di Vittorio Catani
Doveva essere un sogno, eppure sono convinto che non lo fosse. Il contesto appariva troppo concreto. Era senz’altro il nostro mondo, la mia città, ma contemporaneamente non era possibile. Insomma io c’ero, ero per strada e camminavo in una folla anonima che si muoveva a passo tranquillo, senza fretta, le voci basse e mormoranti. Mi attorciglio nei miei pensieri: possono esistere “ricordi del futuro”? So solo che la scienza ancora non sa spiegare in modo convincente perché noi ricordiamo il passato ma non ciò che avverrà. Pure, questa visione che da tempo mi perseguita ha decisamente le caratteristiche di un ricordo.
Non mi davo conto di come fossi arrivato lì, né – se ero lì davvero – avevo tracce mnemoniche di come e quando ne tornai. Nei primi istanti seppi solo che mi muovevo per il corso Vittorio Emanuele, nella direzione del vecchio palazzo liberty un tempo sede del Teatro Margherita, adeguando il mio passo a quello placido della folla. Il cielo era plumbeo. Solo dopo mi colpì una stranezza assoluta, eppure evidentissima: le facce. Tutta quella gente che si assiepava e si muoveva, pareva camminasse all’indietro, il viso rivolto non alla meta ma verso ciò da cui s’allontanava. Come poteva essere verosimile, cosa accadeva?
Vorrei poterlo spiegare. Constatata l’assurdità del fatto, l’istinto mi spinse ad alzare il passo per avvicinarmi all’individuo più prossimo, e scrutare meglio quel volto che dava le spalle sua alla meta. Allora notai il trucco, se così posso dire. I visi erano semplicemente disegnati sulle spalle, sulle nuche, sui cappucci, sui cappelli: visi strani, quasi ilari come di clowns, ma vagamente mostruosi. Eppure… gli occhi lucidi sembravano vivi; le bocche si aprivano appena, sorridenti di sghembo, lasciando intravvedere il luccichio di denti, saliva, lingue rosse. Affrettai ancora il passo: se quelli non erano le vere facce (non potevano esserlo, decisi con fermezza) per risolvere il mistero dovevo solo passare avanti e girarmi: avrei osservato i veri volti. Attuai la semplice manovra ma ahimé, senza risultato. Le facce autentiche, se c’erano, erano coperte dai colletti alzati delle giacche, dai risvolti di giubbotti, da sciarpe. Se quei corpi davano l’impressione di camminare all’indietro, forse facevano proprio così.
Non mi chiesi subito il perché d’una simile metamorfosi. Quasi fosse una scena, cercai invece di coglierne il senso. C’era qualcosa di estremamente remoto e dolente in quegli occhi sulle spalle, autentici o falsi e grotteschi che fossero; c’erano tristezza, rassegnazione, spavento, sensi di colpa. La vita era cambiata. Quasi che nei rapporti umani, nella società, fosse esplosa in silenzio una mostruosa mutazione improvvisa, irreversibile. Oppure come se manovre occulte, o sottovalutate, avessero portato a…
Guerre? Una nuova scoperta scientifica maledetta, traditrice? Un’agnizione recondita del proprio sé che aveva invaso ciascuno? Pensai: questo mondo si è girato, non vuol più guardare in avanti…chi, cosa?
Non saprei, non rammento altro. Vorrei tanto poter dire di più.