di Serge Quadruppani
Gilles Perrault, Il ragazzo con gli occhi grigi, trad. Maruzza Loria, ed. Fandango, 2016, pp. 128, € 10,00
Ecco un autore di best-sellers di cui uno (Les parachutistes, 1961) mostrò le similitudini tra l’addestramento delle SS e quello dei paracadutisti francesi, e di un altro (Le Pull-Over Rouge, 1978) che denunziando un errore giudiziario, contribuì all’abolizione della pena di morte in Francia, e di un terzo (Notre ami le roi, 1990) che provocò una crisi diplomatica tra la Francia e il Marocco e che gli valse, molto tempo prima di Salman Rushdie, una taglia sulla testa. Dedicata a una rete di spionaggio sovietico che giocò un ruolo decisivo nella disfatta del Reich, un’altra delle sue opere, (L’orchestre rouge, 1964), lo trascinò in ulteriori indagini che lo portarono a essere sospettato di lavorare per diversi servizi: a Parigi, per i sovietici; a Varsavia, per gli israeliani; a Berlino per i francesi… Se si aggiunge che è stato, alla fine del secolo scorso, uno dei pilastri della campagna per l’abolizione del debito del Terzo Mondo o di quella contro il Front National, si capirà come Gilles Perrault sia conosciuto soprattutto in Francia come uno degli ultimi rappresentanti di una specie che la postmodernità definisce con derisione “scrittore impegnato”.
Oltre che per la sua partecipazione ad alcune battaglie giuste, e per i suoi numerosi libri che parlano del ruolo dei Servizi nella storia contemporanea (e anche sotto l’Ancien Régime), c’è un’altra ragione per cui il lettore italiano dovrebbe interessarsi a Perrault. I primi paragrafi de L’Orchestre Rouge descrivono il radiotelegrafista Walter Schmidt in procinto di localizzare un trasmettitore clandestino norvegese: questo succede in un giorno preciso del 1941, e quel giorno là i gabbiani hanno disertato le dune di questo angolo della Prussia orientale, si annuncia un temporale, Schmidt sogna l’imminente disfatta dell’Armata Rossa… Improvvisamente, questo racconto così appassionante e convincente s’interrompe e il narratore scrive: «I paragrafi che abbiamo letto rilevano in larga parte un’impostura pura e semplice. L’autore non conosce l’identità del radiotelegrafista tedesco che, nella notte tra il 25 e 26 giugno 1941 era incaricato di captare la trasmissione della stazione norvegese. Egli non sa nulla dei suoi stati d’animo. Ha il diritto di supporre che il vetro del suo uffico fosse freddo, ma ignora se il radiotelegrafista ebbe la fantasia di appoggiare la fronte contro questo vetro. Dopo aver continuato a fare la lista di quel che ignora e che dunque ha inventato nelle righe precedenti, Perrault immagina altri personaggi nei quali avrebbe potuto incarnare il radiotelegrafista sconosciuto. Poi svela soltanto quello che si conosce: cioè l’intercettazione, quella notte, di un messaggio strano.
Avendo in tal modo preso le distanze con la trasposizione immaginaria della verità storica, l’autore ricorre senza battere ciglio a dei metodi messi a punto da secoli di fantasia letteraria. Perché immediatamente dopo la fredda e obiettiva informazione sull’esistenza del messaggio, egli lancia un proclama a sensazione: «Così iniziò l’affaire che sarebbe diventato l’incubo di Himmler e dell’ammiraglio Canaris…» Dopo avere esposto l’argomento generale del racconto, l’autore presenta «l’eroe di questa storia», Leopold Trepper, capo dell’Orchestre Rouge. Quindi abbiamo proprio, come in qualsiasi feuilleton o romanzo popolare, una «storia» con un «eroe». Tutta l’opera di Gilles Perrault si colloca là, ai confini tra il romanzo vero e il vero romanzo, nel desiderio di mettere le risorse della letteratura al servizio di una ricerca rigorosa della verità. Verità di un’epoca, verità in tutte le sue sfumature di grigio nelle zone grigie del potere, verità dei fatti manipolati da forze oscure, in particolare quei famosi servizi il cui segreto è la ragion d’essere.
Polizieschi che affondano le loro radici in una documentazione molto veritiera: etnologia della campagna normanna o avventura dello sbarco alleato raccontati con un brio e un humor deliziosi; ricordi personali che incrociano la grande storia (i suoi genitori nascondevano nell’abitazione parigina alcuni paracadutisti inglesi); ricostruzioni di indagini di polizia raccontate come romanzi gialli; Gilles Perrault utilizza insieme le risorse delle letterature di genere e quelle della ricerca storica per condurre al meglio questo compito essenziale alla vita nella società: raccontare. Non si può non essere colpiti dalle corrispondenze tra il lavoro che egli porta avanti da una sessantina d’anni e quello che teorizzano i Wu Ming da più di un decennio. Quasi tutti i suoi libri potrebbero essere qualificati come Oggetto Narrativo non Identificato.
Anche un racconto come Il ragazzo con gli occhi grigi, di fattura apparentemente più classica, tradotto da Maruzza Loria per Playground/Fandango (128 pagg., 10 euro) abbatte le barriere. In questo breve romanzo racchiuso intorno a un’unità di tempo (tre giorni) e di luogo (una casa nella campagna francese), Perrault, con la sua prosa fluida, la sua attitudine a cogliere il dettaglio che rende la presenza degli esseri, ci seduce senza sforzo per riportarci al 1940 nel bel mezzo dell’esodo della popolazione francese in fuga dall’avanzata nazista, dietro quattro protagonisti, due bambini, la loro madre di trent’anni, una borghese capricciosa, e un adolescente misterioso le cui grandi capacità d’effrazione e di rapina permetteranno loro di sopravvivere. Quel che succede, in particolare con l’irruzione di due soldati francesi e poi dei gendarmi che annunciano il ritorno all’ordine vichysta, è niente di meno che la possibilità di un paradiso in mezzo all’inferno della storia. E dopo il miracolo amoroso, il ritorno del principio di realtà prenderà la forma di un richiamo all’ordine della società di classe. Quello che sembrava soltanto un racconto d’avventura si svela improvvisamente come una radiografia di un momento storico di cui la Francia, in qualche modo, non si è mai sbarazzata. Il giovane Jean dallo sguardo grigio incarna un modello che vedremo riapparire in tanti racconti ambientati nei decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, fino ai giorni nostri: è il prototipo di quei ragazzi di periferia che continuano a perseguitare la cattiva coscienza della Francia e della sua borghesia. Leggere Perrault vuol dire capire meglio le radici del presente, e non soltanto in Francia.
Salutiamo dunque il coraggio di una piccola casa editrice che decide di far conoscere meglio in Italia un autore che ci offre dei primi piani sul dietro le quinte della storia contemporanea.