di Walter Catalano
Leopoldo Santovincenzo, Carlo Modesti Pauer, Marcello Rossi, Fantasceneggiati. Sci-Fi e giallo magico nelle produzioni RAI 1954-1987, Edizioni Elara, 2016, pp. 240, € 24,90.
Noi, la generazione del baby-boom, nati fra gli ultimissimi anni ’50 e i primissimi ’60 ce lo ricordiamo ancora con un leggero brivido lungo la schiena: infrangendo il divieto di andare a letto “dopo Carosello”, una fatidica sera ci eravamo attardati troppo di fronte all’imponente schermo a tubo catodico e da quel momento i nostri sogni notturni avevano cambiato tono e registro: non si trattava più della TV dei ragazzi, dei cattivi pirati de “L’isola del tesoro” le cui voci sgraziate intonavano minacciosamente “Quindici uomini, quindici uomini, sulla cassa del morto…e una bottiglia di rum !”, non era neanche la Biblioteca di Studio Uno, quando il grande Virgilio Savona del Quartetto Cetra, tra una canzoncina e l’altra, trangugiava la fumigante pozione e si trasformava in Mister Hyde; era qualcosa di molto peggiore e perturbante: l’ombra nera e allampanata di un fantasma si era protesa su di noi e da quell’ombra fluttuante sul pavimento le nostre anime non si sarebbero risollevate Nevermore !
Belfagor, il fantasma del Louvre aveva colpito: perfino sulla spiaggia, l’estate successiva, con i coetanei non si sarebbe giocato a nascondino ma a “Belfagor”, molto più emozionante. Era il 1966, e due anni più tardi, sempre la ORTF francese avrebbe rincarato la dose passando alla RAI I Compagni di Baal, primo sceneggiato tv a parlare di satanismo e di una Parigi misteriosa ed esoterica che molto doveva (ma questo lo avremmo scoperto solo qualche decennio più tardi) al Là-Bas di J.K. Huysmans; ricordo ancora, non senza una lieve inquietudine, la voce oltretombale che accompagnava i titoli di testa a base di maschere, bassorilievi e statuette demoniache: “Baal, il demone tricefalo che regna sulla parte orientale dell’Inferno…”.
De I Compagni di Baal il bel libro di Leopoldo Santovincenzo e Carlo Modesti Pauer, non parla, ma è giusto perché Fantasceneggiati – Sci-Fi e giallo magico nelle produzioni RAI 1954-1987, pubblicato da Elara, è dedicato solo alle serie gotiche e fantascientifiche di produzione italiana e, dopo aver citato l’apripista transalpino Belfagor – così fortunato da aver scavalcato addirittura il palinsesto, passando dal secondo al primo canale in prima serata e da essere replicato per ben tre volte, nel 1969, 1975 e 1988 – non restava spazio per soffermarsi su altri prototipi stranieri. Certo i nostri sogni ed incubi infantili non si esauriscono qui, e mi piace rievocare, anche se di sfuggita, almeno la musichetta frissonnant dell’americana Twilight Zone, da noi Ai confini della realtà, imprinting irrevocabile che, come le paperette di Konrad Lorenz o i topi del Pifferaio di Hamelin, seguirò sempre, ciecamente, verso qualche pregustata elucubrazione fantascientifica…
Ancora nel 1968, ci ricordano i diligenti compilatori del volume, la lezione imparata dai francesi viene messa in pratica a casa nostra e – complice probabilmente la lettura ispirativa de Le notti romane di Giorgio Vigolo, premio Bargutta 1961 e ormai ingiustamente dimenticato capolavoro del weird nazionale – anche la fino ad allora solare Roma, con Il segno del comando, sceneggiato diretto da Daniele D’Anza e interpretato da Ugo Pagliai e Carla Gravina, diventa ricettacolo di ombre inquiete, reincarnazioni possibili, sedute spiritiche e amori oltre i limiti del tempo e della morte: le citazioni colte – Byron, il Grand Tour, la pittura romantica e la musica barocca – si mescolano alle suggestioni del feuilleton e del melodramma con ampie aperture alle citazioni cinematografiche orrorifiche e alle tinte forti (la seduta spiritica della terza puntata resta indelebile nell’immaginario di chi la vide da bambino). Nasce il cosiddetto giallo magico, definizione un po’ arbitraria e approssimativa coniata dai mass media, che vorrebbe da un lato rassicurare il pubblico con l’appello al familiare e rassicurante “giallo” – il Tenente Sheridan, il Maigret di Gino Cervi – e contemporaneamente incuriosirlo e solleticarlo con l’aggiunta di un aggettivo ambiguo e onnicomprensivamente invitante come “magico”.
Il successo ecumenico della serie apre la via al genere e il quasi-horror, il tele-gotico, viene sdoganato. Seguono in un rapido volgere di stagioni, il troppo sperimentale e irrisolto Jekyll di Giorgio Albertazzi del 1969 come l’inclassificabile Geminus con Walter Chiari e Alida Chelli, regia di Luciano Emmer, interessante più che altro per l’intuizione di una Roma sotterranea e misteriosa rivelata dagli scavi della metropolitana; Ho incontrato un’ombra, sempre di Daniele D’Anza, con Giancarlo Zanetti, Beba Loncar e Laura Belli, del 1974, più giallo che magico, questa volta; Ritratto di donna velata di Flaminio Bollini, con Nino Castelnuovo e Daria Nicolodi, del 1975, in cui il magico recupera di nuovo sul giallo, con suggestioni etrusche che guardano, ammorbidendo la tensione e soprattutto eliminando lo splatter, al thriller para-argentiano L’etrusco uccide ancora di Armando Crispino, successo nelle sale cinematografiche di un paio di anni prima; L’amaro caso della baronessa di Carini, di nuovo con Ugo Pagliai e l’allora icona sexy cinematografica Janet Agren, qui debitamente vestita, dramma gotico-rusticano con tanto di Beati Paoli incappucciati, diretto ancora da Daniele D’Anza; l’ormai tardo Il fauno di marmo, di Silverio Blasi con Orso Maria Guerrini e Marina Malfatti, che recupera addirittura il classico di Nathaniel Hawthorne.
Ma Santovincenzo e Modesti Pauer non si fermano e passano in rassegna anche la sortita televisiva di Dario Argento per i quattro episodi di La porta sul buio del 1973, con i conseguenti problemi censori minacciati dall’ancor pedagogica e perbenistica RAI dell’epoca, dovuti alla presunta eccessiva violenza di un giallo assai poco magico e di un orrore pericolosamente realistico. Al tele-romanzo si alternano negli anni seguenti anche programmi a episodi con tele-racconti (telefilm o “Originali televisivi”, come si diceva allora) sia scritti appositamente da sceneggiatori, come quelli de Il filo e il labirinto del 1979, sia adattati da vari classici del brivido, come I giochi del diavolo- Storie fantastiche dell’Ottocento, selezionate da Italo Calvino nel 1981 (ricordiamo soprattutto La Venere d’Ille, da Prosper Mérimée, ultima regia di Mario Bava e L’uomo della sabbia da E.T.A. Hoffmann, diretto da Giulio Questi); Nella città vampira – Drammi gotici del 1979, con Flavio Bucci; Racconti fantastici sempre del 1979, in cui Daniele D’Anza rilegge vari racconti di Poe.
In parallelo si attinge anche alla fantascienza con fanta-sceneggiati lunghi come A come Andromeda del 1972, con Luigi Vannucchi e Nicoletta Rizzi, diretto da Vittorio Cottafavi e adattato da Inisero Cremaschi dal romanzo di Fred Hoyle e John Elliot, e Uova fatali, che Ugo Gregoretti traspose nel 1977 da Michail Bulgakov: gli unici propriamente fantascientifici; poi i mistery parapsicologici ESP, del 1973, regia dell’immancabile Daniele D’Anza, con Paolo Stoppa che interpreta il presunto paragnosta Gerard Croiset, e La traccia verde di Silvio Maestranzi, del 1975, con Sergio Fantoni nel ruolo di un detective-scienziato che studia le emozioni delle piante; l’ufologico Extra, del 1976, alle prese con abduction e incontri ravvicinati del terzo tipo; il frankensteiniano (con un pizzico de Le mani di Orlac) Gamma del 1975; e addirittura la trasposizione fantascientifica – un po’ imbarazzante in verità – de L’isola del tesoro di Stevenson, tentata da Antonio Margheriti nel 1987. Non mancano fanta-sceneggiati brevi come Eva futura che nel 1978 Alberto Gozzi trasse da Villiers de l’Isle-Adam e gli episodi ripresi dai racconti fantascientifici di Primo Levi inclusi nelle due raccolte di Storie naturali e in Vizio di forma. Fra i capolavori delle serie a episodi comunque restano ineguagliati i Racconti di fantascienza genialmente realizzati e presentati da Alessandro Blasetti nel 1979 e le tre stagioni de Il fascino dell’insolito. Itinerario nella letteratura. Dal gotico alla fantascienza, che tra il 1980 e il 1982 fecero conoscere racconti di E.T.A. Hoffmann, A. Bierce, H.P. Lovecraft, M.R. James, P.K. Dick, R. Matheson e R. Bradbury ad opera di numerosi registi fra cui spicca il Giulio Questi di Vampirismus da Hoffmann.
Oltre all’ovvio interesse storico, critico e – almeno per la nostra generazione – anche affettivo, il volume di Santovincenzo e Modesti Pauer ha il grande pregio di dare una visione (spesso sottilmente ironica quando non sarcastica) “dall’interno” dei meccanismi oscuri e tortuosi del marchingegno RAI, del suo prediligere una forma o un’altra, un tema o un altro, in relazione alla propria evoluzione (o involuzione) nel tempo, in parallelo con gli eventi politici e sociali che hanno attraversato il nostro paese: dal monopolio di stato, alla lottizzazione del pentapartito, alla “liberalizzazione” post-craxiana che spalancò l’etere alle emittenti private squadernando la trasformazione di quel che rimaneva della tv paternalistica, didattica e pedagogica dell’egemonia democristiana, nel tritacarne audiovisuale di menti e coscienze barbarizzate dell’era Berlusconi. I due autori scrivono con cognizione di causa ben conoscendo i meandri del mondo televisivo: hanno infatti ideato, diretto e condotto per anni una delle più longeve e interessanti trasmissioni TV dedicate al fantastico e al genere: la rimpianta Wonderland, sulla RAI 4 di Carlo Freccero.
In appendice al testo varie pagine di schede dettagliate sulle opere citate ed un utile promemoria delle loro riedizioni in DVD. Da non trascurare infine, anche la simpatica prefazione dell’anziano ma sempre molto arzillo Ugo Gregoretti.