di Sandro Moiso
Ruggero D’Alessandro, Gioventù ribelle a Londra. Dai teddy boys alla psichedelia (1956-1967), DeriveApprodi 2016, pp.136, € 15,00
“I hope I die before I get old ” (The Who, My Generation, 1965)
[C’è da rabbrividire, dopo aver letto il libro di Ruggero D’Alessandro, pensando che oggi il massimo antagonismo sociale espresso dalla gioventù britannica, esclusi mob e riot come quelli esplosi al Londra nel 2010, sia costituito dal peso del movimento Momentum nella trionfale rielezione di Jeremy Corbyn come segretario del partito laburista. Il movimento giovanile, nato poco più di un anno fa, ha infatti contribuito a garantire a Corbyn quel 62% di voti che, nonostante l’evanescenza politica e gli scarsi risultati elettorali, ne hanno fatto uno dei leader laburisti eletti con il maggior numero di preferenze. C’è da rabbrividire poiché la storia narrata nel testo è, al contrario, quella di un radicale allontanamento dei giovani inglesi dalla proposta politica e culturale del Partito Laburista proprio negli anni in cui questo aveva governato a fasi alterne la società britannica, garantendole quel Welfare che fu poi Margaret Tatcher ad iniziare a distruggere. Eppure quei giovani, che sognavano e desideravano un’altra vita, un’altra organizzazione sociale, uno svecchiamento generale dei comportamenti, degli stili e delle istituzioni e soprattutto un rinnovamento culturale, si allontanarono da un modello di “vecchia sinistra” riformista che già all’epoca faceva acqua da tutte le parti pur garantendo, probabilmente anche grazie ai proventi provenienti dallo sfruttamento indiretto dell’ex-impero coloniale, un migliore livello di vita per la working class inglese. Ma si sa, le grandi lotte e le proposte più innovative difficilmente, nel corso del secolo appena trascorso, sono state il frutto di stagioni di stagnazione e di crisi economica. Piuttosto, è stata proprio la constatazione che il benessere garantito dallo sviluppo economico capitalistico e dal modello di società borghese che lo accompagnava non garantiva affatto una vita libera dalla schiavitù dello sfruttamento, dal tedio di una morale bigotta e dai valori della ricchezza e della casta sociale di appartenenza, a scatenare la furia iconoclasta e allo stesso tempo creativa dei giovani. Che costituivano sì, all’epoca, una componente della working class, ma con valori diversi da quelli dei padri, ancora succubi di modelli famigliari ed educativi repressivi e patriarcali.
A differenza di altre aree, dall’Europa continentale al Giappone fino agli Stati Uniti, la contestazione giovanile inglese sarà meno ideologizzata, ma lascerà nei costumi e nella società tracce che durano ancora oggi. Si può forse dire che la nascita di una contro-cultura avvenne prima in Gran Bretagna che negli USA e questo in un periodo in cui, per la prima volta nella sua storia, il regno di Albione veniva colonizzato dall’esterno dai nuovi gusti provenienti dal Nord America: rock’n’roll, juke-box, jazz, cinema e blue-jeans.1 Il testo pubblicato da DeriveApprodi è sicuramente agile e denso di notizie allo stesso tempo, peccato però che l’atteggiamento un po’ troppo professorale di chi lo scrive finisca col rivelare un’eccessivo allineamento all’interpretazione data da Adorno della cultura di massa. Cosa che impedisce all’autore di cogliere tutte le sfumature della dialettica tra cultura bassa e cultura alta che la cultura pop e psichedelica di quegli anni in realtà implicava. Così come una conoscenza indiretta, non solo per età anagrafica, dei fenomeni descritti e una certa supponenza, in particolare nei confronti degli hippies, impedisce a D’Alessandro di comprendere come quella prima affermazione di un agire sociale che, di fatto, interpretava il politico come solo uno dei possibili territori dell’immaginario, sia ancora ben viva, tramandata anche attraverso il movimento italiano del ’77, nei movimenti di azione diretta più vivaci della realtà contemporanea europea. Come ad esempio quello della ZAD e dei territori occupati e trasformati negli ultimi decenni in prossimità della città di Nantes oppure in Val di Susa.
Qui di seguito un estratto dalle prime pagine del testo, in cui vengono sintetizzate le tematiche e le motivazioni che lo caratterizzano.]
Superato il primo decennio dalla fine del secondo conflitto mondiale, la Gran Bretagna fa i conti con la scomparsa del suo impero, con un territorio urbano ancora offeso dai bombardamenti tedeschi, con l’inizio della dipendenza diplomatica da Washington(con l’affaire del Canale di Suez nel 1956) e con la crescente modernizzazione della società.
Mentre le corti di giustizia hanno l’impudenza di processare per pornografia il romanzo L’amante di Lady Chatterley di Lawrence ad anni sessanta già iniziati, la gioventù si presenta per la prima volta come soggetto indipendente. Economicamente, i giovani che non proseguono con gli studi universitari si rendono autonomi dalla famiglia già a diciotto anni e si affacciano come soggetti politici a pieno titolo, lavorando e pagando le tasse, con la conseguenza di attirare gli sguardi interessati di partiti e sindacati. Diventano consumatori, spingendo velocemente l’industria a creare prodotti per loro, senza più essere considerati come “piccoli adulti” o appendici delle famiglie. I costumi sessuali si adeguano alla vague giovanilistica statunitense e alle prime audacie di provenienza scandinava [… ] La coscienza sociale si sveglia un po’ più lentamente: ma per chi ha le antenne ben sintonizzate la campagna contro l’armamento nucleare (Campaign for Nuclear Disarmement), la sensibilità anticolonialista, l’antirazzismo costituiscono materia più che sufficiente, in attesa dell’esplodere delle lotte del ’68.
La Gran Bretagna – a differenza di Francia, Germania, Stati Uniti e soprattutto Italia – non vive una stagione di contestazione studentesca capillare, si tratta più che altro di singoli episodi, come l’occupazione della prestigiosa London School of Economics and Political Sciences.
Si deve invece parlare di un’intensa stagione controculturale. Partendo dalle contaminazioni commerciali di musica e abbigliamento (fra Beatles e Mary Quant, Carnaby Street e Rolling Stones), passando per il fondamentale poetry reading del ’65 alla Royal Albert Hall con ben settemila spettatori paganti, si giunge al luglio del ’67 con il convegno alla Round House incentrato sulle “dialettiche della liberazione”, con duemila partecipanti e decine di intellettuali critici – da Marcuse a Carmichael, da Goodman a Sweezy. Gli organizzatori sono alcune figure di primo piano del movimento antipsichiatrico – Laing e Cooper in primis – che approfondiscono tematiche come la depressione, la schizofrenia, il manicomio quale istituzione totale per denunciare la famiglia e la società borghese.
All’alba del 1966 nasce il movimento psichedelico che spazia dall’arte visiva all’abbigliamento, dall’allestimento di spettacoli teatrali e di improvvisazione alla centralità della rivoluzione musicale, all’insegna di nomi come Pink Floyd e Soft Machine, strumenti elettronici e luci stroboscopiche […] Nel cinema si consolida la nouvelle vague inglese con il movimento di Reisz, Anderson, Schlesinger (il free cinema), Il jazz e il blues si radicano e si rinnovano con nomi quali Chris Barber e Ian Carr, Alexis Korner e John Mayall.
La capitale britannica costituisce quindi un fondamentale e anticipatore laboratorio di sperimentazione multidisciplinare, contribuendo a creare la gioventù post-moderna e una serie di modelli (spesso «contro-modelli») assai interessanti per lo storico e il sociologo, il letterato e lo studioso di cultura contemporanea.
Paura adulta e tradizionalista che è ben manifestata dal film Il Dottor Quatermass e i vampiri dello spazio di Val Guest (GB,1957), in cui l’invasione aliena, che farà vittime soprattutto tra la working class, è anticipata da immagini iniziali in cui si vedono giovani inglesi che indossano jeans e ballano al suono di un juke-box. ↩