio o anche solo l’idea di opporsi al loro progetto concentrazionario. Hanno promesso contratti pubblici che non contengono null’altro se non ulteriori fregature per i lavoratori. Hanno promesso denaro che non avrebbero mai avuto il coraggio di sequestrare davvero e in quantità adeguata per bonificare territori devastati da un’industrializzazione priva di regole.
Hanno preso per il culo milioni di giovani, lavoratori, disoccupati, inoccupati, pensionati sull’orlo del baratro con promesse inutili, ridicole e d offensive. Hanno riportato in auge i fasti mussoliniani e cercato di ridare fiato alle leggi promulgate tra il 1923 e il 1926.1 Hanno chiamato immaturi gli elettori che non la pensavano come loro. Hanno dichiarato che in alcuni casi è preferibile l’autoritarismo ad una democrazia che non giunga a realizzare i progetti della finanza internazionale e dei suoi lacchè.
Hanno mobilitato sessantottini putrefatti, lottacontinuisti venduti da decenni al miglior offerente, filosofi da strapazzo che discettando di moltitudini e populismi non hanno mai detto una parola chiara su ciò che occorreva davvero fare in questo referendum, spingendo così molti fiduciosi antagonisti a rincorrere stracci di ideologia e di bandiere come gli ignavi di Dante, senza nemmeno rendersi conto di ciò.
“Hanno” ho ripetuto, non “ha”.
Perché il bullo di Firenze non è stato altro che un pupazzo nelle mani di J.P. Morgan e dei grandi conglomerati finanziari. Prima di tutto questo, ancor prima che un rappresentante dell’europeismo. Sbandierato a tutto spiano per peggiorare le condizioni di esistenza e di lavoro di milioni di persone ancor prima che per rispettare alcune semplici norme di civiltà che pure in altri paesi ancora sussistono.
Un burattino sempre più disarticolato, petulante, odioso e animato dalle mani di altri che, almeno questo, alla fine hanno dovuto metterci la faccia: i grandi organi di informazione, finanziari e non; i banchieri di ogni nazionalità e risma; i giornalisti televisivi e i guru dell’informazione; i padri del Trattato di Maastricht; i grandi detentori di capitali già in fuga da anni e i manager capaci soltanto di trasferire la produzione e i marchi italiani all’estero.
Non vale la pena di citarli uno per uno, non per l’aberrante abitudine di usare il pronome “loro” dietro cui spesso si nascondono complottisti e seminatori di confusione che semplicemente servono da fasullo contraltare a coloro che abbiamo fin qui elencato, ma perché un antico e autorevole concittadino dell’ormai ex-primo ministro ci avrebbe suggerito: “non ragionar di loro, ma guarda e passa”.
Sono stati sepolti insieme al loro miserevole e piagnucoloso rappresentante.
E non lo sono stati dall’indicazione di partiti e movimenti sempre più contraddittori e opportunisti.
Non sono stati sepolti da una generica “ondata di destra”.
Sono stati respinti, cacciati, seppelliti da coloro che pensavano di aver ormai in pugno. Da coloro che pensavano di aver ormai completamente soggiogato, intimorito e piegato. Quelli che un’informazione ormai indegna di questo nome non sa che definire “populisti”. Ma questi “populisti” hanno votato, dal Sud al Nord.2
Sono tornati ad usare uno strumento di democrazia elettorale per sconfiggere l’antico e il morente. Come nel 1974, ai tempi del referendum sul divorzio e con risultati elettorali identici: 59% contro 41%. Soltanto che, paradossalmente, allora si era al culmine di una stagione di lotte che non aveva e non ha più avuto paragoni dal secondo dopoguerra ad oggi. Una stagione in cui le formazioni politiche di sinistra e di estrema sinistra si illudevano di avere un ruolo dirigente, mentre non erano altro che una funzione delle lotte in corso. Così come oggi gli sconfitti di cui non abbiamo fatto il nome, se non in un caso, non sono altro che una funzione del Capitale.
Non è stato colpito il cuore del sistema o, come diceva un tempo qualche formazione poi sconfitta dalla storia, dello Stato. Capitale e Stato non hanno un cuore o un centro, con buona pace di chi si ostina a seguire le vicende del Club Bilderberg o della Trilateral. Stato, club, grandi fondazioni internazionali sono anch’esse niente altro che funzioni del processo di valorizzazione del Capitale.
Un processo che, dopo aver fatto vittime e causato distruzioni in tre quarti del mondo per continuare ad ampliarsi e rimanere in vita, oggi è ritornato, con le conseguenze della globalizzazione e tutta la sua ferocia, là dove tutto era iniziato, nel cuore dell’imperialismo: Europa e Stati Uniti.
Ma lì ha resuscitato la sua nemica di sempre, la lotta di classe che, come l’Eroe mitico dai mille volti, gli si oppone in tutti i modi possibili: leciti e illeciti, dichiarati o confusi, pacifici e violenti, cinici e/o comunitari. Lì sta il nuovo. E lì è sempre stato.
E’ quello che Marx definì come “comunismo”: “il movimento reale che abolisce o stato di cose presenti”. Quello stesso Marx che, insieme al suo pari Engels, commise il suo errore più grossolano proprio nel Manifesto del Partito Comunista.
Laddove sull’onda dell’entusiasmo per le lotte di liberazione nazionale del 1848 europeo finì con l’attribuire meriti progressivi eccessivi ad una borghesia che non li aveva. Non li aveva perché ovunque li avesse avuti li aveva svolti sotto la spinta implacabile di masse anonime e diseredate che premevano e rappresentavano con la loro azione la rivoluzione sociale. Masse e compiti che avrebbe poi tradito subito dopo, appena si fossero placati i fervori rivoluzionari. A partire proprio dall’aprile del 1848 o del 1948, se vogliamo ricordare il tradimento e la sconfitta dell’unico movimento che abbia realmente dato origine all’attuale Costituzione italiana: quello armato e popolare resistenziale.
Ma quell’errore interpretativo di Marx ed Engels ancora si riflette nei vacui giudizi odierni sull’immaturità di coloro che si oppongono ai progetti “più avanzati” del Capitale. Nell’accusa di “conservatorismo” affibbiata tanto ai giovani che negli Stati Uniti hanno votato per Sanders come agli operai che hanno votato per Trump. La Modernità e il Progresso sembrano essere stati definiti una volta per tutte dalle necessità del Capitale e del suo Stato Nazionale e in tale chiave continuano a leggerla tanto i renziani ed i loro padrini, quanto le infinite sette di sinistra (da Lotta Comunista ai bordighisti, passando per tutte le sfumature del variegato microcosmo pseudo-marxista).
Ma questo voto non appartiene a nessuno. Lo ha detto bene Alessandra Daniele nell’articolo che precede questo. Non si illudano la Destra, la Lega, il Movimento 5 Stelle, la Sinistra del PD ed istituzionale di aver avuto davvero qualche merito nell’esito di questo voto. Certo, là dove ha vinto il Sì, Toscana ed Emilia, Massoneria e affarismo legato alle Coop hanno avuto qualche peso, ma non più sufficiente per governare un intero paese. Ed è anche straordinario lo scarso peso che Camorra e Mafia hanno avuto nel voto del Sud.
Si sono ormai troppo radicate nel Nord finanziario ed industriale per poter pesare ancora troppo sulle regioni meridionali. In compenso il tessuto sociale del Nord è risultato essere più restio ad accettare le infiltrazioni mafiose nelle più normali attività quotidiane. Occorre dirlo: c’è un mondo di persone per bene, nel senso migliore della definizione, soprattutto giovani, che non ci sta più ad accettarne i dettami. Né al Nord né al Sud e ciò costituisce una novità di non poco conto nella attuale economia politica. Soprattutto nella Napoli di Luigi de Magistris (che, non dimentichiamolo, alla manifestazione nazionale dei movimenti contro il No a Roma ha parlato dal palco insieme a Nicoletta Dosio), dove probabilmente sta succedendo qualcosa di inaspettato e positivo.
I giovani non hanno votato per lo Young Pop, così come era stato definito dalla rivista Rolling Stone. E se dopo la Brexit la propaganda mediatica aveva insistito, qui in Italia, su un voto espresso da vecchi delusi contro giovani speranzosi, il voto referendario ha invece dimostrato che la maggior parte dei Sì è arrivata da un elettorato di età superiore ai sessant’anni. Pensionati impauriti, militanti incartapecoriti e risparmiatori benestanti poco propensi a significativi cambiamenti sociali. Volevano la maggioranza silenziosa? L’hanno avuta. Ottenendo così il paradossale risultato che il giovane ed aggressivo rottamatore ha potuto, alla fine, far conto soltanto sull’elettorato più anziano.
Allo stesso tempo, però, l’analisi del voto ci dice che anche in Toscana il Sì ha trionfato a Firenze e ad Arezzo, ha vinto a Pistoia, Prato e Siena ma non nelle province di Pisa (dove ha sostanzialmente pareggiato) e di Lucca, Livorno, Massa e Carrara (dove ha vinto il No). Così pure il Sì ha vinto in Alto Adige, dove forse sarebbe ora di pareggiare i conti con la Storia, rimediando alla conquista italiana successiva alla Prima Guerra Mondiale e rendendo quei territori alla legittima nazione austro-tedesca. Poi stop e ben vengano le foto dei comitati per il No festanti in Piazza Maggiore a Bologna dove, per una volta è stata zittita l’anima pidista del capoluogo delle Coop, nonostante il risultato locale.
Analisti politici e giornalisti asserviti cercheranno di attribuire percentuali di voto ai vari partiti o a Renzi, quasi si trattasse di proprietà private da spartire oppure di feudi divisi, come in Afghanistan, tra vicerè filo-occidentali locali privi di qualsiasi potere effettivo se non quello di rimanere rinchiusi nei loro fortini protetti da mercenari. Se questo è il disordine che alcuni temono ed altri minacciano ben venga. Per dirla con Mao, e almeno per una volta lasciatemelo fare, “grande è la confusione sotto il cielo: la situazione è eccellente”.
E non ci commuoveranno le lacrime e i discorsi patetici sulla famiglia e sul giocattolo rotto dei due Giulietta e Romeo delle tenebre dell’ormai ex-governo: ci muoveranno soltanto allo sghignazzo . Sì, proprio così, seppelliti da una colossale risata. In faccia al potere, ai fantocci del capitale e alle sue bamboline di pezza.
Ora arriveranno però le manovre e le minacce “più feroci” per intimorire ancora l’opinione pubblica e l’elettorato infedele. Le più prevedibili riguarderanno:
1) La minaccia del governo tecnico: quasi che del 2011 in avanti tutti i governi abbiano potuto essere qualcosa d’altro. Soprattutto l’ultimo.
2) Le banche. In un contesto in cui i piccoli risparmiatori sono già stati messi a dura prova dai provvedimenti europei (il bail in) e dalle spericolate operazioni di salvataggio messe in atto dal governo ai danni dei primi (Banca Etruria per citarne solo una), la minaccia che Monte dei Paschi possa saltare a seguito del voto appare davvero inutile e ridicola. Visto che, come affermano gli analisti finanziari, per MPS si tratta di “O tutto o niente. Non ci sono mezze misure nell’operazione di messa in sicurezza del Monte dei paschi di Siena, per come l’hanno pensata e organizzata i banchieri d’affari americani della JP Morgan in tandem con i super tecnici di Mediobanca. O tutti i pezzi del puzzle si incastrano al posto giusto e il Monte può ricominciare a crescere, oppure l’operazione di rafforzamento del capitale da 5 miliardi di euro salta e si dovrà ricorrere al tanto evocato spettro del bail in che prevede il sacrificio obbligatorio di azionisti e obbligazionisti della banca fino a un massimo di 13 miliardi di euro (l’8% di 160 miliardi di passività della banca). Come si è arrivati a questa situazione? I passaggi chiave risalgono al luglio scorso quando, a fronte di crescenti richieste da parte della Banca Centrale Europea sulla necessità di mettere in sicurezza del Monte dei Paschi, il premier Matteo Renzi, dopo numerose consultazioni in sede europea,ha scelto di non far intervenire lo Stato nel capitale della banca e dunque non procedere a un bail in, lasciando che la banca si affidasse alle cure di JP Morgan e Mediobanca. Insomma ha preferito la soluzione “privata” a quella “pubblica”, anche in seguito alle rassicurazioni che ricevette personalmente da Jamie Dimon, il gran capo del colosso americano, in un incontro riservato a Palazzo Chigi alla presenza di Vittorio Grilli, ex ministro del Tesoro del governo Monti e ora capo europeo proprio di JP Morgan”.3 Mentre le 8 banche a rischio di cui ha parlato il Financial Times nei giorni precedenti il referendum lo erano già prima, e da molto tempo.4
3) La gestione dei profughi e la difesa dei loro diritti davanti all’Europa. Certo, oggi che i “diritti umani” sembrano aver soffocato qualsiasi altra argomentazione,5 il governo Renzi sembrava essere il campione internazionale dei diritti umanitari. Bastava soltanto dimenticare non solo gli spropositati interessi delle Coop rosse e bianche nella gestione dell’”emergenza” (Buzzi e Carminati insegnano), ma anche il fatto che tale governo, impegnato nella Nato e impregnato di interessi petroliferi, è stato sempre comunque fautore di nuove guerre (Libia) e di spericolate alleanze con le forze che già sono alla base delle guerre che producono miseria , distruzione e profughi. Ma si sa, l’ipocrisia del potere non ha limiti.
4) Questioni quali: contratti , pensioni, promesse. Come dire “parole, parole, parole, soltanto parole”. Vuoti e fraudolenti, come quello per il pubblico impiego oppure autentici ladrocini a danno dei lavoratori come la proposta pensionistica denominata APE (unicamente destinata a favorire, ancora una volta, le banche). oppure le favolose proposte di lavoro per i giovani contenute nel job act e nell’uso dei vaucher per l’impiego.
5) La scomparsa di una sinistra di governo. Evviva! Considerato che è sempre stato questo tipo di Sinistra ad aprire le porte alla Destra e all’oppressione di qualsiasi autonoma iniziativa di classe e/o di lotta contro l’attuale modo di produzione. Con le parole odierne di Marco Damilano, vicedirettore dell’Espresso, “Con lui c’è il suo partito, il Pd, azzerato da una campagna elettorale one-man-show e ora di nuovo dilaniato dalle divisioni. La maggioranza di Renzi non esiste, né sui territori né nel Paese e forse neppure in Parlamento. La minoranza Pd nella società italiana è ininfluente. Il partito ridotto a comitato elettorale dell’americano Jim Messina, il guru che ha fatto perdere tutti i suoi clienti, ha perso ogni contatto con la realtà”. La marmaglia che ha circondato Renzi nel suo governo continua a blaterare di un 40% di votanti che lo avrebbero sostenuto per poi sostenerlo ancora in futuro. Nossignori, la maggioranza silenziosa che vi ha dato il voto per paura o per abulica fedeltà già non vi appartiene più e alla prossima tornata elettorale questo Pd difficilmente raggiungerà un risultato a due cifre.
6) La richiesta di una nuova stretta alla Legge di Bilancio da parte della commissione europea e i possibili diktat della BCE. Già, come se fosse una novità. Il pretesto sbandierato dal 2011 in avanti per tagliare i diritti dei lavoratori, il servizio sanitario, l’istruzione e peggiorare le condizioni di vita e di lavoro della maggioranza degli Italiani è operativo da cinque anni ormai e ha quasi smesso di fare paura. Continua a funzionare come giustificazione in alto, ma non altrettanto in basso. Il voto lo ha ampiamente dimostrato.
Certo, il cammino è ancora lungo, ma il sintomo di una ripresa di opposizione dal basso c’è stato in maniera evidentissima. Lo scontro infinito con l’impero finanziario e capitalistico è ricominciato e, anche se la finestra appena aperta potrebbe rapidamente rinchiudersi, sarebbe necessario non lasciarsi sfuggire l’occasione di rappresentare un’alternativa all’esistente. Un primo picchetto è stato piantato. Proviamo ora a delineare un tracciato che non ripeta gli inutili errori e gli esempi funesti del passato. E, anche se l’uomo di fumo ha pregato gli zombi di rimanere in sella ad un azzoppatissimo cavallo ancora per qualche giorno, non è detto che la partita non possa riaprirsi già fin dalle prossime ore.
Vedasi in proposito il mio https://www.carmillaonline.com/2014/02/06/il-capotreno-trenitalia/ ↩
Si veda in proposito l’analisi dell’Istituto Cattaneo proposta in queste ore dall’Huffington Post: http://www.huffingtonpost.it/2016/12/05/cattaneo-referendum-voto-esclusi_n_13430786.html?1480960462&utm_hp_ref=italy ↩
Giovanni Pons, https://it.businessinsider.com/mps-attende-il-referendum-ma-matteo-renzi-si-affida-a-jp-morgan/ ↩
“Le otto banche a rischio citate dal Ft sono: una grande (Monte Paschi), tre medie (Popolare Vicenza, Veneto Banca,Carige), e le quattro piccole banche che sono già state salvate nei mesi scorsi (Banca Etruria, Carichieti, Banca delle Marche e Cariferrara)” in
http://www.ilgiornaledivicenza.it/territori/vicenza/financial-times-se-vince-il-no-8-banche-a-rischio-1.5314920 ↩Si veda l’interessantissimo testo pubblicato da Nottetempo: Nicola Perugini e Neve Gordon, Il diritto umano di dominare, 2016 che sarà recensito su Carmilla la settimana prossima ↩