di Jack Baldrus
L’altro processo. Le lettere di Kafka a Felice, di Elias Canetti, Guanda 2015, pp 168 € 14
“Ci si ribella sempre”
L’usciere, Il processo di Franz Kafka
(Qui il primo vademecum) E’ possibile, per l’iscrizione alla congregazione degli scrittori professionisti, scegliere come materia d’esame un altro scrittore immortale, di pari importanza e statura, oltre a Marcel Proust. Questo autore non può essere che Franz Kafka. Per quanto diversi, come tematiche e stile, hanno in comune più di quanto sembri. Esistono altri immortali nella storia della letteratura. Certamente si potrebbero studiare le opere di Flaubert, di Tolstoj, di Dostoevskj, ma Proust-Kafka sono i più conformi all’enunciato di base della Congregazione: scrivi per te stesso, non per il pubblico, non per i critici, non per gli editori. E’ in te stesso che devi cercare la verità. Quando riuscirai – se riuscirai – in questo progetto, allora la tua opera potrà essere comunicata, e quindi pubblicata.
Marcel Proust e Franz Kafka sembrano la personificazione di questa sorta di statuto. Il primo non era affatto estraneo all’ambiente editoriale, scriveva sui giornali, pubblicava saggi e prefazioni, aveva già pubblicato due romanzi. Ma tutto era collegato alla Recherche, forse erano versioni primordiali della stessa, o studi propedeutici. E il primo volume era così in controtendenza che fu rifiutato, tanto che fu costretto a pubblicarlo a proprie spese. Poi si rinchiuse nella sua stanza di malato e scrisse, scrisse, senza pensare ad altro che al suo scritto. Al suo grande, unico romanzo. Il romanzo di una vita. Forse della vita.
Il secondo invece era pervaso da un’urgenza che lo spingeva a scrivere con una sorta di precisione animalesca, spesso non terminava le opere e prima di morire chiese addirittura all’amico Max Brod di bruciare i manoscritti. Entrambi avevano i testi che dovevano uscire, come le sculture di Michelangelo, per il quale le figure erano già nel blocco di marmo, lui doveva solo liberarle dalle scorie.
Proprio come nel caso di Proust, un libro utile per una introduzione a Kafka può essere questo saggio di un altro grande scrittore, Elias Canetti, che ha indagato con pazienza e tenacia nella sterminata corrispondenza di Franz Kafka, un grafomane come Proust. In particolare ha analizzato le lettere a Felice Bauer, traendone interessanti e arditi collegamenti con la sua opera. E con la sua vita, perché c’è un altro aspetto importante che unisce i due scrittori: l’intreccio strettissimo tra letteratura e vita. Non si tratta di utilizzare il cosiddetto metodo Sainte-Beuve, del quale lo stesso Marcel Proust era un fiero avversario. Non si vuole frugare tra gli effetti privati di un autore, scandagliare le amicizie, gli interessi, gli amori, per “capire” meglio la sua opera. Non si è alla ricerca delle contraddizioni, per sostenere una critica. Il fatto è che i due, come hanno sostenuto Gilles Deleuze e Felix Guattari in un leggendario pamphlet su Kafka, sono macchine di scrittura totali, assolute, perfette, per le quali la letteratura è parte stessa della vita, e viceversa. Kafka addirittura dice: “Io sono letteratura”. Sembra che i sentimenti, le emozioni, vengano trattate chimicamente, raffinate, filtrate, per trasferirle nei testi, spesso assemblate con altre emozioni. Il che è quanto sono chiamati a fare gli scrittori iscritti alla Comi. E quale procedimento più adatto dello studio dei maestri?
Elias Canetti ha messo in contatto certe lettere, le ha “estratte” dalle vicende esistenziali che le hanno generate, e ha scoperto rapporti interessanti coi testi di Kafka. Lo statuto del celibe, per esempio, ha sicuramente fornito una sorta di plot operativo a Deleuze e Guattari per il già citato saggio, quando lo definiscono “rivoluzionario”. Forse lo pensava anche Kafka. Infatti quando, per qualche tempo, si sentì minacciato dal fidanzamento cui sarebbe seguito il matrimonio, sprofondò in una crisi psicologica gravissima. Utile per noi lettori, va detto cinicamente, perché sancì la genesi di uno dei più grandi capolavori della storia. Anzi, due. Ma procediamo con ordine.
Kafka incontra Felice Bauer a casa dell’amico Max Brod, il 13 agosto 1912. Ha già fatto dei viaggi mentali importanti su una bella ragazza di Weimar, la figlia del custode della casa di Goethe, anche se, si rende conto, le è “indifferente come una pentola” (lettera a Max Brod). Però ha scattato delle foto di quel viaggio, che mostra a Felice la sera del 13. Le foto sono degli elementi importanti nell’immaginario di Kafka. Le troviamo qua e là nel Processo, nel Castello, spesso con particolari del soggetto che, secondo Deleuze, sono sempre esemplari: il mento abbassato significa sconfitta, sottomissione, il mento alzato fierezza, coraggio. Rimane colpito da quella ragazza. Appena si siede a tavola e le lancia un’occhiata ha già “un giudizio incrollabile”. Lei guardava attentamente le foto e non alzava lo sguardo se non quando lui le forniva una spiegazione oppure le passava un’altra foto. Ogni gesto, ogni minima sfumatura dei gesti e degli sguardi di Felice vengono accuratamente notati, archiviati in quella mente velocissima, nitida, in un certo senso feroce. Una mente rapida quanto il suo possessore era lento, insicuro, debole. Ed è ciò che cerca nella ragazza: la velocità, la concretezza, lui che si sente inabile a qualsiasi cosa Cerca la decisione, lui che è continuamente tormentato da dubbi centripedi che lo bloccano anche nelle scelte minimali. Si vedono poco, anche perché lei vive a Berlino. Eppure questa situazione sembra ideale per lui, perché gli interessano soprattutto le parole, la comunicazione, i racconti di lei, come un vampiro che succhia il sangue a distanza. E qui Elias Canetti, come un investigatore dell’immaginario, scava nei testi, nelle date, trova contatti invisibili. Per esempio, due notti dopo averle scritto stende La condanna, in una sola notte. Poi, nel giro di due mesi scrive cinque capitoli di America e infine, dopo otto settimane, nelle quali le scrive ogni notte, sgorga di getto, come da una sorgente, il capolavoro: La Metamorfosi, così definita da Canetti: “Non esiste nulla che possa superare in validità La Metamorfosi, una delle poche grandi e perfette creazioni di questo secolo”. E anche del prossimo, diciamo noi, e di quello dopo, e dopo ancora.
Abbiamo quindi un Kafka in grande attività creativa, impegnato in un furore letterario che gli permette di realizzare i suoi testi già perfetti (correggeva pochissimo, a differenza di Proust), attingendo dalla corrispondenza con Felice, o meglio, dalle emozioni e dai pensieri che quelle lettere gli evocavano. E dalle sofferenze, dalle paure, dalle minacce che sentiva quando la sua libertà di celibe rivoluzionario (secondo Deleuze) sembrava compromessa.
E qui arriviamo alla storia più “forte”, che lo ha coinvolto fino al delirio, fino alla malattia, e gli ha permesso di donarci l’altro grande capolavoro: il fidanzamento. Felice è decisa ad arrivarci, e lo stesso Kafka, in una fase iniziale, ne sembra convinto. Ma qualcosa di contrario si agita in lui: deve scrivere, è questa la sua vita. E’ la sua missione. Come potrebbe farlo con una donna accanto? Cosa potrebbe offrirle? Inoltre lei si rende conto di che mostro vorrebbe fidanzare, e poi sposare? Canetti individua le lettere più emblematiche, nelle quali Kafka non fa che denigrare se stesso: non lo vedi come sono introverso, taciturno, freddo, insensibile, egoista? Non vedi come sono magro? (“Sono l’uomo più magro che io conosca”, le scrive il 1° novembre 1912). Sono lettere piene di lamenti, di autoaccuse, di minacce: sta’ lontana da me, io ti trascinerei all’inferno. Perché io sono letteratura, e null’altro. La desidera, la cerca, ha bisogno di lei, ma fa di tutto per farla fuggire.
Eppure, il momento (tragico), arriva. Non esiste pietà. Non esiste deroga. Felice non si scoraggia (non è questo che Kafka cercava, la concretezza, la tenacia?). Tanto più che invia una cara amica a Praga, Grete, per una missione diplomatica pro-fidanzamento. Il risultato sarà duplice: Kafka ha una storia anche con lei (si tratta sempre di incontri brevi e isolati, i rapporti sono soprattutto epistolari), e inizia una corrispondenza parallela, esaminata da Canetti, nella quale sembra cercare un’alleata contro il fidanzamento. Ma tutto si complica, si confonde, i sentimenti si mescolano, si contraddicono.
E infine arriva. Spietato, orribile. Kafka non è spaventato, è terrorizzato. Eppure è lui stesso ad averlo chiamato in causa. Deve essere solo, perché la sua unica missione è scrivere, ma ha anche paura della solitudine. Secondo Canetti Kafka non ama Felice, ma cerca la sua energia, la sua decisione. Cerca la sua forza, lui che si crede l’uomo più debole del mondo. Così, dopo un lungo silenzio, nel quale Felice, probabilmente esasperata dai suoi lamenti e dal suo comportamento passivo durante i rarissimi incontri, smette di scrivergli, il 16/3/1913 le invia una lunga lettera che contiene la proposta di matrimonio. “E’ la più strana proposta di matrimonio che vi sia” scrive Canetti. “Vi accumula le difficoltà, dice sul proprio conto innumerevoli cose che rendono impossibile una comune vita matrimoniale. Nelle lettere che fanno seguito a questa aggiunge altre difficoltà”. Scrive Kafka: “Ho una paura folle del nostro avvenire e dell’infelicità che può derivare, a causa del mio carattere e per mia colpa, dalla nostra convivenza, infelicità che prima di tutto e per intero dovrà colpire te.” Insomma, lamenti e autodenigrazione a parte, sembra che per un attimo, solo un attimo, il celibe rivoluzionario soccomba sotto il peso del proprio ruolo e cerchi un minimo di stabilità, di comunanza con una donna. Il fidanzamento-horror avviene a Berlino a casa di Felice il primo giugno 1914. “Legato come un delinquente. Se con catene vere mi avessero messo in un angolo con davanti i gendarmi e mi avessero lasciato a guardare soltanto così, non sarebbe stato peggio.” Va anche, in compagnia di Felice, a scegliere i mobili, ed è come salire sul patibolo. “Mobili pesanti che una volta collocati non era forse neanche possibile rimuovere. Un monumento alla vita impiegatizia di Praga.”
Ma dura poco. Dopo un tormento che probabilmente per noi non è possibile immaginare in quanto a intensità, il 12 luglio rompe gli indugi, butta all’aria il tavolo. Rompe il fidanzamento e si sottopone al tremendo processo, in un albergo di Berlino, dove di fronte al tribunale (la famiglia di Felice schierata), subisce la condanna. Viene ridotto in poltiglia, si sente morire, smembrare, schiacciare. Non dice una parola, sta con lo sguardo basso, le braccia a penzoloni, mentre vengono pronunciate le arringhe e la sentenza. E’ il condannato. A vita. Il tribunale che incombe, che incomberà sempre. Ma non tace per paura. Non per viltà né debolezza. Tace perché non riconosce il tribunale che lo giudica. Il celibe rivoluzionario, il debole guerriero della letteratura è in realtà coraggioso, incrollabile. Non riconosce il Potere.
E qui inizia la parte più interessante dello straordinario libro di Elias Canetti. Indagando, interpretando, collega gli eventi del fidanzamento e del processo berlinese con la nascita del capolavoro assoluto di Kafka, forse il più grande romanzo mai scritto: Il processo. Da pag. 89 in poi scopre come il fidanzamento transita nel primo capitolo, e il processo con la condanna nell’ultimo. Trova segni, personaggi, i particolari di cui Kafka era un attentissimo osservatore. Inizia la stesura del Processo in Agosto, neanche un mese dopo il processo berlinese. Lo porta avanti con una tenacia a una genialità che fanno dell’uomo più magro e più debole del mondo lo scrittore più potente e originale della storia. Antilirismo puro. La lingua “maggiore” minata dall’interno, disseccata. La vita trasformata in pura energia creativa, gioiosa e dirompente. Le ferite e il tormento personale collettivizzati, universalizzati. E’ il romanzo totale.