di Jack Baldrus
Un’estate con Proust, di AAVV, Carocci editore, Roma 2015, pp 214 € 15
“Più che un esercizio, la lettura di Proust è una vera e propria esperienza, cui – credo – ogni scrittore dovrebbe aprirsi per trovare la propria strada”.
Julia Kristeva, L’immaginario
Esperienza. Era Jean Paul Sartre, certamente non uno scrittore baudelairiamo-proustiano (ma rimbaldiano) che si arrabbiava contro l’epica delle esperienze. Nessuna esperienza per scrivere, per pensare, per vivere. La scrittura è il risultato di un flusso, di una casualità. E’ una avventura poco avventurosa del proprio essere. Non è sperimentare tutte le droghe, accoppiarsi con un alligatore, uccidere, farsi frustare, andare in guerra, vivere nelle fogne o in cima all’Everest, diventare amico di un serial killer, buttarsi da un ponte legati a una corda. L’esperienza è un reportage dal Nulla. Forse potremmo dire addirittura che è una immanenza, come la concepiva Deleuze. Qualcosa che incombe, che ci trascina, che ci travolge. Nel Nulla.
Eppure, l’auspicio della Kristeva – un’autrice di questa raccolta di testi – è verosimile. Questa esperienza della non-esperienza ha bisogno di linguaggi per esprimersi, di meccanismi. Ha bisogno di studio. Ha bisogno di coraggio. Per questo chiunque voglia pubblicare un testo di narrativa dovrebbe leggere Proust. Ma non dare un’occhiata, dovrebbe sostenere un esame. Poi, può pubblicare. Non esistevano le botteghe un tempo? Le congregazioni? Così oggi molti scrittori si arrabbiano perché non riescono a vivere scrivendo. Si arrabbiano perché non possono essere dei professionisti a tempo pieno. Bene, allora per entrare nella congregazione degli scrittori dovrebbero sostenere un esame di ammissione. Su Marcel Proust.
Questo autore francese infatti, vissuto tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, ha utilizzato, e dominato, praticamente tutti gli stili letterari, tanto che la sua opera – un unico immenso romanzo, come lo concepiva anche Tolstoj, e come lo sognava a occhi aperti Jack Kerouac – è stata definita “narrativa-saggistica”, oppure “narrativa.filosofica”, o “narrativa impressionista” o “pittorica” o “psicologica”. E altro ancora. Inoltre Proust, letto fino in fondo, rappresenta una formidabile palestra mentale per chiunque voglia avventurarsi in questo percorso così labirintico, insicuro, che è la scrittura letteraria. E’ in controtendenza, sempre, perché disabitua allo stile povero, piatto, che domina nel totalitarismo dei social, degli sms, del “qui, subito”, di una omologazione che sta diventando la normalità. Lo stesso Proust, ai suoi tempi, aveva individuato l’omologazione di massa come risultato di una pavida sindrome di imitazione: “L’istinto di imitazione e l’assenza di coraggio governano sia le società che le folle” (Sodoma e Gomorra). L’omologazione che, per esempio, fa dire a Word Press (la piattaforma che fa funzionare molti siti web, compreso carmilla), che “un periodo contiene più delle 150 parole raccomandate” e che “il 50% delle frasi contiene più di venti parole. Prova ad accorciare le frasi”. Insomma, se Proust scrivesse un articolo sul web il sistema lo definirebbe “pessimo”. Quei periodi lunghi, più pagine senza un punto, con scatole cinesi che si susseguono, tanto che il lettore è costretto talvolta a tornare indietro, a rileggere, perché non sa dove è arrivato, né come o perché, in una sorta di territorio sconosciuto e si sente spaesato, si sente un viaggiatore senza bussola; quei periodi asmatici – prolungamento di un autore asmatico – obbligano a cercare il respiro, mentre ci si allena a restare in apnea, osservando il fondale marino coi suoi coralli, i suoi pesci, i suoi granchi, le sue alghe. Proust scrive dell’ignoto, lui, che non era rimbaldiano, è un esploratore di mondi sommersi, oscuri, o bruciati da un sole che sbrana. Proust è, forse, il più grande ritrattista di tutti i tempi, perché la sua tecnica di costruzione dei personaggi si basa su un assemblaggio di modelli reali interiorizzati, per cui il Narratore dietro le quinte è il personaggio, o parte di esso, lo fa crescere, sviluppare dentro di sé, arrivando a imitarlo, a parlare come lui/lei (sono molti gli aneddoti di Proust che scimmiottava questo o quel gentiluomo o quella nobildonna, con imitazioni impressionanti). Interiorizza persino gli oggetti e le piante, per restituirli con più realismo nella scrittura. Uno dei passaggi più celebri della Recherche – uno dei tanti – è quando, in una chiesa, osserva incantato i biancospini e li porta dentro di sé, li fa fiorire in se stesso, per sentirli, per viverli (Dalla parte di Swann, edizione Mondadori tradotta da Giovanni Raboni pp. 116-7).
Per la preparazione dell’esame gli aspiranti scrittori professionisti potrebbero consultare questo utile libretto, divulgativo eppure originale, acuto nella sua ricerca mirata su alcuni aspetti importanti, non sempre affrontati nella pur sterminata saggistica dell’opera proustiana. Si tratta di una raccolta di testi brevi, che si concludono sempre con un passo dell’opera. Inoltre gli autori – otto francesisti studiosi di Proust – sono degli adoratori del maestro, alcuni fino al punto di interiorizzarlo, proprio come faceva lui coi suoi oggetti/soggetti, per carpirne i segreti e sviluppare in se stessi il suo stile, per mettere a contatto diretto le emozioni che descrive con le proprie emozioni. I testi sono di facile lettura, dunque molto indicati per una introduzione critica a Proust, e costituiscono al contempo una preziosa miniantologia, perdipiù commentata. E’ divisa per sezioni, ognuna curata da un autore, Il tempo, I personaggi, Il suo mondo, L’amore, L’immaginario, I luoghi, Proust e i filosofi, Le arti. Ogni sezione è composta da 4-5 saggi, dove un aspetto dell’opera viene analizzato, talvolta con inserti di esperienza personale dell’autore-lettore della Recherche. Si parla di stile, di viaggi nella psiche più proibita, delle fanciulle in fiore, del demone della gelosia (che costituisce uno dei grandi mostri della discesa agli inferi della Recherche); si parla della madeleine, uno dei miti dell’immaginario letterario moderno, e della storia d’amore di Swann e Odette, forse il racconto amoroso, introspettivo ma anche di pura fiction, più famoso della letteratura. Proprio su questo romanzo all’interno del romanzo (Un amore di Swann) uno degli autori, Nicolas Grimaldi (il mio preferito, colui che si è addentrato con più lucidità nei territori della Recherche) ha focalizzato uno degli aspetti della diabolica fenomenologia amorosa di Marcel Proust: Swann si innamora follemente di Odette, perché la identifica con un personaggio di Botticelli, Sefora, figlia del sacerdote Ietro che sposerà Mosè, anche se in realtà ci fa capire che la donna reale, in carne e ossa, ha ben poco di quella trasfigurata nella pittura. Ma a Swann non interessa, lui cerca in Odette il capolavoro, e il suo amore travalica il reale, si innamora dell’amore stesso, cioè ama il sentimento in sé, non la donna vera, perché dentro ha già l’immagine che vive di vita propria, e cerca un soggetto adatto cui applicarla. Un racconto per certi aspetti micidiale sull’idealizzazione che si nutre di illusioni, di sogni, di fantasmi, e di delusione quando ci si avvicina troppo all’obiettivo reale, scambiando il tutto per “amore”.
Insomma, Un’estate con Proust non può essere l’unico testo di studio per l’esame, anche perché lo scrittore professionista non è un critico, ma costituisce un “primo approccio” ideale, perché stimola e in un certo senso facilita la lettura, che andrebbe interiorizzata e metabolizzata, obbligando la mente e lo spirito a sviluppare la propria ricerca, che è il vero obiettivo dell’esame, e dell’agognata iscrizione alla bottega di scrittura professionale.