di Walter Catalano
Pasquale Pede, Le radici del Noir, fra letteratura e cinema, Ed. Fondazione Rossellini per la letteratura popolare, 2009, pp. 256, € 25,00
Anche se si tratta di un libro edito qualche anno fa (2009), Le radici del Noir di Pasquale Pede – ennesima meritoria pubblicazione di approfondimento sulla cultura dei generi della provvidenziale Fondazione Rosellini – resta a tutt’oggi uno dei migliori testi storico-teorici di definizione del Noir, impresa decisamente non facile alla quale troppi, prima e dopo la pubblicazione di questo volume, si sono dedicati senza analogo rigore e piglio metodologico.
Gran parte della pubblicistica in materia infatti – complice soprattutto la faciloneria di certi pretesi esegeti e tassonomisti onnivori e onnicomprensivi – tende a fare di ogni erba un fascio, così che – persa ogni specificità caratteristica – poliziesco classico, mistery, hard-boiled, “giallo”, ecc. diventano sinonimi – ridotti a opache etichette scolorite – e si confondono in un’unica notte in cui tutti i gatti sono grigi.
Poiché la definizione, giusta o arbitraria che sia, funziona merceologicamente, ecco che – in edicola e in libreria – ogni prodotto letterario vendibile acquisisce a priori i crismi del Noir, qualcosa che piace a tutti ma che non si sa davvero bene cosa sia, quasi come il liberismo, la democrazia o lo sviluppo sostenibile. Per i piazzisti letterari, i venditori porta a porta e gli imbonitori di fiera, tutto è Noir: da Poe a Ammaniti, da Chandler a Camilleri, da Leonard a Vichi; perfino Agatha Christie ha ricevuto un’inconcepibile e insospettabile unzione noir (e qui il povero Robin Cook, in arte Derek Raymond, potrebbe abbandonarsi – se fosse ancora tra noi – a un devastante soprassalto di sacrosanta furia omicida).
Per rimettere le cose al loro posto in tanta sproloquiante confusione, per fortuna, esce ogni tanto – fra le molte tonnellate di pattume – un libro utile e intelligente. Uno fra i pochi, ormai potremmo dire fra i classici, è il volume che qui ricordiamo. Con un ricco corredo di immagini a colori e in bianco e nero – come è consuetudine dei veri e propri almanacchi pubblicati dalla Fondazione (fra i molti, quello su Karel Thole di cui ci siamo già occupati; quello su Caesar, Jacono e le copertine della prima Urania, o quello sui Segretissimo illustrati da Jacono) – l’autore traccia un percorso preciso che individua fin dalle prime pagine del testo, una definizione volutamente non stretta ma neanche sfuggente, inclusiva ma ben precisa, della materia in oggetto: “un fiume carsico il cui bacino sorgivo è la narrativa d’appendice statunitense che in un preciso momento storico viene alla luce utilizzando lo stesso letto del poliziesco e che via via cresce e se ne differenzia, senza mai staccarsene in maniera esplicita. Fino a che esce dai confini americani per incontrare, in un altro preciso momento storico, la corrente di una cultura europea come quella francese…”.
Nei capitoli successivi l’autore classifica e differenzia “Giallo” e Noir: il comune ascendente è il romanzo gotico e lo spartiacque è la hard-boiled-school, in cui l’azione prevale sulla detection attraverso il realismo sociale (protagonista è la strada e chi la abita e non il palazzo e i suoi maggiordomi), e la visione pessimistica ed esistenzialista della realtà (la risoluzione della singola indagine non risolve la situazione generale; l’equilibrio non viene ripristinato dal trionfo della giustizia perché non vi è alcuna giustizia che possa trionfare, né alcun equilibrio da ripristinare). Il Made in USA dell’hard-boiled si stempera sotto i cieli di Parigi della “Série Noire”, fondata dall’ex surrealista Marcel Duhamel: si vanno delineando una genealogia ed una topografia tematica e ideologica che possono generare ben pochi dubbi. Dal feuilletton, ai dime novel, ai pulp, ai paperback, la narrativa popolare definisce le coordinate del genere e le trasferisce al cinema di serie B: nasce il Film Noir come vero e proprio movimento cinematografico post-espressionista.
Nella terza parte del libro l’autore ritrae una serie scelta di padri nobili e nomi eccellenti: Dashiell Hammett, William R. Burnett, James M. Cain, Horace McCoy, Raymond Chandler, Cornell Woolrich, Mickey Spillane, Ross Macdonald, Jim Thompson, David Goodies, Charles Williams, Chester Himes, John D. Mac Donald. Il comune denominatore fra scrittori così diversi – dei quali Pede, con rapide ed efficaci pennellate, sa delineare sinteticamente i principali tratti biografici e critici – era, per dirla con le parole dell’autore stesso, “l’atmosfera complessiva delle storie. Il malessere dei personaggi, il senso di inevitabile sconfitta che li permeava, il rilievo esistenziale che trapelava da vicende anche banali”. E’ questa – evanescente eppure definitissima, sfuggente ma inequivocabile – la vera essenza del Noir: un respiro, un aroma, una sfumatura, che può aleggiare su molteplici e diverse narrazioni: è l’atmosfera e non la storia a fare il Noir, così come nel suo corrispettivo cinematografico sono soprattutto i tratti visuali e figurativi e non quelli tematici a definire uno stile che attraversa e scavalca i vari generi. Sebbene Pede non nomini che di sfuggita Derek Raymond, la concezione di Noir più attinente alla traiettoria delineata dal suo studio è proprio quella così magistralmente espressa dallo scrittore britannico nel suo capolavoro Hidden Files (Stanze nascoste, Meridiano Zero, 2011), che propone Jean-Paul Sartre fra i propri ispiratori diretti e non teme di ammettere che il vero argomento del Noir è di ordine metafisico.
Completa il volume un’utile serie di appendici: “I Capolavori: elenco dei noir da portare su un’isola deserta” (generosamente variegato ma intelligentemente coerente: si va da Fredric Brown a Edward Bunker, da Cormac McCarthy al Charles Bukowski di Pulp, da James Ellroy, a Patricia Highsmith, al Walter Tavis de Lo spaccone o all’ Ernest Hemingway di Avere e non avere, passando per i canonici Chandler, Hammett, Cain, Woolrich, Spillane, Chase, Goodies, Thompson, ecc.); “I capolavori dimenticati”, nomi e titoli ingiustamente meno noti, mai tradotti o mal tradotti nella nostra lingua; infine una corposa e utile bibliografia generale divisa in “Precursori”(letteratura popolare, gotico e fantastico), “Romanzo poliziesco e Giallo italiano”, “Polar” francese, “Noir” (Hard-boiled e Pulp), “Film Noir”, con una sezione speciale dedicata all’amato Jean–Pierre Melville.
Un gran bel libro, rigoroso senza essere pedante, scritto con la passione del neofita ma con l’approfondimento del teorico e nella piena consapevolezza che, alla fine del percorso, tutto è solo una questione di stile: perché, per dirla con le parole del vecchio Phil Marlowe, “Noi duri, in fondo, non siamo altro che dei sentimentali senza speranza”.