di Eric J. Lerner
[Tra i protagonisti del movimento Occupy Wall Street figurava uno scienziato, Eric J. Lerner. Questi è uno dei capofila della scuola (minoritaria e avversata dagli ambiti accademici) della “fisica del plasma”, che, sulla scorta del premio Nobel svedese Hannes Alfvén, nega la validità della teoria cosmologica del Big Bang e delle sue derivazioni. Lerner ha raccontato la nascita dell’ipotesi Big Bang, anche in termini culturali, politici e sociali (conservatori), in un’opera rigorosa ma di avvincente lettura, Il Big Bang non c’è mai stato. In Italia lo hanno pubblicato le Edizioni Dedalo nel 1994, e ristampato nel 2008. Ne proponiamo un capitoletto, nella traduzione di Marina Bianchi.]
Il problema della struttura di larga scala è di per sé una seria sfida al Big Bang, ma non è l’unico; un problema strettamente connesso è l’evidenza che non esiste materia oscura.
La materia oscura è forse la più curiosa caratteristica della cosmologia convenzionale. Stando ai cosmologi quasi il 99% dell’universo è inosservabile: oscuro, senza nessuna emissione di radiazione. L’universo che vediamo – stelle, galassie, ogni cosa – non è che l’uno o il due per cento del totale. Tutto il resto è una qualche strana e ignota forma di materia, particelle necessitate dalla teoria ma mai osservate.
Questa curiosa concezione fu introdotta un decennio fa e da allora è diventata una parte fondamentale della moderna cosmologia del Big Bang.
Molto tempo prima che emergesse la questione della formazione dei superammassi, i cosmologi si accorsero che vi era una difficoltà persino con la formazione di oggetti come le galassie. Come abbiamo visto, la teoria del Big Bang assume che questi oggetti si siano sviluppali mediante attrazione gravitazionale da minuscole disomogeneità, dette fluttuazioni, nell’universo giovane.
Sin dal 1967 Peebles e Joseph Silk avevano concluso che tali primordiali fluttuazioni dovrebbero risultare sotto forma di fluttuazioni nella luminosità o temperatura del fondo a microonde. Se la materia era irregolarmente distribuita all’epoca in cui ebbe origine il fondo a microonde, un milione di anni, più o meno, dopo il Big Bang, allora il fondo prodotto dalla materia calda non sarà isotropo (uniforme) bensì avrà punti caldi irregolari o «anisotropie». Entro il 1970 essi avevano calcolato che questa variazione di temperatura doveva ammontare a cinque o sei parti su mille.
A tale data le misurazioni non erano abbastanza accurate per collaudare questa predizione. Ma entro il 1973 gli osservatori dimostravano che l’anisotropia non doveva essere superiore a una parte su mille. Per l’intero decennio gli osservatori continuarono ad abbassare i limiti dell’anisotropia, e i teorici continuarono a modificare le loro teorie per avanzare predizioni nuove al di sotto di quei limiti. Sfortunatamente, entro il 1979 diventò evidente che questa partita non poteva seguitare oltre, infatti non esisteva alcuna anisotropia nemmeno di una parte su diecimila: e ogni teoria ne richiedeva come minimo una quantità più volte superiore. I teorici si accorsero che molto semplicemente nell’universo vi era troppo poca materia. Quanto minore è la materia e tanto minore la gravità, e dunque tanto più lentamente le piccole fluttuazioni s’ingrandiranno fino a diventare grandi galassie. Pertanto, se le fluttuazioni erano già troppo minute in partenza, si richiedeva una maggiore quantità di materia per farle ingrandire più rapidamente.
Gli astronomi sapevano abbastanza bene quanta fosse la quantità di materia che noi possiamo vedere. Si limitavano a contare le galassie. Conoscendo la luminosità delle stelle di una data massa, potevano calcolare grosso modo quanta massa esista in un dato volume di spazio, dunque la densità dell’universo: circa un atomo ogni dieci metri cubi di spazio.
I cosmologi trovarono che ciò era insufficiente. Ne abbisognavano in una quantità cento volte superiore. Calcolarono che, perché le galassie si formassero come risultato del Big Bang, nell’universo doveva esserci stata talmente tanta materia che la sua gravitazione ne avrebbe eventualmente arrestata l’espansione. Ma questo richiedeva una densità di circa dieci atomi per metro cubo. I cosmologi decisero di rappresentare la densità dell’universo come un rapporto con la densità richiesta per arrestarne l’espansione, rapporto che definirono «omega». Se esisteva per l’appunto materia sufficiente a fermare l’espansione dell’universo, allora omega doveva essere l. Tuttavia pareva che omega in realtà fosse all’incirca uguale a 0,01 o 0,02: soltanto pochi centesimi della materia necessaria per arrestare l’espansione dell’universo e di gran lunga troppo poca per amplificare le fluttuazioni abbastanza rapidamente da formare le galassie.
È qui che intervenne la materia oscura. Se omega è realmente 1 o prossimo a 1, allora la gravità agirebbe con tale velocità che persino una minuscola fluttuazione sarebbe ingrandita a dimensione di galassia nel breve tempo trascorso a partire dal Big Bang. Così i teorici semplicemente postularono come loro assunto che questo omega era valido (se non lo era, l’intera teoria crollava). Senonché, gli osservatori non riuscivano nemmeno lontanamente a vedere tutta quella materia, né con i telescopi ottici né con quelli radio. Siccome questa materia doveva esistere ma non si poteva osservare, essa poteva essere una cosa sola: inosservabile, «oscura». La materia oscura era «l’omino che non c’era».
Ma questo non è tutto: la materia oscura doveva essere completamente diversa dalla materia ordinaria. Come già s’è accennato, una delle due predizioni chiave del Big Bang è l’abbondanza di elio e di taluni isotopi leggeri rari: deuterio (idrogeno pesante) e litio. Ora, anche queste predizioni dipendono, a loro volta, dalla densità dell’universo. Se la materia oscura fosse stata materia ordinaria, il brodo nucleare del Big Bang sarebbe stato stracotto: troppo elio e litio, non abbastanza deuterio. Affinché la teoria si accordasse con l’osservazione, omega, per la materia ordinaria (opaca o luminosa che fosse), doveva risultare essere intorno a 0,02 o 0,03, praticamente non più di quella che si poteva vedere. Se non si trattava di materia ordinaria, che mai poteva essere la materia oscura? Intorno al 1980 ansiosi cosmologi si rivolsero ai fisici delle particelle di alta energia. Non esisteva per caso qualche particella capace di fornire la materia oscura senza però guastare la cucina nucleare? A dire il vero, era per l’appunto possibile. I fisici delle particelle fornirono alcune possibilità: neutrini pesanti, assioni, WIMP (Weakly Interactive Massive Particle – un termine pigliatutto). Tutte queste particelle erano in grado di procurare la massa necessaria per un valore di omega l, ed era praticamente impossibile osservarle. Avevano l’unico svantaggio che, come le stringhe cosmiche, non vi era nessuna prova che esistessero. Ma a meno che omega fosse uguale a 1 (pertanto mucchi di materia oscura) la teoria del Big Bang non era neppure auto-consistente. Perché il Big Bang funzionasse, omega doveva essere l, e la materia oscura doveva esistere.
Così, al pari della regina bianca di Attraverso lo specchio che si convinceva ogni mattina prima di colazione di svariate cose impossibili, i cosmologi del Big Bang decisero che il novantanove per cento dell’universo è costituito di ipotetiche particelle inosservabili. Ma i cosmologi erano confortati dal fatto che vi erano alcune prove che un poco di materia oscura forse esisteva. E se un poco, perché non di più?