di Rinaldo Capra
[Premessa: volevo scrivere di questa esperienza con la testa, ma mi ha dato tanto a livello umano, prima ancora che politico o culturale, e mi ha fatto incontrare personaggi così eccezionali che mi sono trovato a scrivere solo con il cuore. E non mi sento patetico.]
Due – i portafogli smarriti, ma subito restituiti senza che mancasse un euro.
Uno – lo zainetto smarrito con medicinali, ma ritrovato e subito riconsegnato.
Zero – le risse per gli ubriachi molesti
Zero – malori per balle troppo grosse o altri abusi
Zero – star, musicisti, autori altezzosi
Zero – partiti e sindacati
Zero – retorica
Zero – polizia, neanche l’ombra
Zero – puzza di sacrestie
Zero – spacciatori di droghe e ideologie pesanti
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“A sarà fest!”. Lo slogan è eloquente e l’intenzione chiara: fare festa, perché la rivoluzione che non danza non è la nostra rivoluzione. La felicità come obiettivo finale. Sembra di essere al Parco Lambro nel ’76, ma con la determinazione e la consapevolezza politica di oggi.
“A sarà düra!”, anche questo slogan è eloquente e soprattutto praticato da 25 anni da tutti i compagni della Valsusa e la Polizia e la Magistratura ne sanno qualcosa.
Comincio a montare il mio set fotografico per il progetto di ritratti che ho in mente, aiutato dai compagni di Una Montagna di Libri. Tutt’attorno le tende colorate dei campeggiatori sorgono dai prati, crescono a vista d’occhio; il tempo di scaricare la macchina e già sono arrivati altri ragazzi a frotte che montano le loro tende fino a ridosso del mio set.
Mi sento chiamare, è un vecchio della Valle che mi aiuta a trasportare le attrezzature, ma a patto che poi vada a parcheggiare bene l’auto. Lo fa con cortesia e fermezza, e poi aggiunge: ”Perché tra noi le regole le rispettiamo, vero? A noi non ci servono gli sbirri!” Certo che le rispettiamo e ci facciamo rispettare gli rispondo.
Mi aspettavo schieramenti di Polizia già da Susa e lungo la salita che porta a Venaus, vista la grottesca macchina repressiva in atto, invece nulla. Non un vigile urbano o un poliziotto, non un carabiniere, nulla e nell’area del Festival ancora meno. Rido dentro di me pensando alla biliosa faccia di Fassino e a quella rabbiosa di Rinaudo. Rido perché oggi, qui, vedo che hanno perso, che ha perso la politica di partito corrotta e reazionaria e perso la magistratura repressiva e grottesca che è con le spalle al muro e non sa più come uscirne se non con sparate paradossali. Rido perché sempre più compagni non rispettano l’obbligo di firma dichiarandolo pubblicamente e provocando un cortocircuito istituzionale che non ha eguali.
Una coppia di ragazzi tatuatissimi e con l’aria sveglia, sono i primi che posano per il ritratto. Tutt’attorno è tranquillamente frenetico; gli stand sono in allestimento, giovani e vecchi, tutti mescolati e tutti al lavoro, stanno completando un’opera organizzativa titanica che funziona. I banchetti di piccole case editrici sono affollati di gente che spulcia, legge, s’informa. Le magliette e il piccolo artigianato sono venduti da vecchi anarchici o da giovani dei movimenti in una miscellanea totale.
Mi sento a casa, adottato. Un amico, Maurizio, mi conferisce la cittadinanza della Libera Repubblica della Maddalena, con tanto di carta d’identità. Un ragazzo con piercing e maglietta con il 666 discute serenamente con una vecchia signora che gestisce il banchetto dei Cattolici della Valle: s’intendono. Forse qui i Cattolici son diversi, forse la vicinanza con le Valli Valdesi li ha mitigati.
Un robusto anziano sta lavando preventivamente i cessi con un idro-pulitrice, tuta blu, stivaloni e guanti colorati. Lo saluto e mi fa: ”Non ti do la mano perché non sto facendo un bel mestiere, ci vediamo da NPA”. Cristo, che stile! Mi sento come fossi qui da sempre, così come tutti quelli che incontro e camminano estasiati e sorridenti, sgranando gli occhi e salutando quelli che incrociano. Ci sentiamo tutti a casa. Chi sono questi NPA? Trovo il loro stand NPA – Nucleo Pintoni Attivi. Vagano per il campeggio vestiti da frati trappisti, età dai trenta ai settanta, accompagnati da due bambini con un cartello che recita: Ora et Sabota. Fanno ostensioni di pintoni (bottiglioni) di grignolino, cantano in letizia e danno da bere a tutti.
Da una tenda esce Elio Germano, s’infila in cucina e si mette a lavorare come tutti gli altri. Nino Frassica chiacchiera con le signore di un banchetto, tranquillo, come uno normale. Intanto si susseguono gli annunci di presentazioni di libri, di concerti del pomeriggio e iniziative varie: tutto scorre in modo così liscio e accogliente che mi sembra di stare in un’altra galassia.
Due annunci dell’organizzazione per rintracciare i proprietari di due portafogli ritrovati; poi un altro per chiedere aiuto per cercare uno zaino contenente medicine salvavita; è stato recuperato in un attimo dalla gente. Il senso di comunanza, rispetto e accoglienza mi colpiscono. Possibile che in tale folla tutto funzioni? Non una rissa, una discussione, non un’auto parcheggiata a cazzo. Allora è possibile. L’idea della possibilità di un vivere sociale diverso è talmente palpabile qui, che capisci perché si sia fatto un Festival così grande e complesso, dove tutti i partecipanti sono intervenuti a titolo gratuito: da Rocco Hunt ai Subsonica, da Finardi ai 99 Posse, solo per citare i più noti.
I rapper più truci, Egreen, Luci, Kaos mi abbracciano, ascolto i loro testi e scopro che mi piacciono, sono teneri. Incontro Domenico Mungo che fa una bella presentazione del suo libro “Avevamo ragione noi” sul G8 di Genova accompagnato da un chitarrista elettrico. Il libro inizia con una spassosa dichiarazione di guerra allo stato borghese e alle tute bianche per la loro violenta inutilità e strumento della visione autoritaria del capitalismo.
Molti vengono per il ritratto, disponibili, pazienti, il lavoro prende forma. Finardi si dilunga a ricordare Parco Lambro, rimane a lungo a chiacchierare con dei ragazzi. I 99 Posse fumano in continuazione e fanno un casino infernale sul set. Il ritratto dei Pintoni Attivi richiama molta gente che guarda divertita. Loro, ineffabili, continuano le loro giaculatorie etiliche e politiche, poi dopo un breve consulto mi fanno membro onorario NPA con tessera n°1. Mi piace.
Alberto Perino è un tenero guerriero, cammina svelto e mi mostra la doppia pagina de La Stampa che ha dovuto, obtorto collo , raccontare del Festival. L’articolo dice dodicimila persone, in realtà sono di più, ma già con dodicimila non si poteva più glissare sulla notizia e poi c’è un parterre de roi d’artisti, come ignorarlo? Mentre faccio il ritratto, mi racconta che è veramente commosso ed emozionato a veder tanti giovani con il sorriso. La gente è felice, dice, dopo tante vicissitudini, facce tristi, finalmente un po’ di felicità; del resto a cosa aspira l’umanità?
Nicoletta Dosio non andrà a firmare, non c’è scampo. Mi guarda attraverso le spesse lenti da ipermetrope che fanno ancora più grandi i suoi dolci occhi azzurri. Mi ringrazia, sorride e se ne va con il suo aspetto semplice e nobile, scuotendo la testa e dicendo ancora che non andrà a firmare. Le persone che hanno storie grottesche o paradossali da raccontare sono molte. Le ascolto sempre più esterrefatto, incazzato e convinto che qui stia succedendo qualcosa di fondamentale per il futuro della politica e la riprova che sia così è la folle reazione del sistema. Se non sei funzionale al sistema, il sistema ti espelle e distrugge senza pietà. Ma qui è il movimento che espelle ed emargina il sistema perché non funzionale a uno sviluppo umano accettabile. Il movimento No Tav esiste più forte di prima e magistratura, politica, sbirri e giornalisti hanno il fiato sempre più corto.
I concerti serali riempiono l’arena, tutti si fanno trascinare dalla musica. I gruppi si alternano veloci, tra uno e l’altro piccoli interventi politici ricordano la miriade di lotte in corso, da Taranto ai quindici anni del G8 di Genova. Finisce Petrella e comincia Marco Rovelli. Poi gruppi di musica folk, Lou Dalfin in trance violenta la ghironda e urla in occitano, mentre l’arena si riempie di più. Continua ad arrivare gente, sempre di più, sempre più variopinta e diversa ma uguale negli atteggiamenti civili e nella calma pacifica, felice. Sono belli i giovani, ma anche gli anziani sono belli e vederli ballare e abbracciarsi con i ragazzi durante un concerto di rock elettrico mi commuove.
Ora sui ritmi meticci della Free Med Orchestra nell’arena ci sono migliaia di persone di tutte le età e le razze, che ballano, uno spettacolo da far accapponare la pelle. Sono tutti felici e si vede.
Alberto Perino, emozionato e commosso, chiude la giornata del sabato con il suo intervento bellissimo. Allora un’altra politica è possibile e qui ci si prova, cercando di essere felici. In ogni caso abbiamo vinto.
Questa è la rivoluzione che danza, ma citando Rovelli, per danzare la rivoluzione ha bisogno di un Re da irridere. Di Re da irridere ce ne sono legioni. Infatti, la lotta No Tav ha irriso e marcato una profonda frattura rispetto ai canoni politici del ‘900, fatti di leader carismatici, sistema partito, ideologismi perversi e centralismo democratico. Ha irriso stolidi magistrati e feroci poliziotti che volevano essere il braccio armato del capitale.
NoTav coinvolgendo tutti ha radicato una coscienza identitaria diffusa, dal basso, che ha creato un “popolo/movimento”, che in un clima di assemblea permanente, persegue il proprio obiettivo strategico e che, senza moralismi, discriminazioni e mediazioni con interessi di palazzo, di volta in volta sceglie le metodologie di lotta più efficaci.
NoTav rivendica la sostenibilità esistenziale della vita, rinuncia all’assistenzialismo e alla rappresentatività parlamentare e sindacale, fuori dal ricatto del lavoro e delle leggi di mercato, ha la conoscenza del proprio territorio e segna una frattura profondissima con la politica di partito della cosiddetta sinistra. Crea una nuova visione politica, che rompe con il paradigma del sistema attuale, per potere immaginare una lotta che sia legata ad altre lotte in una rete planetaria. Una “metalotta” che s’identifica con la rete stessa delle lotte, il “globale-locale” e il “locale-globale”, come tanti filamenti che si uniscono nello spazio complesso e frammentato delle rivolte planetarie. Lotte che hanno tra loro delle continuità, che cercano spazio, urbano e rurale, per esprimersi con i mezzi di comunicazione globali in uno spazio dalle frontiere mobili e in espansione.
Una visione che crea nuovi sistemi, anche economici locali autosufficienti, e nuovi luoghi culturali, come ad esempio “Una montagna di libri”, che mettono in contatto altre lotte locali come “Mauvaise Troupe” della ZAD di Notre-Dame-des-Landes, gli operai delle fabbriche autogestite Fralib di Marsiglia, della Rimaflow di Trezzano sul Naviglio e della Zanon di Neuquén in Argentina.
Globalizza il dissenso e agisce locale, creando una costellazione ben identificabile. Nessun discrimine ideologico, ma solo l’adesione all’obiettivo finale, crea la stupefacente eterogenea composizione di questo “popolo/movimento” che ha deciso di essere in quanto tale.
Insomma, NoTav mette la pietra tombale sulla politica del ‘900, e il Festival Alta Felicità ne è l’allegra marcia funebre, mentre oggi qualcuno, asfitticamente, pensa ancora di rifondare un partito comunista togliattiano, che riprenda in mano le redini del proletariato e che ci rimetta tutti in fabbrica a faticare per un padrone di stato. Che dire: non c’è limite al peggio e certi compagni “di strada” non migliorano mai, ma la Valsusa c’è.
A sarà düra!
Una chiosa dalla Valle
Leggere le parole di Rinaldo è come osservare dall’esterno, da sopra o da sotto, non ha importanza, la nostra storia, una storia di oltre 25 anni.
Rinaldo coglie lo spirito dell’ennesima scommessa che siamo riusciti ad organizzare e vincere: tre giorni di “alta felicità”, tre giorni di costruzione nella lotta.
Fin troppo generoso il suo cuore che scrive, un portafoglio è sicuramente scomparso e qualcuno ha avuto bisogno di aiuto in modo lieve dall’equipe medica. Ma il suo cuore che si fa scrittura, coglie l’essenza di quei giorni. Insieme alle sacrestie e i partiti non vi erano spacciatori, e nelle code per mangiare non ci si lamentava. Non vi era il bisogno della pancia e dell’ideologia per saccheggiare i polli o per “sprangare lo spacciato” come a Parco Lambro, perché, banalmente, non vi erano trafficanti di polli, di ideologia o di altre merci.
Rinaldo, in quei giorni sente l’aria che arriva da lontano, dalle lotte dei Celti contro l’impero, ai 700 anni di lotte occitane, dagli Escarton alle reti di solidarietà e comunanza nei boschi e nei villaggi, dai Catari alle streghe, dai partigiani ai ribelli degli anni ’70; la vittoria contro l’elettrodotto, la sconfitta dell’autostrada, la lotta NoTav da Venaus alla libera repubblica della Maddalena.
Uscire di casa, spegnere la tv, guardarsi, scoprirsi, fare le barricate, il pane e gli orti insieme. Comunità in costruzione, comunità in lotta. Senza divisione tra buoni e cattivi, come dopo il tre luglio, quando di fronte alla narrazione tossica del potere si rispose in coro: siamo tutti black block! Quando con quella semplice frase, si superò quell’inutile dibattito che aveva messo all’angolo le esperienze del 2001 a Genova. Come oggi, dopo e durante i tre giorni di alta felicità, quando di fronte al continuo attacco repressivo, rispondiamo con le foto dei nostri corpi e un cartello con scritto: io sto con chi resiste violando le imposizioni del tribunale di Torino.
In questo essere, in questa Comunità che si fa Umana, Rinaldo e le tante e i tanti che erano con noi nei giorni del festival ad alta felicità, nelle polentate, nelle notti al cantiere, nei sabotaggi, sono valsusini. Con loro per un mondo dove “a ognuno secondo i suoi bisogni, da ognuno secondo le sue possibilità” sarà l’eco che si espande dal Roc Meol per tutte le Valli
A sarà düra!
Maurizio